giovedì 24 maggio 2012

In un altro paese di Marco Turco. 2005

"Il nostro è un paese senza memoria e verità, ed io per questo cerco di non dimenticare". (Sciascia)
Un giornalista americano, Alexander Stille e il titolo di un suo libro: "Cadaveri eccellenti" e la nascita di questo attento documentario cinematografico sulla nostra, italianisssima, Mafia. Al resto ci pensa Marco Turco ricostruendo gli stretti rapporti tra Cosa Nostra e lo Stato italiano della prima repubblica. Tanta, forse troppa televisione, così il regista ruba agli amanti del cinema solo 92 minuti per ripercorrere gli ultimi 40 anni di storia italiana, in cooproduzione con la BBC e France2 e disponibile anche in dvd con una versione più lunga. Tanti i nomi e il sangue in questa lunga storia, concentrandosi in maniera più importante su Falcone e Borsellino, partendo dalle dichiarazioni sconsolate dell'ex presidente del Tribunale di Palermo Antonino Caponnetto da poco giunto sul luogo in cui anche Borsellino aveva perso la vita: "E' tutto finito!". Poi un grosso salto indietro, per ripercorrere a ritroso con interviste e filmati d'epoca cosa aveva portato alla tragedia, soffermandosi soprattutto sull' isolamento politico vergognoso in cui fuorno lasciati i due giudici,passando dalla cattura di Tommaso Buscetta, il maxiprocesso dell'Ucciardone e l'omicidio Lima, perchè "La battaglia contro la Mafia si fa in Sicilia ma si vince a Roma". Stona, dopo tanto rigore e serietà, un finale che affronta semplicisticamente e superficialmente la stretta attualità con il faccione sorridente di Berlusconi, avrei preferito riferimenti più precisi (perchè ci sono!!) e nel 2005 ancora non c'era la legge bavaglio. Un documentario alla Piero Angela che tratta di questo animale che è la Politica concentrata solo sulla conservazione della sua specie. Questo il mio omaggio per un uomo che non ha fatto altro che amare il suo paese e volerlo rispettare a costo della propria vita. Infinitamente Grazie.

mercoledì 23 maggio 2012

I colori dell'anima - Modigliani di Mick Davis. 2004

Sapete cos'è l'amore quello vero? Avete mai amato così profondamente da condannare voi stessi all'inferno per tutta l'eternità? Io l'ho fatto.
Inizia con queste parole il film su Modigliani. Parole profetiche, che solo alla fine della pellicola acquisteranno un chiaro significato. Un film opaco, banale, poco profondo ma che ben ritrae (almeno) tutto quello che intorno al nostro pittore livornese girava. Siamo nel1919. La prima guerra mondiale si è conclusa da poco e la vita notturna di Parigi (ma il film in realtà è girato in Romania) è piena di passioni e sregolatezze. Ci appare così Amedeo Modigliani, avvinazzato e seduto al Café Rotonde, rifugio di una cerchia di artisti improbabili: Picasso, Rivera, Stein, Cocteau, Soutine, Utrillo e Modigliani. Non sapevo che Modigliani e Picasso fossero così rivali, fosse il film romanza un po'troppo le loro reciproche invidie. Jeanne, la donna di cui s'innamora viene allontanata dai genitori che non accettano che la loro bella figlia si sia innamorata di un ebreo, quindi danno in adozione la loro bambina, avendo constatato l'inadattabilità di Modigliani nelle vesti di padre. Così per salvare quella creatura, Modigliani che di certo non amava competere e gareggiare s'iscrive ad un concorso al quale poi prontamente anche il rivale Picasso decide di partecipare. Soutine dipinge la carcassa di un bue; Rivera, Frida nella bottiglia; Picasso, sua moglie Olga e Modigliani, Jeanne in vestito blu e col pancione: era infatti al nono mese, aspettava un secondo figlio dall'amato. Se avrò fortuna un giorno dipingerò i tuoi occhi. Era stata infatti la promessa di Modigliani. L'amore di una donna quasi ossessionata dal suo uomo: - Io muoio senza lui. - No muori con lui! Carta straccia di biografie, epistolari e cronache del tempo, se la scuola di Parigi del tempo guardasse il film non ne andrebbe fiera. Irrita l'arroganza con cui si reinterpreta la verità, soprattutto nei discorsi tra Picasso e Modigliani, che sembrano due adolescenti che si prendono in giro in modo rozzo e volgare. E poi Jeanne lavorò fianco a fianco con Modigliani, era una pittrice, si dipinsero a vincenda, perchè ritrarla solo come la sua ombra? Incompleto e delirante. Ottimo solo il cast e la resa dei luoghi.

giovedì 17 maggio 2012

Brutti, sporchi e cattivi di Ettore Scola, 1976

"Tutti devono essere sapitori della splendosità di Giacinto!"
Questo il premio per la miglior regia al 29° Festival di Cannes. Ambientato in una squallida periferia romana negli anna Settanta, una famiglia "allargata" vive in una baracca. I componenti di questa numerosissima famiglia sono ovviamente brutti, sporchi e cattivi e vivono condannati in pochi centimetri quadrati di autonomia, spesso spinti all'autoriproduzione. I figli del capo famiglia: Nino Manfredi qui nei panni del vecchio Giacinto sono veri o presunti tali per garantirsi un tetto dove dormire. Tanta la strada che Nino Manfredi percorre da quando io lo ricordo ubriaco nel film "Grandi Magazzini"fino ad arrivare a questo film, che brilla solo per la sua impeccabile interpretazione e per la patina di realtà che si respira. Assenti i colori, solo sporcizia e immondizia delle quali quasi si arriva a sentire il puzzo. Una latrina senza fondo in cui annegare i topi. Questa l'umanità descritta da Scola, tanto che io spesso mi chiedevo: ma davvero esisteva o esiste quest'Italia? Forse Scola è uno dei pochi registi a mettercela così brutalmente sotto il naso. Certo mi viene in mente Pasolini e la volontà primordiale di migliorare a tutti i costi la propria condizione sociale di nascita. Un film volgare: corpi mutilati, grasse puttane, incesti, tentativi di avvelenamento col veleno dei topi. Iside: ma com'è tu moje? Giacinto: Comprensiva.... basta menaje

sabato 12 maggio 2012

Urlo di Robert Epstein e Jeffrey Friedman.2010

"La Beat Generation non era un movimento, ma semplicemente un gruppo di scrittori che voleva farsi pubblicare"
Controcultura. Va in onda il processo per oscenità subito nel 1957 da Allen Ginsberg, tra testi originali e il cartoon di Eric Drooker che anima i suoi versi. Non è certo una testimonianza questo tributo all'Urlo di Ginsberg, nè un documentario, forse nemmeno un film, piuttosto lo difinerei il flusso della coscienza dell'autore ricostruito tramite immagini. E'inclassificabile quindi questa pellicola unica nel suo genere, una fuga lirica e prosaica che scagiona Allen dal dito puntato contro dei benpesanti. Con un andamento jazz, vediamo Ginsberg declamare ambienti e persone, in particolar modo artisti, politici, gente con disturbi psichiatrici, drogati. La sua è una chiara invettiva contro lo stato americano, Moloch persofinicato da una sorta di Lucifero con gli occhi di fuoco. Il processo nei confronti dell'editore Ferlinghetti fu vinto: i riferimenti espliciti a droghe e pratiche sessuali e omosessuali diedero fastidio, risultarono scomode forse, ma non furono giudicate perseguibili. Il film è strutturato sulle interviste all'autore che narra suoi episodi di vita: dall'incontro con Jack Kerouak a quello con Peter Orlovsky, compagno di una vita. Molto spazio è dato alla ricostruzione abbastanza meticolosa del processo al quale Ginsberg non presiedette mai e alla lettura integrale di "Howl" alla Six Gallery di San Francisco. Colore e bianco e nero si mescolano. Unico punto di demerito: avrei dovuto ascoltarlo in lingua originale o forse anche nella resa italiana le parti in cui viene recitato Urlo non si sarebbero dovute doppiare. La voce italiana, infatti, vaga a tentoni alla ricerca di un ritmo e una musicabilità che non trova mai. Il tributo a questo favoloso poema ne esce quindi appannato, buona invece la ricostruzione circa la dedica: all’amico Carl Solomon, conosciuto in manicomio. La metrica ispirata a Leaves of Grass di Walt Whitman rischiò addirittura un’accusa di plagio: questa la tesi del professor David Kirk , risultata però alla fine poco convicente. Poco esaustiva la ricostruzione dell'ambientazione beat che ha ispirato l'autore, così come gli episodi personali che Allen snocciola fumando e seduto in poltrona ad un anonimo giornalista: il suo ricovero in manicomio (dopo aver sperimentato la malattia mentale per via materna) e l’osservazione della realtà sotto effetto di peyote. Ma il risultato totale è buono. Anzi beat.

sabato 5 maggio 2012

Hunger di Steven Hentges. 2009

Ho sbagliato Hunger ovviamente, il 5 maggio 1981 moriva Bobby Sands e quindi volevo renderle omaggio recensendo il film in suo onore. Ma già nei titoli inziali, mancando il mio amato Fassbender qualcosa cominciava a non quadrare, con fare ottimistico ho pensato ad una mia distrazione. Invece avevo proprio sbagliato. Con una ripresa quasi amatoriale, cinque individui di cui due donne e tre uomini, che apparentemente non sembrano aver nulla in comune, vengono rapiti e rinchiusi in un pozzo. Guardandosi intorno si accorgono di avere a loro disposizione solo acqua, e che con delle telecamere il loro sequestratore li ha sotto osservazione. Annota giorno per giorno tutto quello che loro fanno, la sua sembra tanto essere una macabra scoperta sui limiti umani. Un thriller davvero pessimo, ma dai risvolti antropologici che tutto sommato ti spingono ad andare avanti. Diciamo che il risultato è davvero scarso, soprattutto perchè l'unico aspetto davvero interessante di questa pellicola non viene approfondito: ovvero l'infanzia del “dottore” , il terribile incidente che noi conosciamo solo per via dicontinui flashback che ripercorrono l'episodio in cui per sopravvivere il ragazzo si nutre del braccio della madre morta. Troppa leggerezza narrativa però. Antropofagia e una sporca scena di sesso tra due componenti ridotti quasi scheletri per spiegare come una delle due donne, Anna, tenta di avere dalla sua lo pseudo leader del gruppo Luke. Ma in realtà quello che fanno è solo il gioco dello scienziato che vuole vederli sbranarsi tra di loro e trarre fuori da loro la parte più selvaggia. La bella protagonista bionda con sguardo seducentissimo Lori Heuring riesce a giungere fino alla fine e a tornare in superficie, resta solo da chiedersi: come si possono superare gli oggettivi limiti biologici per cui una persona possa sopravvivere per 30 giorni senza nutrirsi di nulla? E come si può uccidere (lo scienziato in questo caso) conficcando un osso (tondeggiante e per nulla appuntito) nel suo addome? Tutto poco credibile e brutto e tra l'altro non riuscivo nemmeno a prendere sonno, non riuscivo a far penzolare braccia o piedi fuori o sul bordo del letto per paura che qualcuno mi azzannasse.

giovedì 3 maggio 2012

Il mandolino del Capitano Corelli di John Madden, 2001

Se vedessi un uomo che sta per essere sopraffatto da altri, penserei che quell'uomo è mio fratello. Grecia, 1943. L'immancabile sirtaki. Anche se di Grecia vera qui c'è solo la Papas. Un bagno di banalità e retorica e poi lei, la bellissima Penelope Cruz, che è qui Pelagia, figlia del medico Iannis, e fidanzata con il pescatore Madras che parte per l'Albania per combattere il fronte italiano. Sembrerebbe un film storico, ma per quanto la ricostruzione dei fatti sia in effetti veritiera, il sentimentalismo la fà da padrona. Quando Madras è lontano, Pelagia si rende conto di non amarlo. Scrive a lui ogni giorno una lettera per nutrire l'affievolirsi del suo sentimento, ma il soldato non sa nemmeno leggere, è così diverso da lei. Nel frattempo i tedeschi occupano Atene e l’esercito italiano arriva a Cefalonia, la bella isola dai toni quasi surreali in cui è ambientata la pellicola. Tanti i soldati italiani, ma uno il Capitano Corelli, un tipo molto romantico, che suona il mandolino e ha il cuore tenero, sarà quello a farla innamorare e a farle conoscere quel sentimento fino a quel momento sconosciuto chiamato Amore. Gli echi di Shakespeare in love (scandaloso l'Oscar) si fanno sentire, c'è una guerra i toni non possono essere favolistici e soprattutto gli italiani non sono degli sprovveduti: non saremmo mai stati bravi a fare la guerra, è vero, ma qui i soldati italiani sono delle vere e proprie caricature: suonano, bevono e amoreggiano. Troppi stereotipi, troppi sguardi languidi quelli di Nicolas Cage. Ecco come passare un pomeriggio soleggiato di maggio e sonnecchiare tra una battuta e l'altra del film.

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