venerdì 27 marzo 2015

Suite francese di Saul Dibb. 2015 (Dal romanzo di Irène Némirovsky)

Ho cercato di dimenticare le cose del passato, ma la musica mi porta indietro
3 giugno del 1940, dominazione tedesca in Francia, con Vichy. Una signora francese con marito disperso al fronte si innamora di un tenente della Wehrmacht, colto e sensibile: come lei, suona il pianoforte e compone. Nonostante le iniziali resistenze di lei, tra i due nasce un’appassionata storia d’amore che la farà etichettare da alcuni come collaborazionista, da altri come ragazza da ammirare, ma la realtà è che “nessuno sapeva come si sentiva”. L'infedeltà di Lucile non è solo coniugale ma assume i toni gravi di un tradimento alla propria nazione, per un nemico amato che le fa dimenticare il proprio dovere di cittadina e di moglie. In questo film manca il dolore autentico del libro. Di francese questo film ha solo il titolo e i riferimenti storici, la storia è girata tutto in inglese e con attori anglofoni. Moltissimi limiti, dati anche dall'avvincente genesi letteraria dal romanzo di Irene Némirovsky, che di per sè meriterebbe di finire nelle sale. Buona resa della psicologia e delle velleità dei personaggi femminili, tutto aiuta a creare emozione in in film che sa diramarne poche. Le lacrime arrivano con le parole che appaiono sullo schermo subito dopo la scena finale, vi colpiranno dritto al cuore. Un merito, uno solo, però il film ce l’ha, spingerci a saperne di più della Némirovsky, perchè tra gli infelici che non videro la fine della guerra c’è stata proprio lei: Irène Némirovsky.

martedì 24 marzo 2015

Tomboy di Céline Sciamma. 2011

Visioni fluide, magnetiche, sempre in divenire. E la protagonista: una bambina di 10 anni, che approfitta del trasferimento della famiglia in un nuovo quartiere per completare la sua vocazione da maschiaccio (tomboy) presentandosi a tutti come Mickael: gioca a calcio, fa a botte per difendere la sorella minore. Il suo sorriso raro vi catturerà. Un film sull'identità sessuale e sul corpo, perchè quando alla nascita veniamo dichiarati “maschio” o “femmina”, questi nomi hanno un effetto radicale sul nostro modo di agire nel mondo, sulle aspettative che la società nutre nei nostri confronti, sullo sguardo che gli altri portano su di noi e su quello che noi portiamo sugli altri.
Istintivo. Ma allo stesso tempo prudente. Tenero, come un bacio all'amica Lisa

sabato 21 marzo 2015

Vergine Giurata di Laura Bispuri. 2015

la capra è l’animale più bello che c’è, dopo la donna
Gocce di innevata pioggia cadono tra i boschi, muovendo le foglie. Tutto è immobile. Anche l'umano. Soprattutto se femmineo. A loro non è permesso uscire da sole, non è permesso parlare prima degli uomini, bere prima degli uomini, sparare e cavalcare. Rinunciare all'amore e al piacere di essere toccata, perchè non sempre essere donna coincide con libertà. Sarò l'amante di me stessa, una vergine e vestirò i panni di un uomo. Fasce ben strette ad appiattire il seno, capelli corti, vestitio molto larghi, boxer maschili.Tale pratica vige ancora nelle zone più arretrate dell’Albania, soprattutto al nord. Diventando una vergine giurata, secondo tale arcaica cultura, alla donna vengono riconosciuti i diritti posseduti solo dagli uomini in una società a tutt’oggi maschilista e retrograda. Così Hana, trovatella, cresce sui monti albanesi e attraverso il Kanun, si fa uomo e prende il nome di Marc. Una poesia a bassa voce, sussurrata, mentre Hana/Marc ha dentro un grido che rivendica vita al bordo di quella piscina scivolosa, in cui Hana guarda senza mai cadere. Perfetta Alba Rohrwacher nella sua fisicità che rende benissimo il passaggio uomo-donna e per quell’eleganza che regala ad ogni suo personaggio. La pellicola tenta la trasmissione di un messaggio universale sulla condizione della donna, ma paradossalmente riesce a funzionare solo nelle scene dedicate alla storia. P.S. Mai seguire l'istruttore di nuoto in bagno

venerdì 13 marzo 2015

Noi e la Giulia di Edoardo Leo. 2015

Nasciamo con i pugni chiusi in modo da contenere ciò che veramente conta. Poi li apriamo e perdiamo la cognizione di ciò che veramente è importante per le nostre esistenze, e cresciamo con il mito del posto fisso e di tutta una serie di valori illusori che ci fanno perdere il vero senso delle cose e smarrire il proposito del raggiungimento della propria realizzazione. Mentre in questi giorni tutti si sono concentrati sul fenomeno “Cinquanta sfumature di grigio“, in sala in realtà c’è una pellicola italiana degna di più attenzione, ovvero “Noi e la Giulia“. Dalle premesse poteva sembrare l’ennesimo film in cui vediamo individui diversi tra loro, colpiti dalla crisi, che si trovano costretti a dividere le spese del proprio futuro (con un pizzico di Gomorra che va di moda ultimamente). In realtà: un film sul piano B, perchè noi siamo la generazione del piano B. Lavorare in questo Paese fa così schifo che quando allo schifo per il lavoro si aggiunge quello per la città cominci ad elaborare il tuo piano B. "A 20 anni era il chiringuito sulla spiaggia. A 40, quasi sempre, si tratta di un agriturismo." Il film fa sognare su diversi fronti: lavare i piatti e fare sesso possono essere facilmente confondibili (me ne devo ricordare quando rifiuto categoricamente di lavare i piatti) Ghana e Nigeria potrebbero essere la stessa cosa Per dirigere un'orchestra basta chiamarsi Giuseppe
Mangiamo ogni giorno pane, crisi e incertezza. E qui in nostra rappresentanza: un coatto, due sfigati, un comunista e un camorrista. Reinventarsi, terza, quarta e quinta occasione.“Ho sempre tentato. Ho sempre fallito. Non discutere. Fallisci ancora. Fallisci meglio” diceva Samuel Beckett. I protagonisti di “Noi e la Giulia” lo hanno preso alla lettera e hanno capito che forse, in fondo, i falliti non erano loro. Coraggio 30 e 40enni all'ascolto: anche a 40 anni si può avere tutta una vita davanti, basta avere un piano B. Il finale è aperto, sta allo spettatore prende l’ultima decisione. E una delle cose più belle è che questo film è girato in sequenza: le prime scene sono davvero le prime, le ultime sono davvero le ultime.

martedì 3 marzo 2015

Stoker di Park Chan-Wook. 2013

"Le mie orecchie sentono cose che altri non sentono"
Diciotto paia di scarpe per diciotto anni di vita, tutte uguali, solo diverse in successione di grandezza. Sono di India Stoker nel tentativo di darle quel tocco british che le manca del tutto, la giovane donna è un'anima palesemnete dark. Quel giorno muore anche suo padre. Poi tutto comincia ad assumere le tinte del giallo: uova piccanti preparate nel giorno del funerale, il giallo del nastro della scatola di scarpe, il giallo dell'ombrello che un misterioso zio giunto dal nulla offre a India per ripararla dalla pioggia. Manieristico, fatto di dettagli, come il ragno che sale sulla gamba di India. Perchè il male è un destino ineludibile, della natura e la protagonista lo sa: "Io sono questa. Così come il fiore che non può scegliere il suo colore, noi non siamo responsabili per quello che siamo diventati". India comprende e accetta la sua zona d'ombra e quando si rende conto di quanto sta succedendo, piuttosto che ostacolare i progetti dello zio, criminale dallo sguardo penetrante, comincerà a sentirsene sempre più attratta, anche quando verranno alla luce alcuni tremendi segreti di famiglia. Episodio che fa trapelare i punti di contatto tra zio e nipote è la sensualissima sequenza del pianoforte suonato a quattro mani, culminata nell’omicidio ed esasperata nella masturbazione sotto la doccia che apre un sottotesto sessuale. La vedova Eve (Nicole Kidman) appare fin dal primo momento come una donna emotivamente instabile, il cui rapporto col defunto marito era ormai inesistente, come del resto appare effimero e infantile anche il rapporto con la figlia India, tanto che apparirà naturale il menage a trois apparente che si viene a creare. Leggere e vaporose le gonne e camicette di India,la sua sensualità traspira da ogni scena: tensione erotica e orgasmica che cerca di esplodere in ogni istante. Zio e nipote sembrano fatti l'uno per l'altra, tanto che la pulsione dell'incesto viene tesa come un arco che non si decide a scoccare la freccia. India è una predatrice, ammaestrata fin da piccola: Richard Stoker non praticava quell'hobby per se stesso o per i trofei che adornano il suo studio di ricco architetto, ma lo faceva per lei, per sua figlia.

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