giovedì 30 aprile 2015

Adaline - L'eterna giovinezza di Lee Toland Krieger. 2015

Quanto sollievo, alle volte, può destare un capello bianco, perchè Adeline sembra una giovane donna impiegata in una biblioteca, ma in realtà mentre, intenta a sbobinare una vecchia pellicola dei primi anni del 900, attraversa eventi, luoghi, accadimenti, ci fa scorgere in quelle immagini proiettate, momenti salienti della sua vita che si è fermata appunto in un giovane tempo. Tutto ebbe inizio nel 1908 quando ella nacque, eppure giureresti che l'ambientazione non ti è sembrata così vetusta; poi ormai cresciuta, ebbe un tragico incidente con la sua automobile, momento tragico in cui rischio’ la vita, se non fosse stato per la coincidenza di fenomeni fisici, climatici e forse anche di magia che la coinvolsero a tal punto da restituirla da quel momento in poi per sempre giovane alla vita. Adaline da quel momento in poi cessa d'invecchiare, si fermerà per sempre a 29 anni. Ogni dieci anni, per non finire in un laboratorio come cavia, deve però cambiare vita e identità, uffici, lavori, persone, ambienti..ma non sicuramente l’amore per sua figlia, che, intanto, cresce, invecchia e sembra sua nonna. Adaline (ma anche Jennifer e altri nomi) è testimone di quel “diventare spettro” a cui si riferiva Barthes quando assimilava la fotografia ad un’esperienza di morte. Poco scavo psicologico, possibile che la figlia sia così serena e senza traumi nel vedere sua madre sempre così giovane? Scontato il finale e privo di colpi di scena, tutto viene salvato da recitazione e fotografia.

martedì 28 aprile 2015

Le donne vere hanno le curve di Patricia Cardoso. 2002

"Non c'è miglior ornamento addosso, della carne attorno all'osso"
Ragazze di origini messicane che abitano a Los Angeles. Questo il sottotitolo. Lei brillante a scuola, estroversa, simpatica, con geniori ancorati al secolo scorso che cercano in tutti i modi di ostacolare la sua maturazione. Ma Ana di quella tradizione ha solo sentito parlare, non è più la sua. Anche questo film s'inserisce in quel filone di denuncia delle difficoltà che gli immigrati di seconda generazione devono affrontare. E non solo: Ana è una ragazza in carne, con la madre che vorrebbe vederla, invece, magra, sposata e senza tante ambizioni. Ma Ana esce di nascosto con un ragazzo di Beverly Hills, abbandona il lavoro nella sartoria sottocosto della sorella (non prima di aver risvegliato la coscienza sociale delle lavoratrici) e, grazie ai suoi brillanti risultati scolastici nel più esclusivo liceo della città, ottiene l'ammissione alla migliore università del paese. Nella primissima parte del film, lo spettatore non si rende quasi conto di essere nella elegante e caotica Los Angeles perché ovunque ci sono segni e costumi propri della comunità messicana e solo quando la ragazza approda con l'autobus al liceo che l'insegna di Beverly Hills ripresa in primo piano fa realizzare che l'ambientazione del film è negli Stati Uniti. Così come la Toula de "Il mio grosso grasso matrimonio greco" anche Ana ha un ragazzo yankee che la accetta anche se il suo aspetto non è quello tanto esaltato dai canoni della società attuale e come la Jess di "Sognando Beckham" anche Ana ha un sogno nel cassetto osteggiato dalla sua famiglia: andare all'università e continuare gli amati studi. E ondeggiando le sue cruve mozzafiato su una strada di New York il film si chiude. Stucchevole, ma leggero e divertente.

giovedì 23 aprile 2015

Mia Madre di Nanni Moretti. 2015

“Perché fate sempre quello che dico? Il regista è uno stronzo, a cui voi permettete di fare tutto!”
La storia dell'elaborazione di un lutto vero, la morte della madre, Agata Apicella, professoressa di lettere al ginnasio, scomparsa nel 2010 durante il montaggio di "Habemus Papam". L’attore è a fianco e non dentro il personaggio, così Margherita Buy diventa qui il doppio di Nanni Moretti, lui, nei panni di se stesso è la parte saggia, moderata, calibrata, l'altra femminile è più nevrotica e confusionaria. Margherita è Nanni Moretti, è il Nanni Moretti sofferente che proietta se stesso continuamente in ogni personaggio, ma che profondamente teme se stesso. Ottima Margherita Buy, la sua migliore interpretazione, Moretti è, invece, Giovanni, il fratello pacato di Margherita, ma il film rimane emotivamente privato, è "sua" madre che muore e per quanto sia un taglio al cordone ombelicale per tutti, non si sente la sofferenza personale. Moretti non voleva farci piangere, questo è sicuro, non avrebbe mai puntato su una scleta così banale e facile: il consenso tramite il sentimentalismo, la pornografia dei programmi mediaset. Il dolore vero è laterale, hai troppo pudore per far vedere che ti ha dilaniato il cuore. Ma una bolletta che non si trova diventa quell'escamotage in cui poi dare sfogo alle lacrime, tanto che un appartamento si allaga e i quotidiani (il quotidiano, il ricordo) non assorbono nulla. Tu dirigi un film e tua madre fuori dal set sta morendo, Giovanni lascia il lavoro, lui è un bambino, non si sente affatto "troppo vecchio per trovarne un altro". Il dolore è sottrazione, "mi si nota di più se alla festa non ci vado?" Diversamente dal fratello, Margherita non smette di lavorare, ma, pur avvertendo l'inautenticità del suo film, si limita a piccole insofferenze come quella verso il trucco degli attori, critica il loro aspetto fisico, poco vero. Nel disagio che si avverte sul suo set si sente il cattivo sapore del cattivo cinema, un cinema che non riesce più a cogliere la realtà, né a dire il vero. Lei alla conferenza stampa non sa cosa dire, recita. "A cosa pensi", dice la Buy alla madre, sul letto di morte. "A domani", risponde lei.

giovedì 16 aprile 2015

The Cut di Fatih Akin.2014

Anche il secondo Ulivo d’Oro alla carriera di questo 16° Festival del Cinema Europeo di Lecce, dopo quello a Bertrand Tavernier, ha raggiunto il suo destinatario: Fatih Akin, il tedesco turco che nel corso della sua energetica carriera si è scoperto sempre più prima turco che tedesco.
A Mardin in Armenia, nel 1915 , durante una notte qualsiasi, la polizia turca rastrella tutti gli uomini armeni della città, compreso il fabbro Nazaret, il quale viene prelevato a forza dalla sua casa e dalla sua famiglia.Nazaret diventa schiavo delle armate turche, costretto ai lavori forzati ed a grandi serie di umiliazioni, insieme agli altri uomini armeni. Verrà salvato dallo sgozzamento, il suo aguzzino era, in realtà, un ladro che gli salva la vita, ma gli recide le corde vocali. A tutti gli altri armeni del suo plotone verrà, invece, tagliata la gola. Ma le sue figlie sono in vita, solo questo lo spinge a non lasciarsi vivere. L’epopea verso l’occidente è coinvolgente, scenograficamente e fotograficamente strabiliante, allontanandosi dai soliti cliché, a muoverlo è solo l'amore per le gemelle, ormai orfane.Il regista, con questo film, - come ha spiegato ieri al cinema Massimo, ospite del Festival del cinema europeo- conclude la trilogia su Amore, Morte e Diavolo. The cut è la ferita al collo del protagonista, la gola tagliata degli armeni non in grado di ribellarsi alle violenze dei turchi.
L’idea del ritorno alle proprie radici, come via per ritrovare se stessi, è da sempre presente nel cinema di Fatih Akin, ma il suo nuovo film si muove su un percorso diametralmente opposto: il protagonista è,infatti, strappato con violenza dalle sue radici e dalla sua famiglia, tagliato, sradicato e per restituire un valore alla sua vita è costretto ad allontanarsi dal suo paese e dalle sue tradizioni. Notizia recente è stata quella dell’attacco della leadership turca alla dichiarazione di Papa Francesco secondo cui il genocidio degli armeni sarebbe stato il primo genocidio del XX secolo. Interrogato sulla questione Akin ha giudicato estremamente aggressiva e insensibile la reazione turca, ricordando anche che è stato proprio un turco a sparare a Papa Giovanni Paolo II e ha sottolineato come molti paesi non accettano ancora oggi genocidi di cui sono stati responsabili, su tutti l’America nei confronti delle popolazioni native o degli schiavi neri; la Germania è stata costretta a riconoscere l’olocausto solo perché è uscita sconfitta dalla II Guerra Mondiale.

giovedì 9 aprile 2015

La scelta di Michele Placido. 2015

Il drammatico proprio non si addice a Michele Placido e mi chiedo che cosa gli abbia fatto di male Pirandello. Il film funziona solo quando Placido è nei panni del commissario, il sentimentale è lontano anni luce dalle sue possibilità. In La Scelta c’è uno stupro (rigorosamente fuoricampo) che cambia l’equilibrio della coppia protagonista, equilibrio che non si capisce nemmeno prima dello stupro. Cercavano di avere figli da tempo e senza successo mentre ora, avvenuta la violenza, lei è incinta e forse appositamente solo pochi giorni dopo la violenza ha insistito per fare sesso, così che la paternità sia incerta. Decisa a non sporgere denuncia e cancellare l’evento violento dalla sua vita lei, determinato ad affrontare la questione e a non avere il figlio di un altro lui, si scontrano mettendo a repentaglio la loro unione.

venerdì 3 aprile 2015

Le dernier loup di Jean-Jacques Annaud. 2015

"Non si cattura un dio per farne uno schiavo"
1969 e piena rivoluzione culturale, Chen Zhen, un giovane studente di Pechino viene inviato nelle zone interne della Mongolia per insegnare a una tribù nomade di pastori a leggere e scrivere. Ma sarà Chen ad imparare: conoscerà, fino ad innamorarsene, la steppa e il dio della steppa, il lupo . Sedotto dal complesso e quasi mistico legame che i pastori hanno con il lupo e affascinato dall'astuzia e dalla forza dell'animale, Chen ne cattura un cucciolo per studiarlo e addomesticarlo. Ma qui, i lupi della regione, quando non hanno gazzelle a sufficienza per sfamarsi, vengono eliminati...e sarà incontro/scontro tra uomo e natura. Il lupo per i mongoli è un Dio, parte da questo preupposto Lü Jiamin. lo scrittore cinese che sfidò il comunismo, guardia rossa eretica che scelse di esser mandato lì in rieducazione per salvare dal rogo i suoi amati libri (nel film questo particolare è appena accennato). Chen Zhen (alias di Lü Jiamin), testimonia la storia di un’epoca di grandi mistificazioni, di modelli culturali imposti con la forza e di indicibili sofferenze procurate al popolo. Seppur WWF (il salotto bene dell’ambientalismo) affianchi alla promozione del film il progetto “Adotta un lupo” (un nome tremendamente discordante col filo conduttore del film), i predatori di Annaud sembrano il lupo cattivo di Cappuccetto Rosso. Troppo sempliciotti e favolistici i dialoghi.
Il film narra anche dello scontro tra una civiltà fondata solo sulle dottrine e sui libri e una barbarie libera e feroce che basa le proprie conoscenze sull’esperienza vissuta, sulla forza forgiata proprio nell’affrontare e provare sulla propria pelle le difficoltà più estreme, sulla saggezza popolare fondata sulle cose più semplici e che spesso ridicolizza le convinzioni più moderne ed “evolute”. Scontro che si trasformerà ben presto in astio tra il popolo cinese, mercante e mangiatore di riso, verso il popolo mongolo, cacciatore e mangiatore di carne, ritenuto rozzo ed analfabeta ma che proprio per la sua superiorità spirituale e fisica era riuscito a piegare i propri nemici fondando l’Impero più vasto del mondo, fatto per cui i cinesi ancora provano rancore. E quest’astio si concretizzerà nell’odio irrazionale e brutale da parte dei cittadini, dei contadini, dei cinesi e del governo comunista verso la figura del Lupo, il totem del popolo delle steppe. Da qui l'ordine dello sterminio: il Lupo rappresenta la vita, mentre i poveri piccoli animali erbivori che i cinesi vogliono salvare dai cattivi predatori carnivori, sono i più dannosi perché divorano l’erba. P.S. Per chi non lo sapesse in bocca al lupo è un bell’augurio perché la mamma lupa tiene i suoi cuccioli in bocca per proteggerli. P.S.S. I lupi non si suicidano

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