venerdì 29 gennaio 2010

Avatar. Io ti ho visto

2154. La Terra è in crisi, la chiave per la risoluzione dei problemi del nostro pianeta è un minerale: unobtanium, che si trova sulla luna Pandora, un corpo celeste d'indigeni umanoidi dai corpi slanciati e bellissimi, molto alti, bluastri, visi felini, chiamati Na'vi. Il sito principale di estrazione è stato localizzato al di sotto del gigantesco albero, sede spirituale della tribù aborigena. Jake Sully è un ex marine costretto su una sedia a rotelle, adoperato per rimpiazzare il suo fratello gemello, prematuramente scomparso, nel progetto Avatar. Il progetto è molto delicato: bisogna trasferire le coscienze all'interno del corpo di un Na'vi creato in laboratorio, per potersi così muovere su Pandora, la cui atmosfera è tossica per l'uomo. La cultura Na'vi è affascinante, panteista e mistica, adoratrice di una divinità chiamata Eywa. Jake ne rimarrà folgorato, si calerà nella loro spiritualità, nei loro riti mistici, s'innamorerà di quel pianeta ( e non solo di Pandora). Il suo cuore batterà per la bella Neytiri e quando dovrà scegliere da che parte stare, combatterà l’invasore alieno, le cui motivazioni sono ormai dettate solo da logiche capitalistiche e imperialistiche, al fianco dei suoi nuovi fratelli, dimostrando di essere un vero guerriero Na’vi.
Non è tanto l'emozione di indossare gli occhialini e varcare letteralmente la soglia che ci divide da Pandora a farla da padrona, quanto la concretezza di un film che per certi versi invece dovrebbe essere del tutto fantascientifico. Uno script singolare dal quale è completamente assente la Terra, mai vista, mai menzionata nei 162 minuti di film. Quindi nel 2154 la Terra sarà già sul punto di diventare un ricordo? Ecologico e naturalista il messaggio "bond", il legame fisico che ogni essere condivide nei confronti dell'altro attraverso la propria coda, a cui si lega formando un unicum. Tutto mi è sembrato molto vero, molto probabile. Molto più veritiero di un District 9 (anche molto più carini i pupazzoni blu, dei gamberoni verdi). Degna di nota la conclusione del film: nessuna convivenza e riconciliazione è possibile. Gli umani vengono rispediti da dove sono venuti e il ‘sistema' del pianeta-foresta ristabilito nel suo ordine retto solo nella relazione tra le parti. (Questo dovrebbe far riflettere, la Terra potrebbe trovarsi in crisi forse proprio perchè non ha saputo far proprio questo modus vivendi. Non si vive di sola energia.)
Avatar. Il concetto è quello di guidare a distanza questi corpi che si chiamano Avatar, il risultato di dna umano mischiato al dna degli indigeni. Solo alla fine ne comprendi davvero il senso: "prendere un corpo", ma non solo in senso fisico-biologico, ma una vera re-incarnazione, il tutto è più della somma delle sue parti. Jake non è solo una mente umana in un corpo alieno, è uno spirito in relazione con il ‘sistema', con l'eco-sistema. Questo proverete guardando il film: "Adesso mi sembra questa la realtà, e il mondo reale la fantasia. Questa, questa è la nostra terra! "

lunedì 25 gennaio 2010

Tra le nuvole. Pronti a prendere il volo?

Nuvole, check-in, bagagli, stanze d’albergo, voli. Questo il mondo di Ryan Bingham, alias Il tagliatore di teste. Il bel George Clooney si occupa, infatti, di tagli al personale delle aziende in bancarotta ("Al posto vostro un tempo si erano seduti imperatori e futuri leader"). Un taglio anche alle sue emozioni e sentimenti, a qualsiasi tipo di pulsione emotiva. Solo cinismo e pronti si parte per il prossimo viaggio. Niente progetti, programmi, la sua massima aspirazione è solo quella di maturare dieci milioni di miglia con la sua compagnia aerea preferita. E diventare un viaggiatore modello. Non ha una casa, solo un trolley. Lo spazzolino e qualche camicia. Sembra un uomo potente, felice, ha tutto. Ma è solo. Scaldato solo dai sorrisi compiacenti delle hostess, rapporti occasionali, carte di credito golden, punti fedeltà. "L'anno scorso ho passato 322 giorni in viaggio, ho volato per 350 mila miglia la luna ne dista 250 mila; le cose che tutti odiano del viaggiare per me sono confortanti reminescenze che sono a casa". Poi, d'improvviso, il suo capo, per tagliare (a sua volta) i costi del personale, segue i consigli di una giovanissima“ottimizzatrice” aziendale: un licenziamento a distanza è di gran lunga più economico. Si risparmia sul viaggio e si licenzia in collegamento web cam.
Ryan si ritrova a fare i conti con l'odioso posto sedentario, in ufficio, senza più frenesia e voli di linea. Ad aggravare la situazione una donna. Bella, cinica quanto lui, con il suo stesso stile di vita. E questa volta lo sciupafemmine, verrà sciupato! Una commedia drammatica che con toni soft tratta del problema della disoccupazione, una denuncia contro chi tratta il personale considerandolo solo un numero, una statistica. (Tutte le aziende). Note di riflessione scaturiscono anche sui rapporti e sui sentimenti, sulla comunicazione da cui sono gestiti: chat, sms, collegamenti web. Mezzi estranianti, veloci, amplificanti. Per certi versi pericolosi.Natalie, la brillante ottimizzatrice aziendale, viene mollata tramite un sms: "Forse dovrei frequentare altre persone". (Bastardissimo). A sua volta si licenzierà tramite un messaggino. (Chi di spada perisce...) Siamo una generazione che non vuole legami, che non sa prendersi le proprie responsabilità, che si nasconde dietro la virtualità per la paura di guardare negli occhi. Ryan non ha legami, è un estraneo anche per le sorelle. (La più piccola si sposa e cercano di raggiungerlo telefonicamente per invitarlo, un comune invitato, rapporti freddi, distaccati. Tristi). Alex è il suo doppio al femminile, affascinante viaggiatrice incallita, cominciano una relazione tra un volo e l'altro. La giovane Natalie, con la sua semplicità ed inesperienza metterà in crisi lo stile di vita di Ryan, che desidererà mettere radici, innamorarsi. (E quando decidiamo di lasciarci andare, è al sessanta per cento proprio l'unica volta in cui non avremmo dovuto farlo. Natalie: "Che tipo di relazione hai?" - Ryan: "Hai presente quando guardi qualcuno negli occhi e ti senti scrutare dentro l'anima e tutto intorno cala il silenzio?" - Natalie: "Si". - Ryan: "Ecco non è quella!")
La crisi finanziaria, ma soprattutto la crisi con noi stessi. La Paura dei legami, la voglia di indipendenza, di solitudine. Ma"Provate a pensare ai vostri bei ricordi, ai momenti più importanti, eravate da soli?" No. La vita è meglio in compagnia.

giovedì 21 gennaio 2010

A Single Man

Los Angeles. 1962. Un professore inglese George Falconer, cinquantaduenne, da anni vive ormai oltreoceano. Ha un compagno: Jim. Il film si apre con una telefonata in cui viene comunicato a George che Jim ha appena perso la vita in un incidente d’auto. Da quel momento in poi, George cessa di avere un motivo valido per cui vivere. Ad aiutarlo l’amica ed ex-fidanzatina Charley e Kenny uno dei suoi studenti, che attratto da lui, lo perseguita. Charley e Kenny lo salvano dai suoi tentativi di suicidio ma Lei, la signora morte, busserà all'uscio della sua casa nonostante tutto. In scena, quindi, quella che "dovrebbe" essere l'ultima giornata della sua vita. Frammenti di immagini in cui rivive la sua storia con Jim. Sedici anni di fotogrammi di una vita vissuta in simbiosi con il suo amore, dei quali George cerca di riappropiarsi sfidando la morte. Di forte impatto emotivo la fotografia, trasposizione degli stati d'animo di George. Inquadrature fredde e grigie dell’annoiata vita borghese. Un bianco e nero da copertina per il flashback in cui George e Jim si trovano sulle scogliere a bere birra e a ricordare come tutto tra loro sia inziato.
Le ultime 24 ore di vita di un uomo. Solo. Il suo incontro con il ragazzo nel parcheggio (un modello bellissimo che ricorda molto James Dean), gli sguardi maliziosi del suo allievo (che sta scoprendo la sua omosessualità), i tentativi di Charley di sedurlo con musica, vino e infinito affetto. Sembra quasi di stare sul set di qualche spot della Calvin Klein per intenderci.
Ancora una volta (come anche per Il riccio) ricorre il tema della morte e sembra quasi che un'intera vita sia spesa per quell'ultimo giorno, spesso il più importante, per chi ha la fortuna di viverlo con lucidità. Un film cucito e confezionato nel dettaglio, quasi si trattasse di un abito di alta moda dai colori psichedelici. Da fondo la struggente malinconia (resa ottimamente dalla colonna sonora) di un'epoca senza ideali importanti, con in agguato un conflitto nucleare: la crisi missilistica di Cuba.
Ritmi cadenzati e una palese visione omosessuale della vicenda. Punti di forza ma anche dei limiti che non rendono la pellicola una vera opera d'arte, come invece meriterebbe. Una struggente e a tratti inquietante bellezza, una sensibilità profonda, ma difficile da afferrare. Soprattutto da un pubblico maschile: "A me piacciono le donne, ma mi innamoro degli uomini".

giovedì 14 gennaio 2010

Dedicato ai ricci. Ma solo a quelli eleganti

Parigi, rue de Grenelle numero 7. Un condominio e la sua portinaia Renée. Grassa, brutta, sciatta, scorbutica e teledipendente. Una vedova sulla cinquantina, che da oltre due decenni si è rifugiata nella solitudine, perchè terrorizzata dagli sguardi e dal giudizio degli altri (mi ci sono un pò calata, lo ammetto. Trascorri la vita a nasconderti, ti dimentichi di te stessa, rinunci alla tua femminilità e vedi l'Altro come un nemico. Strani meccanismi di autodifesa della mente. Sei felice solo quando riesci nel tuo intento di renderti invisibile all'umanità). Solo libri, letture, the e barrette di cioccolato. "L'Arte è emozione senza desiderio". Ritratto di una donna che ama dipingersi sul volto pennellate di misantropia, ma che dalla sua guardiola, in silenzio, con occhi grandi e attenti assiste allo scorrere della vita dei condomini, sfarzosa, di lusso, ma alquanto vuota. Poi quando l'orario di lavoro è finito, quando finalmente è libera da occhi indiscreti, si spoglia e dalle sue vene sgorga l’arte, la musica e la cultura giapponese. Autodidatta, innamorata della filosofia e della letteratura, l’opposto di chi vuol far credere di essere. Il mondo dei bambini ha occhi altri, vede oltre le maschere, guarda lontano, oltre le apparenze e così la dodicenne Paloma, riccia, bionda e occhialuta, ri-conosce la vera indole della portinaia. Paloma è il suo alterego, non si nasconde dalla vita, bensì vorrebbe fuggirne, perchè se ne sente imprigionata: osserva i familiari attraverso un bicchiere, come se fossero chiusi dentro. Non vuole essere un pesce rosso chiuso dentro una brocca d'acqua, cinicamente cercherà di liberare il suo di pesce rosso da questa condizione di schiavitù (??)
Figlia di un ministro, del tutto assente in casa, e di una madre depressa, perennemente sotto antidepressivi. Paloma è malata, il suo male si chiama carenza d’affetto. Quando nessuno t'insegna l'amore, percorri vie traverse prima di arrivarci, una di queste, forse la più battuta, è quella del cinismo, ti estranei per far capire che se in realtà nessuno ti ama, è perchè sei tu a non volerlo l'amore. "Tutte le famiglie felici sono simili fra loro; ogni famiglia infelice è infelice a modo suo". Se il linguaggio d'amore è l'affetto, tu cominci a parlarne un altro e a diventare forestiera ad abbracci e carezze. Paloma pianifica e dà, così, una data precisa alla sua dipartita dal mondo. In attesa della data che coincide con il suo dodicesimo compleanno, Paloma scopre Renée, grazie all’arrivo di un nuovo vicino di casa, monsieur Ozu, ricco giapponese, anche lui un riccio. (Kakuro: Ho appena fatto la conoscenza della nostra portiera. Paloma: Anche lei pensa che non è quella che crediamo?) Brutto e pungente fuori, fintamente indolente, risolutamente solitario e terribilmente elegante dentro. Vivrà con Renèe gli attimi più importanti della sua vita, quelli in cui ti prepari ad amare. Il viso della portinaia trascurato e serio, sarà illuminato da splendidi sorrisi, i capelli lasciati crescere in disordine, tagliati, faranno da cornice al suo sguardo, gli abiti demodè, che più che vestire, nascondono, malcelano la sua sensibilità fuori dalla norma, che esploderà.
Le immagini hanno la stessa delicatezza delle parole del romanzo da cui è tratto, sono eleganti, di classe, quasi hai paura di rovinare le pagine del libro sfogliandolo, o di perderti attimi di pellicola importanti. Il diario scritto da Paloma nel romanzo non è reso cinematograficamente, la voce fuori campo che narrà è comunque quella della dodicenne, ma viene lasciato ampio spazio (trattandosi di una trasposizione filmica) alle immagini: bellissimi disegni che prendono vita dal pennarello nero a tratto grosso di Paloma, e la sua macchina da presa, con cui riprenderà ciò che la circonda, registrando pensieri ed immagini, propri e degli altri. Ottimo escamotage, l'ho apprezzato.

Una cavalcata verso la morte quella delle due protagoniste. Si può vivere, essendo in realtà morti dentro, e si può morire vivi. Ma innamorati, appassionati, leggeri. Eleganti. Già. Proprio come un riccio. A noi la scelta.

domenica 10 gennaio 2010

Soul Kitchen. Elogio dell'arte Culi(naria)

Lungometraggio meritatissimamente vincitore del Premio Speciale della Giuria presso la 66ª mostra d'arte cinematografica di Venezia, con protagonista Zinos (con il look alla Jim Morrison), sfortunato proprietario di un ristorante, il Soul Kitchen ad Amburgo. Pietanze bizzarre e MUSICA (con non solo la M maiuscola) soul, funky e rebetiko. Sfortunato soprattutto in amore: la sua ragazza, Nadine, si è trasferita a Shangai. Coadiuvato da un grande chef con la missione di dare amore attraverso il cibo: ("Hai 40 piatti nel menù e hanno tutti lo stesso sapore"), che i clienti abituali boicottano, nel tentativo di sollevare una lavastoviglie da solo, si procura uno strappo alla schiena, motivo per il quale assume strane posture e movenze per tutto il film. Suo fratello Ilias, alias Il conte di Montecristo, in libertà vigilata, gli sferra un gran colpo basso: si gioca il Soul Kitchen a carte, perdendolo.
Patatine surgelate, hamburger di pesce e maccheroni gratinati. Da sfondo una nutritissima e magnifica colonna sonora ripescata dalle hit migliori anni 70, da I don't know di Ruth Brown a It's your thing degli Isley brothers, Rated x di Kool & The Gang e Get down di Curtis Mayfield, da dieci e lode.
Da "contorno"un ispettore sanitario, una funzionaria dell'Ufficio Imposte e un agente immobiliare senza scrupoli. Divertentissima la scena della visita che Zinos va a fare da Kemal, detto lo "spaccaossa" e il furto notturno che Zinos compie con la sua inseparabile ernia del disco.
Ritmi serrati, umorismo forte, ma mai demenziale. Voto: 8

lunedì 4 gennaio 2010

Brothers. Un Vietnam chiamato Afghanistan

Sam è un capitano dei marines, orgoglio di suo padre, che ha combattuto nel Vietnam. L'amore della sua vita è la moglie Grace, (la bellissima Natalie Portman). Lei cheerleader, lui giocatore di football. In famiglia c'è anche il fratello di Sam, Tommy, che vive alla sua ombra perchè nella vita ha costruito molto poco, spesso è stato in prigione.
Sam viene fatto prigioniero dei talebani. Tommy, la pecora nera della famiglia, avrà una sua crescita psicologica e si prenderà cura della famiglia del fratello. Insomma metterà la testa a posto, (metterà a nuovo la bruttissima cucina di Grace)nipoti e cognata alla fine lo apprezzeranno piu'di Sam. (Inizialmente Sam è creduto morto, il suo elicottero precipita, di lui si perdono le tracce).
La parte meno noiosa del film comincia proprio col ritorno di Sam. La prigionia lo ha cambiato, gli orrori che ha dovuto compiere e subire lo hanno reso un altro uomo: "Lo so che ho detto che solo i morti hanno visto la fine della guerra. Io ho visto la fine della guerra. Ma la domanda è: potrò tornare alla vita?"
Un film drammatico e su piu'di un fronte: il dramma personale, familiare e di guerra. Di fondo una velata critica alla società americana, che si nutre degli ideali yanke e dello scontro di civiltà. Un dramma paterno che non insegna nulla al figlio ("anche io quando sono tornato dal Vietnam non parlavo piu'con tua madre"). Ottime le interpretazioni degli attori, che rendono al meglio il punto cardine di tutto il film: il rapporto e il confronto fra i vari membri della famiglia. Ma la sceneggiatura e le inquadrature non sono all'altezza del resto, troppo rigide, contenute.
Questo il mio film natalizio. Cruento, triste. Ma intenso, da gustare e capire, ri-costruire per certi versi. Buona visione. Voto: 7.5

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