domenica 25 aprile 2010

Agora. Alejandro Amenábar. 2009. Il sapere è donna

Quarto secolo d.C. in Alessandria d’Egitto all’epoca dell’Impero Romano. E' la storia della filosofa-matematica-astronoma Ipazia, massima espressione di una libertà di pensiero che non si rivedrà più fino all’epoca moderna. Tra i suoi discepoli, due uomini sperano di conquistarla: l’arguto e benestante Oreste, poi docile Prefetto del’Impero; e Davus, schiavo affrancato, in bilico tra il suo amore segreto e la libertà promessa dalla frangia fanatica dei soldati di Cristo: i monaci parabalani. Ipazia invece crede solo nella filososia, nel sapere, nella conoscenza a cui si arriva solo tramite l'esperienza del proprio cervello, tra i due contendenti, ad avere la meglio sarà proprio la sua libertà di pensiero. Che però le costerà cara: sceglie la morte, ma non rinnega la ragione in nome di un credo che non le appartiene.
Il sapere è donna, Ipazia simbolo del raziocinio, che invece sembra non sfiorare neppure l'uomo, dedito alla potenza, a pseudo credo. L'amore non sboccerà mai nel cuore della protagonista, se non quello per la sete di conoscenza, il culto dello studio e della scienza. L'ateismo è un diritto e Ipazia sa rivendicarlo.
Ma non credo che Agora sia stato messo all'indice in quanto portavoce di messaggi laici e filoatei, quanto per la rappresentazione storica dei cattolici: i seguaci di Cristo non sono i perseguitati (come spesso vien fatto credere), ma al contrario sono coloro che soffocano (con ogni mezzo) l'oppositore. Cirillo vescovo, passato alla storia come un martire, è, invece, il "capobanda" di una marmaglia di sanguinari combattenti, desideroso solo di piegare Roma al suo cospetto. Una condanna nei confronti del fondamentalismo e non della religione cattolica, con un forte messaggio di tolleranza alla base e se ne fa portavoce la bella Ipazia: considera uguali, a prescindere dal credo che professano, i suoi discepoli. Una sorta di Socrate o di Gesù in gonnella, poi il suo nome è praticamente scomparso (non quello del suo uccisore, che fu fatto santo), e assieme a lei la sapienza della civiltà Alessandrina. Dei suoi scritti non è rimasto niente; invece sono rimaste le lettere di Sinesio che la consultava a proposito della costruzione di un astrolabio e un idroscopio. Il fondamentalismo non è morto. Ancora oggi si uccide e ci si fa uccidere in nome dell'oscurantismo: in America si proibisce di insegnare nelle scuole la teoria dell’evoluzione di Darwin e si impone l’insegnamento del creazionismo. E miss Gelmini, la paladina della d'Istruzione ci mette del suo. Come nel caso di Ipazia, per legittimare quello che la matrigna Chiesa cattolica dice e fa.
Grazie Ipazia!

domenica 18 aprile 2010

Solino. Fatih Akin. 2002

Un lungo flash back di Gigi che ricorda la storia della sua famiglia in tre tappe: (1964,1974,1984).
Da Solino (scorcio di magnifico Salento) in cerca di fortuna nel grigiore del bacino della Ruhr, il capofamiglia inizialmente pensa che la miniera tedesca sia il posto migliore per ricostruire un futuro, ma in Germania manca il sole e la verdura fresca dell'Italia. La moglie, Rosa, incarnazione della femmina italiana che segue ovunque il marito, decide di aprire un ristorante italiano, uno dei primi in Germania: Solino. Lei, l'instacabile superwoman, che dovrà lavorare sodo per tutti. I figli Gigi e Giancarlo non hanno, infatti, la stoffa dello chef: sensibile e artista il primo. Invidioso del fratello e quindi cattivo il secondo. Le vicende della famiglia sono parallelle a quelle della società e così la vediamo attraversare i decenni e negli anni Settanta ci ritroviamo i due fratelli freakettoni, tutti dediti a sesso e droga, momento più colorato e musicale del film. Tra piatti e spaghetti, Gigi ama il cinema, gli stivali degli attori nazisti. Li segue sul set. "Ardore e Passione" (Feuer und Leidenschaft per conservare il bilinguismo verista impeccabile della pellicola). Incamerato il giusto consiglio, comincerà a dilettarsi in alcuni cortometraggi. O almeno fino al punto di svolta, di rottura: il padre tradirà la madre, Rosa si ammalerà di una forma di leucemia incurabile, che la riporterà a Solino, sotto le cure di Gigi che non se la sente di abbandonarla. Un viaggio che per Gigi sarebbe dovuto durare poche settimane ma che invece sarà per tutta la vita, il treno, infatti, che doveva portare Giancarlo a dargli il cambio giunge. Ma senza di lui. Gigi è bloccato a Solino e non può ritirare il premio per il suo lungometraggio considerato il migliore. Giancarlo prenderà il suo posto. Sulla scena. Ma anche nella vita privata: Jo (la ragazza di cui si era innamorato Gigi), facilmente raggirabile, non lo aspetta. Ada, invece, la ragazza che Gigi aveva lasciato a Solino da bambino, ora donna, non lo ha mai scordato.
Il film si chiude con la proiezione dei cortometraggi di Gigi su una parete del paesino: Ma è fisso? Giancarlo è in lacrime: lui si è realizzato sì professionalmente, sfruttando il nome di Gigi e accettando di fare il documentarista, però non ha ritrovato mai se stesso ed è solo. Con rimorsi e rimpianti. Al Nord. Terra straniera. Da sempre difficile e contrastante il loro rapporto: durante il furto della cinepresa, ideato da Giancarlo, questi, infatti, scappa senza guardarsi indietro mentre Gigi viene catturato dalla polizia. O quando da piccoli, sempre Giancarlo aveva rubato un fermaglio di scena, per far ricadere la colpa sul piccolo Gigi. Anche in Soul Kitchen di fondo, la storia di due fratelli molto diversi tra loro: anche qui i due fratelli fanno un furto insieme, ma quando arriva la polizia nessuno dei due cerca di salvarsi la pelle per conto proprio e, finiscono per essere catturati entrambi! Una sorta di redenzione dell'amore fraterno, troppo bistrattato in Solino? O qualche nota autobiografica? Fatih aveva un fratello maggiore dispettoso?
Neorealismo italiano riuscitissimo per un Fatih Akin che ha il raro pregio e l'unicità di saper intrecciare forti passioni, ironia e cruda verità. Ambientazioni salentine. Accento pugliese misto. Tedesco purosangue e tedesco meridionale. Un Celentano anni Settanta e una tarantella per un tipico matrimomio pugliese (che richiama La Sposa Turca). Immigrazione. Tradizioni. Cibo. Sesso. Matrimoni. Sempre ottime scelte musicali. Questo il fil rouge dei suoi film. Un'accozzaglia straordinaria e unica. Eccezionale Akin.

lunedì 12 aprile 2010

Basilicata Coast To Coast. Rocco Papaleo. 2010

Ma quindi la Basilicata esiste. Ora ne ho la prova. Grazie a questo pseudo-film, che definirei più uno spot turistico sulla Basilicata, con tappa d'obbligo anche a Lauria, paese natio di Rocco Papaleo. Un road movie musicale dal Tirreno allo Ionio. Si ma a piedi. Perché se la vita è troppo breve allora bisogna allungarla. E in dieci giorni. Per ritrovare se stessi. Per un progetto artistico che si lega a quello della vita, folle ma divertente con un Festival del teatro-canzone come meta finale. I quattro amici sono musicisti per hobby (possiamo dire anche tre e mezzo, visto che Gassman suona la custodia della chitarra, però ha ritmo) e compiono questo bizzarro tour con un cavallo, un carretto e un paio di pannelli solari, tra gag non sempre riuscite e canzoni pessime. Tutto sommato ne ho apprezzato il senso, tutta questa pubblicità credo che alla Basilicata servisse. Sicilia e Puglia la schiacciano, anche se non credo che poi Papaleo sia riuscito nel suo intento, ma ne riconosciamo almeno il lodevole tentativo. Il nostro eroe Rocco è qui un professore di matematica, la Mezzogiorno una gelida giornalista (che è una brava attrice, ma qui un pesce fuor d'acqua), il bel Gassman si crede un vip, alla fine capiranno “non tanto quello che sono, ma quello che sicuramente non sono”…
Tante le pecche: una sceneggiatura poco fluida, poco ritmata e anche poco musicale, nonostante strumenti e cantante a seguito (Maz Gazzè è, infatti, nel cast, se pur muto), finendo per dare l’impressione, come spesso ripete il personaggio della Mezzogiorno, "di vedere sempre la stessa scena".
Non mi convince e non mi piace questo esordio in regia di Papaleo, ma considerando il nostro mummificato cinema italiano, benvengano questi gesti coraggiosi. Sebbene estremi.

domenica 11 aprile 2010

L'uomo nell'ombra. Roman Polanski. 2010

Eccolo il nuovo film di Roman Polanski. Protagonista uno scrittore chiamato a fare il ghost writer (giuro prima non sapevo nemmeno cosa potesse significare questa parola) dell’ex primo ministro britannico Adam Lang, che vive, insieme alla moglie, la segretaria e le guardie del corpo, su un’isola sulla costa orientale degli Stati Uniti. Lo scrittore va a sostituire il precedente ghost writer che è morto cadendo da un traghetto in circostanze misteriose (questa la scena di apertura del film). Scrivere una biografia non è così semplice, come apparentemente possa sembrare, lo scrittore diventerà il suo segugio, trasferendosi nella sua abitazione in riva al mare in cui si svolge buona parte del film. Lang verrà accusato di avere, nel corso del suo mandato, consentito la tortura di prigionieri sospettati di terrorismo e di avere pericolosi legami con la CIA. Il tempo è sempre plumbeo e ventoso e gli uomini a servizio del primo ministro sullo sfondo continuano imperterriti a mettere a posto le foglie anche se il vento le scompiglia. Più che il film, ti soffermi sui particolari intorno al film, che ritornano ad immortalare la cornice di questa pellicola, più avvincenti del film stesso.
Un film senza sole, giocato sui diversi toni del grigio. Impeccabile, mai nessun gesto lasciato al caso. Nulla di superfluo, banale, da sottovalutare. Secco, diretto, brutale. Ma fantastico, con un finale da premio Oscar. Misteri e suspense alla Hitchcock su una storia di fantapolitica molto realistica. Lang, infatti, mi ha ricordato molto Tony Blair, molto british, molto sorridente, molto filoamericano, anche per le ombre mai svelate del suo mandato. (Somiglianza casuale?) Propongo un ghost writer anche per Blair!
Ottima la fotografia, il ticchettio incessante della pioggia. Ottima la sceneggiatura. I dialoghi. Impeccabile la regia. Fatico a trovarci un difetto o qualcosa che non mi sia piaciuta. Perfetto!

domenica 4 aprile 2010

Le petit Nicolas. Laurent Tirard. 2010. Un tuffo nell'infanzia

Una Francia anni Cinquanta, ma fuori dal tempo: senza criminalità, cattiveria, ovattata, quasi irreale, sospesa, è il periodo dell'infanzia di ciascuno. Una fiaba che si pone al limite tra i protagonisti del libro Cuore e le piccole canaglie. Una band di bambini under dieci, con a capo Nicolas: Alceste, Rufus, Clotaire, Eudes, Agnan, Geoffroy e Joachim, ognuno lo stereotipo di un preciso carattere. C'è il somaro che si addormenta in classe e che passa il resto delle ore in castigo all'angolo, il grassoccio sempre dedito al cibo, il secchione spione con tanto di occhialoni a seguito.
Tutto ha inizio quando Nicolas ripensa al tema scolastico “Che cosa farò da grande" (si, quegli stupidi temi, fatti apposta per mandare in crisi un bambino. Un bambino vuole essere e vivere la sua vita da bambino, non pensa al futuro, perchè costringerlo? "Quello che posso dire è che la mia vita è bellissima e non voglio che cambi")e su questa domanda la mente del protagonista comincia a pensare e a dipanare punto per punto quello che da lì a breve accadrà. Lo stile narrativo utilizza proprio il punto di vista di Nicolas, viso tondo e occhioni celesti: "Mi chiamo Nicolas. Ho due genitori che mi vogliono bene, un gruppo di amici fantastici con cui mi diverto tantissimo", e tutto il mondo è guardato con gli occhi dei ragazzi. Infatti, i momenti meno riusciti del film sono proprio quelli dedicati al mondo degli adulti: in primis i preparativi per la cena con il capo e la cena stessa. Le scene più esilaranti, invece, proprio quelle dei bambini. L'innocenza di Nicolas è interrotta quando, ascoltando i genitori, pensa stia per arrivare un fratellino e quindi di venire abbandonato nel bosco proprio come accadde a Pollicino. Con l'aiuto della gang di amici organizza divertenti escamotage per liberarsi quindi dell'ipotetico pargolo. Paranoica ai limiti dell' insopportabile la madre di Nicolas: casalinga che tenta di risollevare le sorti lavorative del marito che attende una promozione. Ogni donna al pensiero di doversi confrontare con un'altra donna va in crisi, subiamo la sindrome d'inferiorità e sfoggiamo nozioni di letteratura scandinava. (???)Da provare!
Un tuffo nell'infanzia: nelle scenette svolte a scuola, nelle problematiche familiari è facile ritrovare i piccoli e grandi drammi che ciascuno di noi ha vissuto. Monellerie, risate, relax e divertimento. Nessuna morale. E Nicolas, alla fine, capirà cosa fare da grande. E se, anche voi, avrete riso tanto durante il film, concorderete con la sua scelta.

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