giovedì 30 gennaio 2014

Jona che visse nella balena di Roberto Faenza. 1993

Gennaio, mese della memoria
Jona Oberski ha quattro anni e vive ad Amsterdam con i genitori quando, dopo l'occupazione della città da parte dei tedeschi, la sua famiglia finisce nel campo di Bergen-Belsen. Spesso sono proprio i bambini ad aver salvato la memoria, bambini cresciuti troppo in fretta che si atteggiano a grandi ma dall'animo ancora candido di chi non dovrebbe ancora conoscere il male. Il lager diventa il ventre della balena dal quale uscire. Jona ne esce. Con sofferenza, ma da eroe. E oggi è uno scienziato assai noto ed ancor più noto per la sua autobiografia, tradotta e diffusa ovunque, dalla quale il film è tratta. In nessun lager i bambini e i vecchi fuorno ospitati, la storia questo ci racconta, spesso nei film questo finale è disatteso, mai mariti e donne divisi potevano incontrarsi (men che meno fare l'amore!) Tanto di cappello ad ogni film che conserva la memoria, ma proprio perchè la memoria sia ricordata ci piacerebbe fosse meno adulcorata. Noi non vi dimentichiamo. Mai.

sabato 25 gennaio 2014

La giusta distanza di Carlo Mazzacurati. 2007

"La giusta distanza è quella che un giornalista dovrebbe saper tenere tra sé e la notizia: non troppo lontano da sembrare indifferente, ma nemmeno troppo vicino, perchè l’emozione, a volte, può abbagliare".
Il migliore cinema di Mazzacurati. Il suo natio Veneto. Con questo noir padano mi avvicino a uno dei suoi migliori film proprio per rendergli omaggio. "La giusta distanza" è la misura che ci viene richiesta per non alterare il corso degli eventi. Per essere conformi al conformismo, abbracciare un male che sfuggiamo, camuffiamo, ma che è la normalità. Cani uccisi. Trasgressione. In una provincia troppo chiusa. La giusta distanza, alla fine, capirete che non esiste, o almeno, esiste per non essere rispettata. Giovanni, il protagonista, aspira a fare il giornalista, ma non parla della sua maestra ammattita, giornalista si, ma non ad ogni costo. E dalle foci del Po, per lui arriverà Milano. Mara. La supplente della maestra ammattita che prende con sè questi bambini dai sette ai dieci anni, nel paese sono pochissimi. Mara rappresenta il mondo sconosciuto, nuovo, la trentenne "ancora fresca", bellissima, burrosa, dolce, ma fuoriposto tra quelle pianure arcaiche e chiuse.Appostamenti notturni per spiare quella donna così diversa, colei che è immediata con tutti e non conosce la regola della "giusta distanza", ha una relazione con il meccanico tunisino. Un uomo che non ama “… questa nostalgia degli stranieri”, e che "sente la vita dopo tanto tempo" proprio grazie a Mara.Immigrata anche lei, toscana, ma così diversa in quel paesino così chiuso. Grazie Carlo per il tuo essere stato sempre autentico, per il tuo non esserti mai omologato, per l'anima dei tuoi film. Non ti dimenticheremo mai!

venerdì 24 gennaio 2014

L'amore infedele di Adrian Lyne. 2002

"È lei che mi ha scopato nella toilette?"
Ero nuda tra le sue mani sotto la gonna alzata nuda come non mai. Il mio giovane corpo era tutto una festa dalla punta dei miei piedi ai capelli sulla testa Ero come una sorgente che guidava la bacchetta del rabdomante Noi facevamo il male il male era fatto bene. Jacques Prévert. Remake di un film francese degli anni sessanta, che non ho visto, ma che spero meno melenso e a tratti noioso di questo. Un bel ventottenne di origini francesi, che vive tra i libri fa perdere la testa alla "donna infedele" della pellicola e per tutta la prima parte del film le scene di sesso si sprecheranno. Quando Richard Gere (il marito) scoprirà il tradimento il film comincerà a virare verso il giallo/thriller ma dai toni grotteschi e banali, perdendo di verve e interesse. L'incontro tra i giovani amanti avviene una mattina tempestosa, d'effetto il vento che scopre le bellissime gambe di Diane Lane, e come resistere alle citazioni di un intellettuale?: Bevete il vino, questa è la vita eterna, questo è ciò che vi darà la giovinezza, questa è la stagione del vino, delle rose e degli amici ubriachi. Siate felici di questo momento, questo momento è la nostra vita. Sarà passione. Ma solo passione. Il film non offre altro. Buona visione.

domenica 19 gennaio 2014

Schiavi di Stefano Mencherini, 2013

Stefano Mencherini è un giornalista indipendente, autore e regista Rai. Schiavi è il suo nuovo film.documentario presentato ieri sera alle 18.00 presso le Officine Culturali Ergot di Lecce. Ena, emergenza Nord. Africa, uno dei tanti pretesti per dirottare denari pubblici e calpestare i diritti umani e civili, e così rifugiati, richiedenti asilo e irregolari finiscono nella rete dei nuovi schiavi. Sono 26.490 gli immi­grati iden­ti­fi­cati e sbar­cati sulle nostre coste a par­tire dallo scop­pio delle primavere arabe nel 2011, fino al marzo 2013 quando è stata dichia­rata chiusa l’«emergenza Nord Africa». A Napoli la protezione civile ha dato 45 euro al giorno a migrante agli albergatori, ma gli “ospiti”, di fronte alla tele­ca­mera, hanno rac­con­tato di giri di droga e di pro­sti­tu­zione, d’infiltrazioni mafiose, di assenza totale di poli­ti­che d’integrazione. Il regista ricorda come qui nel nostro Salento molte sponde altro non siano che fosse comuni per immigrati senza nome annegati insieme alla loro speranza di un futuro migliore. E grida allo scandalo dei 22 tra caporali e imprenditori di Nardò che dopo il processo in corso a Lecce per riduzione in schiavitù, ora reiterano il reato. In scena la disperazione e la rabbia dei migranti, l'assenza totale dell'unione europea, l'attenzione poi sul circa 1 milione e 300 mila euro affidato alla Protezione Civile come se l’immigrazione sia un disastro ambientale; e tutto questo senza risparmiare alcuno: dal ghetto di Foggia a Rosarno in Calabria, passando per la Campania e poi fino nel Nord Italia. La voce narrante è quella di Ibra­him che racconta la sua storia di spalle, attraverso due continenti: fuggito dalla Costa d’Avorio e costretto in schiavitù in Libia, viene caricato a forza su una carretta verso Lampedusa prima del crollo del regime di Gheddafi e una volta in Italia finisce a raccogliere angurie in Puglia. Un regista che lavora in Rai, ma che non vedrà andare in onda nemmeno questo suo secondo lavoro, dopo Mare nostrum del 2003. La bella Rai, il nostro servizio pubblico, quella che paghiamo per disinformarci. Il regista ha quindi autoprodotto e autodistribuito il film in dvd.

giovedì 16 gennaio 2014

Il Grande Gatsby di Baz Luhrmann. 2013

"« Gatsby credeva nella luce verde, il futuro orgiastico che anno per anno indietreggia davanti a noi. C’è sfuggito allora, ma non importa: domani andremo più in fretta, allungheremo di più le braccia … e una bella mattina… Così continuiamo a remare, barche contro corrente, risospinti senza posa nel passato.»".
Siamo alla quarta versione del romanzo di Scott Fitzgerald, la versione sicuramente più patinata di tutte, la più glamour e sonora. Quasi un musical. «Così remiamo, barche controcorrente, risospinti senza sosta nel passato.» recita il romanzo, ed è proprio il passato ad essere il pensiero ossessivo del "grande Gatsby", misterioso miliardario, con villa sfarzosa che organizza feste. Siamo negli anni 20. Il jazz, titoli di borsa alle stelle, prima del grande crollo, alcool di contrabbando. Ma il jazz viene riadattato con colonne sonore hip.hop. Una genialata. Nick si trasferisce a New York dal Minnesota, una città troppo chiassosa, rumorosa, troppo per lui. E'lui la voce narrante, è in cura da uno psichiatra - New York e la storia con Gatsby l'ha gettato in depressione- e viene da lui indotto a scrivere un libro su Gatsby. Non se ne capisce il bisogno. Nick è fondamentale perchè di sicuro è l'unico a comprendere lo spirito pulito e sognatore di Gatsby: “tu vali da solo molto di più di quanto possano valere tutti quanti loro”, ma nel romanzo manca il passaggio psicanalitico. Tutto per lei, per la sua Daisy. Non una semplice storia d'amore per una donna, ma per quella "luce verde" che c'è in ognuno di noi, ma che non tutti seguiamo. "Era gente sbadata, Tom e Daisy - rompevano cose e persone e poi si ritiravano nei loro soldi e nella loro enorme noncuranza o qualunque cosa fosse che li teneva insieme, e lasciavano che fossero altri a pulire lo sporco che lasciavano...". Grazie Gatsby. Dedicato a tutti coloro che sanno commuoversi per una piccola luce verde.

giovedì 9 gennaio 2014

La conversazione di Francis Ford Coppola. 1974

"Io me ne frego, sono cavoli loro. Voglio solo una bella registrazione chiara"
Sono gli anni della presidenza Nixon, sono gli anni del Watergate. E Coppola confeziona giustamente un film paranoico. Sangue nella toilette. Personaggi freddi, autoconservazione della specie, gloria. San Francisco è deserta, sembra un cimitero, case distrutte o in costruzione, poche presenze umane. Harry, il protagonista, non ama parlare di sè, lo fa solo in sogno, in quella dimensione irreale dove nessuno può nuocergli. Sono le ansie dell'intercettatore, Harry, che non vuole essere intercettato, ma che però vuole salvare il mondo, è un giusto. A causa delle sue intercettazioni, anni fa, una famiglia venne sterminata, non vuole che l'errore si ripeta. Ci riuscirà? Harry sa davvero riconoscere la vittima e il carnefice? La realtà inganna. Una perfezione geometrica, ogni cosa è a suo posto, la regia è maniacale come Harry, un ordine che disorienta e fa paura. Il paese è in crisi di identità e ciò si riflette sui suoi cittadini. L'ineccepibile Coppola lo rende alla perfezione. Questo s'intuisce già dal perfetto incipit: la macchina da presa cala dall’alto, sulla piazza gremita di persone, per poi restringersi sui due protagonisti da intercettare, siamo noi a spiarli. Metafora della potenza del cinema. Harry, come anche il regista, guarda la realtà, ma per decifrarla -non basta osservare- suggerisce la pellicola, allo spettatore che osserva, come al protagonista, viene chiesto uno sforzo in più. Perciò Harry entra in crisi. Lui che sta tra la gente ma che in realtà è sempre solo con se stesso, non sa capire. Infila le chiavi nella toppa senza far rumore, dà lo scarico per non destare sospetti sui suoi rumori. E dopo? Un film sonoro, fatto di voci e interferenze e di Harry che suona il sax in quella casa che sembra un dipinto freddo, senza alcuna parvenza estetica. Ma che colpisce e convince.

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