domenica 17 novembre 2013

Female Perversions di Susan Streitfeld. 1996

In fondo chi non si fa rasare il monte di Venere prima di fare l'amore? A parlarne è la nota psicanalista e psicoterapeuta americana Louise J. Kaplan, che qualche anno prima dell'uscita del film, nel 1991, ha scritto il famoso saggio clinico Female Perversion - The Temptations of Emma Bovary. Tema del saggio è l'ipotesi secondo cui le donne non sono state considerate perverse perchè le loro perversioni non sono mai state ricercate in quei comportamenti femminili dove esse si annidano: cleptomania, l’anoressia, piccole mutilazioni e tagli di cui il film appunto è pieno. Produzione, scenografia, fotografia e musica tutto interamente curato da donne e dalle loro perversioni. In effetti, il film si apre già con una dicitura sul cuscino della protagonista:"Le perversioni non sono mai ciò che sembrano essere". Eve è qui la protagonista, spesso nuda, con addosso bende in chiaroscuro, cammina su un filo teso, tentando di mantenere l’equilibrio, al fine di non cadere in una piscina a forma di croce. Una re e una regina tirano le corde attorcigliate attorno alle sue caviglie e polsi. Un richiamo ai suoi ricordi che la tormentano, nei quali vi è appunto una piscina, al bordo della quale vi sono i suoi genitori che giocano a carte. Carte che finiscono galleggiando in piscina e suo padre che respinge aggressivamente le avances della moglie in vena di provocarlo sessualmente. Eve conduce una vita dissoluta privatamente, irreprensibile sul lavoro, ha due relazioni: con un ricco biondo in affari e una giovane psichiatra, e fa di tutto per scappare via dallo stereotipo di donna-moglie-madre, che non vuole incarnare. Un film veramente fin troppo complesso e anche angosciante. Anche patetico per certi aspetti. Uno dei peggiori film mai visti. Demenziale la ragazzina che, ad ogni sua mestruazione, celebra il funerale del bambino che avrebbe potuto nascere. Se il titolo vi lascia presagire scene di alto erotismo, cambiate strada, avete imboccato quella sbagliata. Di erotico c'è veramente molto poco. C'è poco di tutto, molto di nulla.

venerdì 15 novembre 2013

Un affare di donne di Claude Chabrol. 1988

"Ave maria piena di merda, marcio è il frutto del ventre tuo..."
Marie-Louise Giraud. Forse, l'ultima donna condannata a morte per ghigliottina in Francia nel 1943. Procurava gli aborti a donne del suo paese rimaste incinta dai gendarmi tedeschi e affittava camere alle sue amiche prostitute. Questa l'accusa, da parte del vile generale venduto-collaborazionista Petain. E la condanna verrà ovviamente da un tribunale di soli uomini, gli stessi che inguaiavano le sue "clienti". Francia, sconfitta dai tedeschi che vuole mostrare pugno di ferro nella difesa della moralità pubblica. Sarà quindi la fine, l'avvocato lo capisce subito. Non c'è scampo. Tu credi che hanno un'anima i bambini in pancia alla madre? - è il dubbio che ad un certo punto assale la protagonista. -Bisognerebbe che prima ce l'avessero le madri. risponde l'amica prostituta. Marie viene descritta come fredda e solo legata al dio denaro: È facile non fare stronzate quando si è ricchi, ma il dubbio è che l'immagine che ne viene data sia quella di una donna cattiva, solo per giustificare la sua condotta troppo libera. Tanti i segnali nel film di quella che sarà la punizione finale della donna: il figlio che dice di voler fare il boia da grande, l’oca decapitata alla festa paesana che il suo amante le regala, l'uomo sparato in pubblica piazza che raggiunge Marie e la guarda fissa negli occhi prima di morire. Impeccabile Isabelle Huppert, la sua interpretazione è l'unica nota positiva che salverei del film. Bocciata sia la libera interpretazione, i fatti non sono documentati, - perchè quindi infangare così una donna- sia il messaggio veicolato. Si legge, infatti, alla fine: "ayez pitié des enfants de ceux que l'on condamne", "abbiate pietà dei figli di coloro che condanniamo". Roba da non crederci!! Di Marie condanniamo solo la visione intima che il regista ne dà, una visione sua, personale, e che nulla a che fare con il ruolo sociale che la donna rappresenta. Questo lo rende dunque un importante documento da far vdere a tutti coloro che, ancora oggi, si oppongono all’aborto legalizzato, dimenticando che in un passato per niente remoto abortire per una donna significava rischiare la propria vita.

venerdì 8 novembre 2013

Pauline alla Spiaggia di Eric Rohmer. 1982

"La perfezione è opprimente"
Trentaseiesimo lavoro di Eric Rohmer, presentato alla rassegna Rievoca presso il cinema Elio di Calimera, fa parte del ciclo Commedie e proverbi: “Chi parla troppo si danneggia”, è la frase di Chrétien de Troyes che apre la pellicola. Una piccola auto entra in una stradina attraverso l'apertura di un cancello. Ultimi giorni di vacanza settembrina. Villette a schiera su una spiaggia della Normandia. Una trentenne e un'adolescente. E l'amore. Quello fisico di pelle. Rosette, la venditrice di accendini sulla spiaggia. La più disinvolta. La trentenne Marion cerca l'amore vero, ma forse negli uomini sbagliati. La parte interessante del film è l'episodio dell'equivoco, in cui Henry, l'uomo di cui Marion s'invaghisce, cerca di nascondere il suo momento di passione con Rosette, per non deludere Marion. Il linguaggio è sovrano nelle pellicole di Rohmer, il suo cinema è dialogico, ci piace per questo, eppure qui il verbo ha dei limiti:non sempre è in grado di svelare tutto ciò che accade. Tramonti grigi, l'estate muore, come anche le passioni che si sono accese, fulminee, fugaci. Gli adolescenti emulano i "grandi", li smascherano e costringono a venire allo scoperto. E alla fine Pauline accetterà il consiglio della delusa ma navigata Marion: cioè, quello di autoingannarsi e vedere a suo favore quanto accaduto nella sua liason d'amore. E così Pauline in quel momento supera la fase adolescenziale della purezza, della verità ad ogni costo. E la ninfa e la dea richiudono la cancellata alle loro spalle e ritornano in città con delle consapevolezze in più.

venerdì 1 novembre 2013

La vita di Adele di Abdellatif Kechiche. 2013

Ho l’impressione di fare finta, di fare finta su tutto: a me manca qualcosa.”
Dopo il primo matrimonio gay in Francia, la pellicola ha meritatamente vinto la Palma d'oro al Festival di Cannes 2013. Adele è la protagonista, una liceale che non ha mai mangiato le ostriche, carnale e femminile oltre ogni modo possibile. Ha i capelli sempre legati, in disordine. Si veste senza cura. Mangia voracemente: kebab, spaghetti e si cerca in tutto ciò che fa. E come l'Albachiara di Vasco nel suo letto si tocca. Emma, invece, è più svezzata, sa già chi è, ha i capelli blu e frequenta bar gay. Adele ha un'ducazione borghese, vuole fare la maestra, aspira ad una sicurezza economica, Emma è uno spirito libero e con le mani crea donne dipingendole. Un racconto intimissimo, fatto di soli primissimi piani, s'indugia tanto sulla bocca semiaperta di Adele, sul suo essere sempre altrove con gli occhi e con la testa, le colano lacrime, muchi, ma lei non li asciuga mai, stampandosi sul volto quell'eterna fanciullezza che tanto dà tenerezza Emma, ma che non le consente di amare Adele in quanto donna. Adele nell'ultima scena indossa un vestito blu. Ma Emma ha ormai da tempo cambiato look, decide il ritmo dei loro amplessi e decide di non tornare indietro quando arriva la parola fine. Non un amore tra persone delle stesso sesso, ma tra due persone completamente diverse: Adele non capisce l'arte, Emma vuole che Adele scriva, coltivi una passione, è un'artista, un'intellettuale. Tiresia che visse sette anni nelle sembianze di una donna disse che Se il piacere sessuale potesse dividersi in dieci parti, alla donna ne toccherebbero nove e all'uomo soltanto una. Il film ne mostra almeno nove. Nelle scene di sesso bellissime guardavo in sala: i settantacinquenni al mio fianco guardavano impassibili e ho sorriso contenta. L'autentico svelarsi del piacere femminile è puro estetismo, mai visto nulla di più bello, mi scendevano spesso le lacrime. E sono emozionata anche a scriverne. Tanto trasporto negli occhi emozionati delle due ragazze, tutte le volte che scorgevo le loro emozioni a me sembravano autentiche e mi emozionavo tanto anche io. Bellissima la scena al parco, quando le due stanno per baciarsi, ma la saggia Emma punta per la guancia. L'attesa del piacere. E poi gli intrecci perfetti dei corpi nudi, selvaggi e teneri allo stesso tempo. Il regista non ha mai fretta - tre ore di film- le ragazze si esprimono e scoppiano in attimi di estasi indugiando per lunghissimi minuti. Interezza e naturalezza. Tutto è senza filtri: lacrime, pulsioni. Film da far conoscere soprattutto in quei 78 paesi del mondo in cui l'omosessualità è considerata un reato e nella mia Italia, dove le leggi sulle unioni civili tra persone dello stesso sesso sono un ancora un miraggio. Maestoso ed autentico, di quell'autenticità rara. Tanto che le tre ore per me sono volate e mi hanno lasciato l'amaro in bocca.

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