lunedì 30 maggio 2016

Synecdoche, New York, di Charlie Kaufman. 2014

Synecdoche, New York ha avuto sua prima mondiale a Cannes 2008, solo che da allora è rimasto nel freezer della distribuzione italiana – sei anni! – , e tirato fuori e messo nel microonde a scongelare solo nel 2014, in estate, per chissà quale imperscrutabili motivi. Scia mediatica dell'attore protagonista? Forse. L'attore è qui un regista Sta preparando un allestimento di Morte di un commesso viaggiatore di Arthur Miller con attori molto più giovani dei loro personaggi ed è, come ogni regista alla vigilia della prima, assai teso. La moglie è un' artista di ritratti-miniatura che ricordano i corpi alterati e sfatti di Lucien Freud e Francis Bacon,ma qualcosa non funziona, il matrimonio non marcia nonostante l’apparente tranquillità. Poi Adele, decide di prendersi la solita quanto ipocrita pausa di riflessione trasferendosi a Berlino, laboratorio di ogni sperimentazione (esistenziale, artistica), e portandoci pure la figlia. Caduta abissale di Caden, che da tempo del resto vede e sente il suo corpo indebolirsi, decomporsi, ammalarsi.La sineddoche qui è il grande schermo per il cinema, un film junghiano. Adele raggiunge la piccola Olive in bagno, che ha finito di fare i suoi bisogni. Dopo aver pulito la figlia, però, Adele si accorge che la cacca lasciata sulla carta igienica è verde. “Non è un problema, tesoro” dice Adele a una preoccupata Olive, “devi aver mangiato qualcosa di verde”. La cacca è una figura centrale in Synecdoche. In un’altra scena vediamo Caden sezionare le sue feci con un cucchiaio, in cerca di tracce di sangue. Si parla di feci dal dottore e in macchina. Caden parla del colore delle sue feci con Sammy (“Non l’ho mai vista grigia, la tua cacca” gli dice Sammy, che lo segue anche in bagno per studiare la parte. “E’ la prima volta”, gli risponde Caden). Ma anche la pipì gioca un ruolo di rilievo. Pipì dal colore improbabile, ovviamente. E pustole sulle gambe. E infiammazioni cutanee in faccia. Attacchi epilettici. Prosciugamento delle lacrime (in una scena meravigliosa, Caden deve mettersi alcune gocce di lacrime artificiali sugli occhi per potere piangere dinanzi a una dolorosissima scoperta). Problemi respiratori. I rifiuti del corpo umano, andati a male, sono i primi segni di un disfacimento fisico, reale o immaginario (forse la letteralizzazione di una violentissima ipocondria), che si fa bizzarramente vecchiaia (il tempo che passa è indecifrabile) e morte. Caden piange prima e dopo i suoi rapporti sessuali, ma tra le donne che attraversano il mondo di Caden, Hazel è quella che sembra riempirlo maggiormente di calore e speranza. Innamorata di Caden sin da quando era impiegata al botteghino del teatro locale di Shenectady, poi sua fedele assistente durante l’immane allestimento del suo opus magnum, Hazel sta accanto a Caden fino alla fine. Hazel compra una casa che è perennemente in fiamme (“I venditori sono fortemente motivati in questo momento” le dice l’agente immobiliare), sposa un ragazzo del luogo (il figlio dell’agente immobiliare, che vive nello scantinato: “Se non le dà fastidio”, le dice l’agente durante la visita della casa), invecchia, ma è sempre innamorata di Caden allo stesso modo. Quando Caden infine accetta la serenità che Hazel gli sta offrendo da decenni, è troppo tardi. Hazel morirà il mattino dopo quel loro tardivo incontro e Caden deciderà che la sua opera si svolgerà lungo l’arco di una sola giornata: “il giorno prima della tua morte, Hazel: il giorno più felice della mia vita”.

lunedì 16 maggio 2016

Un ragazzo d'oro di Pupi Avati. 2014

Dedicato a chi pensa che la narrativa sia solo un sogno inarrivabile. Ad un ragazzo d'oro muore il padre.Sucidio? Distrazione? Oppure peggio, omicidio? I racconti di Davide vengono rifiutati dall’ennesimo editore, il quale gli suggerisce di scrivere un romanzo. Ma lui non ce la fa. E’ un salto troppo in alto. E poi: “Se avessi scritto Sotto il vulcano… non sarei certamente qui”. Scamarcio ha una dizione snob, quella puzza sotto il naso fastidiosa nei confronti del passato da cinematografaro pop del papà, una insistita retorica (“Io ho chiuso con la scrittura!”) e il piacere tipico dei frustrati di naufragare nell’autocommiserazione sfruttando vigliaccamente “quel rapporto orrendo” col papà per giustificare ogni fallimento. Alla morte del padre torna a Roma, nella casa natia, e come in L’inquilino del terzo piano di Polanski perde l'identità per vestire quella del genitore morto, nel vano tentativo di capirlo, finalmente, e riscattarlo. Del tutto inutile la storia con la fidanzata Silvia (la Capotondi) e proprio ridicole alcune scene, e, sorvolando sul penoso doppiaggio della protagonista di Basic instinct, l'impressione generale non si discosta molto da quella di trovarsi dinanzi ad una noiosa puntata di una soap opera.

lunedì 9 maggio 2016

Nebraska di Alexander Payne. 2014

Un road-movie per avvicinarsi a quel padre un po'distante per trovare una comprensione e conoscenza reciproca. Per resitituirsi dignità a vicenda. La cornice è il Midwest con i suoi tipi silenziosi e buffi, camicia a scacchi e pantaloni sdruciti, personificati da un eccellente frastornato e claudicante Bruce Dern. "Ha l'Alzheimer?", chiedono di lui. "Crede a ciò che gli dicono", risponde secco il figlio. Mi ha affascinato non poco il surrealsimo della famiglia che guarda la tv, la frontalità astratta, sospesa, di certe immagini.

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