venerdì 7 ottobre 2016

Hard Candy di David Slade. 2005

-Questo è quello che dicono tutti- -Chi?- -Chi? I pedofili. Lei era così sexy, lo voleva. Tecnicamente era una ragazzina, ma si comportava come una donna. E’ così facile incolpare un bambino. Solo perchè una ragazzina sa come imitare una donna, non implica che lei sia pronta a fare quello che fa una donna. Tu sei quello cresciuto qui. Se un bambino dice qualcosa di malizioso, lo ignori. Non lo incoraggi.
La parola chiave di “Hard Candy” è sovversione. Prima di tutto sovversione dei ruoli. Jeff è un trentenne oltremodo affascinante, con il sorriso lucente. E’ un fotografo professionista, ma i suoi soggetti preferiti sono le ragazze adolescenti. Hailey, se così davvero si chiama, è una 14enne impavida interpretata da una sorprendente ed inquietante Ellen Page. Sexy e intelligente.Hailey si lascia sedurre in chat da Jeff ed organizza un incontro, accettando persino di farsi ospitare a casa sua.Palesemente sociopatica e bugiarda, in chat ha ingannato Jeff conoscendo bene le dinamiche del dating online (per esempio, effettuo una piccola ricerca su Google ed in 30 secondi ottengo tutte le informazioni sul gruppo musicale preferito dell’altra persona, potendo così fingere di conoscerlo).E poi come ha potuto avere accesso al profilo psichiatrico dell’aggressore di una delle vittime di Jeff?
Perchè è in possesso di un taser? E’ un’esca della polizia superbamente addestrata? O è solo una vendicatrice perfettamente organizzata? Vestita come una moderna Cappuccetto Rosso, si allontanerà nel bosco verso una nuova meta, forse a stanare un altro lupo cattivo, tra le malinconiche note dei Blonde Redhead. “Hard Candy” descrive in modo compiuto proprio l’impossibilità di trovare una soluzione equilibrata, civile, sensata e scevra di emotività al problema della pedofilia. In questa favola non c'è morale

mercoledì 5 ottobre 2016

Mustang di Deniz Gamze Ergüven. 2015

Se vogliamo capire qualcosa in più delle tensioni che sta vivendo la Turchia di oggi, non possiamo che rivolgerci al cinema e alle sue storie nel momento in cui Erdogan mette il bavaglio alla stampa locale e l’Occidente sembra incapace di guardare oltre il suo naso.
I Mustang sono dei cavalli selvaggi, simbolo qui delle cinque protagoniste del film. Indomabili e focose, scorrazzano con i loro capelli lunghissimi, simili a delle criniere.Sullo sfondo il bellissimo mar Nero, con le sue schiumose increspature, accompagnato a una natura rigogliosa e benevola a far da teatro e mise en scéne di un’innocente evasione estiva, presto scoperta dai famigliari delle cinque donne in erba. Una mattina, conclusa la scuola, le "sfacciate" sorelle si abbandonano alla luce dell’estate appena esplosa con giocosa innocenza. Spinte da un irrefrenabile desiderio di evasione, che assumerà i connotati di una condanna, si tuffano in mare insieme ad altri coetanei maschi compagni di scuola. Tra risate e giochi in mezzo alle onde si insinua lo scandalo. A Inébolu, villaggio contadino a 600km da Istanbul in cui lo scenario filmico si dispiega, nell'abitazione delle cinque saranno apposte sbarre d’acciaio a porte e finestre, simbolo di detenzione e divieto assoluto di ogni intenzionale apertura verso un’altrove spudorato e corrotto. Poi il soffocante odore stantio di un rigido schema comportamentale che relegherebbe le donne, secondo l’anacronistica tradizione turca, ad una condizione di perfette “massaie” pronte ad esser consegnate, vergini, ai più baldanzosi pretendenti di sesso opposto. Lo scopo? incarnare e realizzare l’ottuso condizionamento sociale, unica virtù.«È difficile educare delle ragazze al giorno d’oggi», dirà ad un certo punto la nonna, educatrice in buona fede ormai del tutto assuefatta dalla tradizione (per lei è naturale non conoscere l’uomo che si deve sposare, «tanto poi si impara a volergli bene con il tempo».

Manderlay di Lars von Trier. 2005

Alabama 1933. 8 capitoli. 7 tipi psicologici. 139 minuti.Manderlay, una piccola piantagione di cotone in Alabama. Inizia qui la seconda parte della trilogia sull'America vista da Lars von Trier. Anche qui come in Dogville, la critica all'America è efferata. Si capisce come l’abolizione della schiavitù sia stata formale, ma nei pregiudizi e nei diritti sociali le persone di colore sono rimaste schiave a lungo. Manderlay parla anche e soprattutto dell’esportazione/imposizione della democrazia, che qui avviene con la forza, come stava (o sta?) accadendo in Iraq. Von Trier, che nelle interviste si è riferito esplicitamente all’Iraq, mette in scena la presunzione tutta occidentale che i propri modelli e le proprie leggi siano adatti/adattabili a culture ed esigenze diverse dalle nostre. Anche qui, come in Dogville, il discorso può farsi universale. Quello di Grace, e dell’America, in fondo è il vizio tipico di ogni umano: credere di sapere cos’è meglio per gli altri, senza cercare di ascoltarli. siamo condotti per mano in un percorso filosofico di maturazione del personaggio verso la comprensione, che passa anche attraverso la catarsi del rapporto sessuale.
Perchè eliminare le scenografie? Per mostrare che il cinema è finto? Sarebbe meglio dire che lo si fa per risparmiare (visto che ora è produttore dei suoi film).

lunedì 3 ottobre 2016

Julieta di Pedro Almodóvar. 2016

Tutto inizia con un primo piano sulle pieghe di un tessuto rosso mentre la musica inietta attesa e inquietudine quasi da thriller sulle prime inquadrature. Gli amati rossi almodóvariani accompagnano di significati e nessi la narrazione: rossi i sedili del pendolino che ci fa scoprire una giovane e solare Julieta, rossi i suoi orecchini e le labbra fulgide, rossa la chioma dell'albero di carta che racchiude segreti inconfessati e un doloroso strappo. Il film si apre con la protagonista, Julieta, che sta per trasferirsi dalla Spagna al Portogallo con il compagno (Lorenzo), alle prese con gli scatoloni da riempire, piene di cose e di ricordi. Qualcosa la rimette in contatto con la sua parte emotiva.Un racconto che inizia direttamente nel 1985, in una notte tempestosa su di un treno e una Julieta giovane (Adriana Ugarte), appassionata e ignara di come, quella notte, cambierà per sempre la sua vita.Julieta è il classico personaggio femminile di Almodóvar in bilico sui tormenti del passato, incapace di vivere il presente e progettare il futuro. Dopo la morte di Xoan, Julieta entra in uno stato mentale che più che depressivo assomiglia a uno shut down dissociativo, in cui la figlia, insieme all’amica Bea, si prende cura diligentemente di lei.
Fino a quando, a 18 anni, Antía decide di andare in ritiro spirituale e lascia perdere le tracce di sé alla madre. Julieta la aspetta per tre lunghi anni, tre anni segnati dal rito della torta, ogni anno comprata nel giorno del compleanno della figlia e buttata nell’immondizia, fino a quando un giorno la donna esce apparentemente da questo stato. E' solo tra i non borghesi, nel padre di Julieta insegnante in pensione e nella sua giovane coadiuvante, che il desiderio, saggiamente controllato, non porta al fallimento e alla cupezza. Per il resto, Almodovar punisce tutti.

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