giovedì 17 ottobre 2019

Grâce à dieu di François Ozon. 2019

Spotlight alla francese. Il clichè anticattolico dell'anziano prete che si trascina a fatica ormai stanco, ma con un passato di abusi sui chirichetti in sagrestia, o al camp estivo con gli scouts, con le voci bianche del coro è in questi casi sempre in agguato. François Ozon sceglie coraggiosamente di inoltrarsi in questo scivolosissimo e impervio terreno, firmando, però, la migliore opera possibile, oggi, sulla pedofilia, mai scritta per il cinema. Tratto dai fatti realmente accaduti nella diocesi di Lione, con padre Bernard Peyrat, abusatore per decenni di ragazzini a lui affidati. E contro Barbarin, il suo superiore, accusato di avere coperto i misfatti del sacredote pedofilo senza rimuoverlo. Due ore e venti di ricostruzione minuziosa dei fatti, delle storie intrecciate dei tre protagonisti principali: una staffetta che alla fine confluisce in un affresco plurale. Saranno tanti purtroppo i casi registrati! Tutto comincia con l'indignazione di Alexandre, quarantenne, banchiere, cattolico credente e praticante, sposato con cinque figli, che apprende che père Peyrat, il prete che lo ha abusato, non è ancora stato estromesso dalla Chiesa, anzi non è mai stato sanzionato né condannato e continua a lavorare con i più piccoli come catechista. Da lui si origina un effetto-valanga che culmina nella fondazione di un gruppo, "La parola liberata" con lo scopo di fare pressione sulla Chiesa e le istituzioni. Ozon constata e descrive: entra nel narcisismo di François, nell’incomunicabilità tra Emmanuel e il padre e nelle relazioni tossiche che ne derivano.
Affascinante la ricostruzione delle personalità e dei loro doppi- fiore all'occhiello nel cinema di Ozon. Il realismo è davvero tagliente e soffocante, soprattutto nella descrizione della Lione altoborghese e di quel cattolicesimo francese colto, riservato, trattenuto e intransigente. Fatto di grandi corridoio da percorrere con passo felpato, in silenzio, in cui nessuno urla quel segreto noto a tutti ma sottaciuto. Davvero - come sempre- un grande cinema.

giovedì 3 ottobre 2019

Joker di Todd Phillips. 2019

L’idolatria di questo ultimo mese- a seguito delle proiezioni in anteprima tra Venezia e Stati Uniti, ha generato un po'di confusione tra le performance del suo protagonista, un Joaquin Phoenix davvero davvero spaventoso e il resto del film. Quando un'opera è attesa in maniera spasmodica il rischio delusione delle aspettative è altissimo, soprattutto se il film è strutturalmente esile e con una trama fin troppo lineare. Arthur piange quando ride e lo fa in modo incontrollato, soprattutto quando un'ingiustizia lo sta opprimendo tanto da strozzargli il respiro.
Vive ai margini di Gotham City (chiaramente la New York violenta dei primissimi anni ‘80) invasa dalla spazzatura, una depressione economica ha mandato allo sbando la città, i tagli ai servizi e all’assistenza ai più deboli hanno prodotto un diffuso malessere sociale e un sentimento di odio nei confronti della politica e della borghesia, bersagli dell’odio degli emarginati. Arthur è un ex paziente psichiatrico che tenta un reinserimento in società, ma ogni tentativo risulta più duro del previsto. Vorrebbe far ridere, sogna, infatti, di fare il comico, ma alla fine è la gente che ride di lui. Diventa allora Joker. Gotham City è la quintessenza della società dello spettacolo, della falsità, prova ne è il narcisismo esibizionistico di Joker che trasforma strade e scalinate nel palcoscenico su cui ballare le note degli adorati musical. Ho trovato davvero banale la rappresentazione del "male" e della violenza annidati nel clichè dell’emarginazione, nell’assenza di empatia e nel mancato sostegno ai più bisognosi. Phoenix polarizza letteralmente tutto il film, è corrosivo e patetico e annebbia del tutto tutte le prove attoriali precedenti su Joker: da Nicholson a Ledger. Joker è sarà per sempre il caos e l'anarchia di Phoenix, della sua risata isterica, improvvisa e strozzata, delle sue unghie rosicchiate fino alle stremo, delle sue mani nervose passate nei capelli, della sua andatura trasognata, traballante e danzante. E' già un cult.

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