sabato 29 settembre 2018

Battle of the Sexes di Jonathan Dayton, Valerie Faris. 2017

Ho adorato Little Miss Sunshine, così ho recuperato La battaglia dei sessi (degli stessi registi), che ha avuto l'ambizioso compito di riportare alla luce la celebre partita di tennis avvenuta il 20 settembre 1973 tra Bobby Riggs e Billie Jean King Il film ricostruisce l'atmosfera tagliente di quegli anni in campo sportivo, scandendone tutte le tappe, fino ad arrivare al famoso match conclusivo: novanta milioni di telespettatori sintonizzati davanti alla tv per vedere un cinquantenne ex campione di tennis, autodefinitosi 'porco maschilista', sfidare una 29enne campionessa in attività, da mesi in guerra con la federazione tennistica americana per riconoscere a lei e alle sue colleghe un compenso pari a quello maschile. Billie Jean in seguito, infatti, ruppe con la federazione tennistica per fondare la Women’s Tennis Association, inizialmente considerata illegale, diventando la prima tennista a guadagnare oltre 100,000 dollari all’anno. Negli anni settanta erano già nati negli Stati Uniti, sull'onda del famoso 68' europeo e mondiale, il movimento femminista e la rivoluzione sessuale. In questo contesto nacque negli anni settanta nell'ambiente tennistico statunitense l'idea di fronteggiare queste richieste per avere una retribuzione equa tra uomo e donna ed i movimenti femministi correlati con delle sfide dimostrative sul campo da tennis .
Settantatre. Anno epocale per noi femministe: venne approvato il Titolo IX della Costituzione, che ratificò la parità dei diritti fra uomo e donna, e la Corte Suprema emise una storica sentenza sul diritto all’aborto. Il resto è storia, il resto è Billie Jean King. Femminista convinta, lesbica, vorace sportiva, interpretata da un'ineccepibile Emma Stone. Contro l'egocentrico e narciso Bobby Riggs, uno scommettitore seriale mantenuto dalla ricca moglie, che attacca le tenniste, perchè "umorali e inadatte a reggere emotivamente una gara contro un uomo" e che sfida col fine di dichiarare la sua presunta superiorità ( ma a fior di sponsor ovviamente) Entrambi indossano una maschera di fronte al mondo e agli altri, che calano solo quando scendono con una racchetta in mano nel rettangolo da gioco. Lì, in quell’istante, sono liberi, e si rivelano per ciò che sono: in fondo un po'uguali. Entrambi incostanti nei rapporti umani, soli perché incapaci di legarsi veramente a qualcuno. Impossibile non pensarre a Serena Williams e all'unicità delle tenniste, icone assolute di femminismo. Vi adoro.

mercoledì 26 settembre 2018

La ragazza del mondo di Marco Danieli. 2016

Gli uomini e le donne “del mondo” sarebbero, secondo i testimoni di Geova, tutti quelli che non appartengono alla loro comunità. Voi lo sapevate? Come tutti, ho una visione di questo credo molto stereotipata: per me i testimoni di Geova sono quelli che hanno un'ossessione per i citofoni la domenica mattina, quelli che si spostano sempre in coppia e con vestiti vintage e borsetta, quelli con un'attenzione esagerata al proselitismo, quelli a cui è vietato festeggiare i compleanni e ricevere trasfusioni di sangue. E credevo fosse davvero tutto. Prima di guardare questo film.
Tuttavia, "La ragazza del mondo" non è una pellicola di denuncia contro i testimoni di Geova, non è un film d’inchiesta e non è neanche un documentario” e non è neanche un film sentimentale sebbene ruoti intorno alla storia d'amore dei due protagonisti Giulia e Libero, perché “l’amore è usato come veicolo per uscire dalla comunità” e affrontare poi altre sfide. I due ragazzi seguono due binari paralleli, rappresentano due vite nell’illegalità: da una parte c’è Giulia e le regole rigide di famiglia e comunità, che vive in esilio dai rapporti con gli impuri che non seguono la parola delle Sacre Scritture. Dall’altra parte c’è Libero: lui sì che vive nell’illegalità estrema e non simbolica, vista l’attività di pusher che porta avanti. Due mondi separati finché non entra in gioco l’amore che fa deviare i binari in un’unica retta. I due per colpa della sorella minore di Giulia sono scoperti e Giulia si trova di fronte ad un difficile scelta: rinunciare alla sua indipendenza rimanendo all’interno della gabbia di regole che la “proteggono” dal mondo o lasciarsi andare alla passione proibita e abbandonare la famiglia? Sarà “disassociata” e costretta all’esilio. Che cosa significa disassociata? Detto in soldoni "non esisti più" ed è vietato da parte degli altri adepti anche solo comunicare con chi viene cacciato, familiari compresi. (Sono senza parole, sono completamente estranea a queste pratiche e ho stentavo a credere durante la visione potesse essere realtà e non un'esagerazione del regista) Duro il confronto di Giulia dinanzi agli anziani che la interrogano sulla sua relazione proibita- la scena più ripugnante- in cui la ragazza è spogliata della sua intimità in nome della “Verità”: sarà costretta a rispondere tra le lacrime a domande morbose e insistenti sui dettagli relativi ai suoi incontri sessuali con Libero. La Corte suprema di Mosca ha vietato l’attività dei Testimoni di Geova definendoli “estremisti”, prevedendo il sequestro dei beni, multe tra 300 mila e 600 mila rubli (circa cinque, dieci mila euro) ed il carcere da sei a dieci anni di prigione. In tutto in Russia si contano 175 mila fedeli. Ah, ora lo so, la prossima volta che mi citofonerranno risponderò convinta: "sono una dissasociata, grazie"

martedì 25 settembre 2018

A Bigger Splash di Luca Guadagnino. 2015

Che Luca Guadagnino sia un egocentrico ce lo dicono i suoi film, soprattutto "A bigger splash". Potrei annoverare questa sua pellicola tra le peggiori del regista, il difetto è soprattutto della sceneggiatura di David Kajganich, rarefatta, troppo inconcludente, troppo grossolana, con battute veramente infantili ("siamo tutti osceni"). Il film deve il suo titolo ad un quadro di David Hockney, che raffigura appunto uno spruzzo in piscina, dovuto ad un tuffo appena avvenuto, un gesto impetuoso. Ed è questa la chiave della storia: gesti impetuosi, di pancia, istintivi. La trama è ispirata, invece, ad un film piuttosto simile, ma qualitativamente migliore: “La piscina”, film francese del 1969 firmato da Jacques Deray e interpretato da Alain Delon, Romy Schneider, Maurice Ronet e Jane Birkin. Una processione religiosa, in cucina del cibo di voluttuosa bellezza. Questo è quello che funziona. Per il resto c'è una piscina, un morto e quattro snob: una cantante rock famosissima, il suo ragazzo fotografo toyboy, il suo produttore e la figlia di questo (l’unica che risulta convincente, Dakota Johnson nei panni di una Lolita con un’indole fragile e sensibile) in una villa a Pantelleria in estate.
L’intesa erotica tra la protagonista Marianne e il fidanzato è fortissima: passano le intere giornate praticamente nudi nel giardino della loro villetta, presi da un sano e dolce far niente. Riesce a far peggio il maresciallo Guzzanti. Quando Marianne, la rockstar protagonista, gli fa intendere: forse l'autore del delitto è uno dei clandestini dell'isola, lui le risponde "li abbiamo già offesi molto, questo non potrà offenderli di più", goffo tentativo di voler strizzare miseramente l'occhio alla problematica "clandestini". Ma non bastano questi accenni per fare di te un intellettuale impegnato, caro Guadagnino. Regia mediocre, patinata e finta

domenica 23 settembre 2018

“Il racconto dei racconti – Tale of Tales” di Matteo Garrone. 2015

«A ogni azione corrisponde una reazione», questo l'equilibrio su cui si regge il mondo: ovvero ogni nostra azione genera un effetto boomerang, a causa del quale compiere il male significherebbe pagarne le conseguenze. Questa la massima di fondo su cui regge "Il racconto dei racconti", ispirato a Lo Cunto de li Cunti overo Lo trattenemiento de'peccerillei, detto anche Il Pentamerone, a similitudine del Decamerone di Boccaccio, di Gianbattista Basile. L'intento di Basile non fu mai quello di raccontare fiabe, ma di prendersi gioco degli aristrocratici, ed usa la fiaba perchè sono un genere che non passa mai di moda, allo stesso modo in cui mai nasce e mai muore l’istinto degli uomini di raccontare storie per raccontare se stessi.
Tre storie di passioni incontrollabili e fetide, di tre personaggi che vogliono solo soddisfare i loro capricci. Tre sovrani, perciò il loro volere è legge, legge inderogabile; chiunque li “scavalchi”merita una pena esemplare. Il film è la storia dei loro tre egoismi che, nutriti del loro nulla, ingrassano fino a raggiungere dimensioni abnormi (esemplare la storia della pulce) Mostri, ragazzi albini, lunghi capelli rosso fuoco, il cuore gigante da mangiare su un tavolo bianco, sembra di assistere ad una mostra di antiche pitture fiamminghe, a evocare sensazioni ancestrali e primordiali. Una fiaba corale sulle tematiche anti-eroiche del desiderio più ossessivo e della prevaricazione, dalla meschinità caricaturale dei suoi protagonisti, alle loro pulsioni. Una vera gioia per gli occhi: vistoso, eccessivo, onirico, con continui richiami pittorici a Goya, Velasquez e persino ai preraffaelliti inglesi dell’800. Stravolgenti le colonne sonore di Alexandre Desplat

venerdì 21 settembre 2018

Dogman di Matteo Garrone. 2018

Il film si apre con le fauci ringhianti di un minaccioso pitbull. Di fronte a lui, un omino che prova ad ammansirlo, “amore, amore”, “bravo, bravo”, per lavarlo e asciugarlo. Intorno, nel quartiere, ComproOro, sale di slot machine, palazzi d’asfalto non rifinito e un perenne clima uggioso . Si stanzia qui il salone per cani Dogman in cui Marcello, tra infissi in alluminio e attrezzi di lavoro un po'alla buona lava, pulisce e sistema cani con un amore infinito. La storia è quella di Pietro De Negri, detto er Canaro, proprietario di un negozio di toelettatura per cani alla Magliana: trent'anni fa esatti, stufo di essere vessato e umiliato da Giancarlo Ricci, lo rinchiuse in una gabbia per cani sul retro del suo negozio e lo uccise senza pietà, amplificando poi il racconto con gli inquirenti. Le indagini tuttavia appurarono che una gran parte di quanto riportato era stato frutto di fantasia e che soprattutto le mutilazioni furono inflitte sul corpo morto. Matteo Garrone ripesca questo delitto, lo studia, suggestionanto anche lui sicuramente dalle personalità forti che ne furono protagoniste, decidendo di soffermarsi principalmente su quanto illusoriamente er Canaro aspirò col suo gesto ad una redenzione personale.
Gli spazi che occupano i due protagonisti sono tali da mettere in evidenza la loro differente conformazione fisica: da pugile e massiccia quella di Simone (Ricci), rachitica e innocua quella di Marcello (er Canaro): in nessun momento si è portati a pensare che Marcello possa essere una minaccia per Simone. Anche perché Marcello è sensibile, mite (non come il vero Canaro), un uomo tranquillo. Ama i cani Marcello, si prende cura di loro con amore. Saranno proprio loro i testimoni involontari della bestialità umana, in silenzio assistono alle torture e diventano così l'emblema dell’insopprimibilità dell’istinto. Ciò che emerge è che Marcello non ama abbastanza se stesso ,non dice mai di "no" a Simone e il corpo esamine che nelle scene finali lui brandisce come un trofeo sulle spalle, lo schiaccerà fino ad opprimerlo. Il suo è uno straziante bisogno di essere amato, di riappropiarsi di quel microcosmo che lo faceva sentire vivo. E difficilmente riuscirete a dimenticare gli occhi del Canaro, una maschera che sembra rubata da un film di Pasolini. Straziante.

giovedì 20 settembre 2018

Lazzaro felice di Alice Rohrwacher. 2018

Il cinema di Alice Rohrwacher ipnotizza come lei, è libero, surreale, fresco. Pasoliniano. Lazzaro è il Lazzaro dei Vangeli, non solo colui che risorge cioè, ma colui che Dio piange morto e per questo risorge. Il prescelto, il meritevole, la scelta del nome non è casuale. In "Lazzaro felice" gli occhi della regista sono rivolti verso gli ultimi, tutti attori non protagonisti (scelte difficili, ma spesso vincenti). Schiavi, nullatenenti ma con la gioia di vivere, perchè per dirla alla Rousseau è la natura ad essere il modello ideale, la disuguaglianza fu introdotta dalla proprietà privata. Mezzadri quando la mezzadria era stata già bandita per legge, (si faticherà all'inizio, infatti, a dare una collocazione spazio-temporale) servi della marchesa Alfonsina, interpratata da Nicoletta Braschi. Lazzaro (il giovane protagonista) intreccerà un'amicizia vera e sincera proprio con il figlio della marchesa, mettendo in evidenza quanto esistano due medioevo, uno storico, ma anche e soprattutto uno umano: quello di Tancredi (figlio della marchesa) e della società che "libera" i mezzadri.Quello in cui la democrazia trae in salvo gli schiavi per gettarli poi, soli, in un sistema comunque chiuso, e classista.
Il messaggio- devo ammetterlo- è un po'banale, così come anche la scrittura che a tratti regge poco: come si può negli anni Novanta, in piena tecnologia credere che questi contadini non si ribellino e non abbandonino il campo di lavoro? E poi perchè Lazzaro, il buono, è un po' bonaccione? Parla coi lupi, risorge, è una figura un po'messianica, aiuta tutti, non conosce malizia e male. Ma la bontà, per essere tale, ha bisogno davvero di essere acritica e inconsapevole? La ribellione, uno spirito critico non possono appartenere anche ad un "buono"? Il vento è un elemento sonoro ricorrente nel film, magico, da favola. La Rohrwacher non mi convince mai del tutto, però -cazzo- se ha stile.

domenica 16 settembre 2018

Sulla mia pelle; gli ultimi sette giorni di Stefano Cucchi di Alessio Cremonini. 2018

a Stefano, ennesima vittima delle barbarie dell’uomo.
#StefanoCucchi viene arrestato la notte del 15 ottobre 2009 per possesso di hashish e eroina. In tribunale si presenta con i lividi al viso e zoppicante, senza riuscire a reggersi in piedi da solo. Sulla mia pelle inizia mostrandoci da subito la morte di Stefano Cucchi, il suo corpo esanime, insensibile ai richiami dell’infermiere, ormai avvolto da un buio eterno. E poi fa un salto indietro di sette giorni: dal giorno dell'arresto a Cucchi detenuto. Il rifiuto di Stefano Cucchi nel voler raccontare le reali cause delle sue ferite, aspetto valorizzato insistentemente dal film, ci fa precipitare in un senso di impotenza perenne, un senso di ingiustizia angosciante di un ragazzo fragile che aveva già capito quello che "conveniva" fare. Il fulcro del film è il corpo di Stefano, o meglio del divino Alessandro Borghi (da pelle d'oca, fidatevi di me) che lo incarna. Il pestaggio non viene riportato nel film, ho apprezzato la scelta, in primis per non riportare della violenza crudele e gratuita e per farla intuire, però, attraverso il corpo martoriato di Cucchi che diventa così il protagonista assoluto e in seconda istanza per non cadere nel clichè della banalità scontata e del pietismo, scelta di consenso troppo facile. Che Stefano Cucchi non merita. Ad oggi, non si sa ancora esattamente cosa sia successo in quei terrificanti sette giorni durante i quali Cucchi rimase in custodia cautelare, in attesa del processo. Quando Stefano Cucchi muore nelle prime ore del 22 ottobre 2009, è il decesso in carcere numero 148. Al 31 dicembre dello stesso anno, la cifra sale a 176: in due mesi trenta morti in più, si legge nei titoli di coda. L'inchiesta fu aperta solo nel 2015 Un omaggio reale, crudo, asciutto per rivivere il calvario di Stefano, ormai rassegnato, all'interno di un meccanismo nel quale si sentì profondamente solo. E avremmo solo voglia di proteggerlo. Da tutto. Perdonaci.

mercoledì 5 settembre 2018

Logan di James Mangold. 2017

Non ho mai guardato film sugli X-men. E già l'esordio mi predispone male a scrivere qualche riga su Logan. Ma ci provo. E'il canto del cigno di Logan, il suo estremo saluto. Si sta per scrivere la parola The end. Anno 2029: Logan è malconcio, invecchiato, non veste più i panni dell'eroe da molto tempo. Il mutante ora fa l'autista di limousine e accudisce il novantenne Xavier in una cittadina messicana. Il suo vecchio mentore soffre di una non precisata malattia degenerativa del cervello e, con i suoi poteri, sarebbe rischioso tenerlo all'aria aperta, così Logan lo ha confinato in una cisterna.
I Reavers, scagnozzi che lavorano per la multinazionale Transigen, intenzionata a controllare la mutazione per usarla come arma, bussano alla loro porta. Una donna messicana segue Logan, vuole il suo aiuto: apparentemente un passaggio per il North Dakota, del resto lui è un autista ormai. Ma la morte della donna lascia presagire dell'altro. Ma la vera protagonista è X-23, una bambina mutante di nome Laura che ha gli stessi poteri rigenerativi di Wolverine, con tanto di artigli. Come altri bambini "speciali" è nata e cresciuta in un centro genetico. Questa ragazzina ha uno sguardo che buca lo schermo e sembra fatta, o meglio “creata” apposta per questo ruolo. Una piccola e feroce perfetta “Wolvi” in miniatura che sogna la libertà e brama più di ogni altra cosa l’amore che le è stato negato sin dalla nascita. Lotta al razzismo e alla paura del diverso. Un film che mi ha spiazzato perchè da questo genere non mi aspettavo una grande anima. Che, invece, troverete. Da oscar il montaggio sonoro.

martedì 4 settembre 2018

Paradies: Liebe di Ulrich Seidl. 2012

Un po' cinico e volgare, a volte crudele. Perchè è la verità ad esserlo. Ma vincente, come la scelta di girare un film di finzione come fosse un documentario. Gli autoscontri e un gruppo di disabili, la provincialità, l'emarginazione, la bruttezza esteriore, quotidiana, distruttiva Qui non c'è spazio per la magia cinematografica, la pellicola lavora di sottrazione, il quadro è fisso: gli effetti dell'economia e la cultura occidentale.
Va, infatti, in scena il turismo sessuale praticato da attempate signore austriache e tedesche. Ma chi è la vittima, chi il carnefice? Il viaggio di Teresa in Kenya è un safari, è una caccia a uomini che sono visti come animali. Hakuna matata, non ci sono problemi, le signore hanno i soldi e il materiale umano abbonda, arrendevole, corrotto per bisogno, a sua volta cinico, ma senza scelta. Degrado, umiliazioni, disgusto e pietá. Le pieghe massicce del corpo di Teresa e le ossa sporgenti del giovane offerto dalle sue amiche come regalo di compleanno. Un cinema antiborghese volto a smascherare quel finto benessere insito in molti europei.Teresa è sola: la figlia dimentica di chiamarla il giorno del suo compleanno, cerca dolcezza mentre fa sesso, moralisti e sentimentali i suoi lunghissimi preliminari, umiliante quando al festino il giovane del posto non raggiunge l'erezione. Subito dopo, il rifiuto del barista in camera da letto di praticargli un cunnilingus, la sconfitta finale, la perdita della dignità, la maestosità nel lasciarsi vincere dal disgusto verso se stessi. Funziona. Perchè per quanto un po'confusi, si vuole solo andare avanti nella visione per capire dove siamo finiti, senza accorgercene.

lunedì 3 settembre 2018

Nocturnal Animals di Tom Ford. 2016

Ho guardato Animali notturni perchè in molti me lo avete consigliato, forse come tentativo di sabotaggio alla mia già precaria serenità mentale. Di Tom Ford avevo già visto- ben sette anni fa- Single Man. Come il suo film di esordio, anche questo è un film teso e complesso, ambientato per buona parte nell'oscura e minacciosa frontiera del sud del Texas, che si trova quasi in mezzo al nulla, una pianura selvaggia che si estende senza confini. Susan, la protagonista, è l’animale notturno, quella che non riesce a dormire, quella che si chiede chi mai avesse comprato il manifesto con su scritto "Revenge", per sentirsi rispondere che era stata lei stessa a volerlo. Verso di lei si snocciola la vendetta che è alla base del film. La pellicola si apre con l’inaugurazione di una mostra, dove sono esposte delle donne obese vestite da majorette, nell’ambiente magro, mondano e sterile di una galleria d’arte contemporanea californiana. Il contrasto tra la società bella e impassibile che la protagonista ha scelto di frequentare e quella brutta, ma viva, che ha rifiutato è la parte viva del film. Le immagini del mondo di milionari che frequenta Susan sembrano artificiali, come artificiale è la felicità che la sua famiglia ha apparecchiato per lei. Al contrario il mondo sporco di terra e pieno di sterpaglie dove si svolge la vicenda del romanzo è vero, ma anche spietato e profondamente ingiusto.
Di forte impatto estetico, ipnotico, ambiguo, affascinante. Come lo sguardo di Susan. Notevole la scena in cui si prepara per incontrare l'ex marito. Perfetta la scelta del suo vestito verde e il rossetto appena steso e ripulito a lasciar intendere la voglia di intimità come preludio all'incontro. Quanto amiamo questi piccoli dettagli di Ford.

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