domenica 28 marzo 2010

Happy family. Gabriele Salvatores. 2010

Uno scrittore, Ezio (Fabio De Luigi), fa "lo scrittore" grazie ad una rendita familiare solida alle spalle: suo padre ha inventato le palline che contengono il detersivo nelle lavatrici ("ogni volta che ne acquistate una contribuite al mio benessere"). Unica sua preoccupazione quindi, quella di scrivere una buona sceneggiatura. "Mi chiamo Ezio Colazzi, ho 38 anni e non ho mai fatto niente in vita mia... Voglio scrivere un film, meglio, un film d'autore che però incassi! Mancherebbe l'dea ma... fa niente!" Le sue parole divengono immediatamente immagini, catapultate subito in scena. Il film è, infatti, cio'che lo scrittore sta scrivendo (o almeno credo), interrotto da sue personali pause, come quella divertentissima del massaggio. Le scene più divertenti accadono proprio durante queste pause, perchè i personaggi stanchi di stare in stand.by escono dallo schermo del suo pc e gli parlano, incalzandolo a proseguire. Un plot difficile, salvato dall'ottimo umorismo, dai costumi, dagli ambienti. Bellissimi anche i colori, che mutano a seconda delle fasi in cui è il racconto: o tutto è rosso. O verde. La scena finale è bianca. Gli arredamenti, le tappezzerie, i muri delle case. Tutto è abbinato con stati d'animo e umori. Particolarissimo. Irreale. Come il sole onnipresente di Milano. Ma non si dice che sia spesso grigia? Un elogio alle varie paure dell'umanità, diverse paure costruite su diverse personalità caratteriali che le rappresentano. Siamo nell'era della paura, dell'insicurezza. Non ci sono punti fermi. Questo l'ho trovato particolarmente veritiero. Forse solo questo.
Bello. Bello perchè non lineare, non canonico. Salvatores ha di sicuro il pregio di non essere mai banale e di saper stupire con le sue bizzarrerie. Ricordate Amnesia? Se no, recuperatelo!
La domanda marzulliana di fondo rimane e ve la giro, sia mai che qualcuno sul serio poi alla fine ci capisca qualcosa: è la commedia che racconta la vita come se fosse un film o è un film che racconta la vita come se fosse una commedia? Il cinema si mescola e fonde al teatro, con l' aprirsi e chiudersi simbolico del sipario, nella prima e nell’ultima scena. Meta-teatro, molto simile ai sei personaggi pirandelliani in cerca d'autore. Ed echi anche Alleniani, Ezio è uno dei suoi personaggi, interagisce con loro: Caterina, la ragazza di cui si innamora anche nella sceneggiatura, è , in realtà la sua vicina di casa. ("Caterina: Ma sei Ezio! Quello dell'incidente? Che sfiga che hai avuto!- Ezio: Che figa che sei...) Finzione nella finzione, con un falso finale: "Potrei andare avanti a raccontare questa storia, ma preferisco chiudere qui". Tutto si fa nero ed appare l'happy end, non alzatevi per andar via. Ciack! Si ricomincia! “Mi sa che ci siamo già visti in Marocco io e te”, dice allusivamente Abatantuono, padre della ragazza che vuole sposare il figlio (gay) di Fabrizio Bentivoglio. Gia'si son visti pero' in un altro film: Marrakesh Express. I due capifamiglia son molto diversi, ma uno troverà nell'altro un vero amico, tra i due c'è feeling, improvvisazione, si nota l'amicizia anche fuori dal cast, le scene tra i due sono, infatti, le più riuscite e le più divertenti. Bellissimo anche l'omaggio a “I Soliti ignoti” e le immagine in bianco e nero sulla Milano notturna. Tante le citazioni ed i dettagli. Originale e divertente. Merita, merita. Ve lo consiglio!

giovedì 25 marzo 2010

Fuori controllo. Martin Campbell. 2010

Il film inizia con l'inquadratura di tre cadaveri che emergono dalle acque del Massachusetts. Poi la scena si sposta: un padre va a prendere la figlia in aeroporto, ma lei sta male, vomita continuamente. Anche in casa. Ad un certo punto chiede di essere accompagnata in ospedale, ha delle cose da raccontare al padre. Ma appena varcata la soglia di casa, un killer la uccide brutalmente, davanti agli occhi dell'attonito padre, "fuori controllo". La pellicola è interamente incentrata sul capirne il perchè. Il padre è Mel Gibson, il detective Tommy Craven, vedovo e reduce di guerra. Da tutti creduto il vero bersaglio dell'omicidio. In realtà Emma, la figlia, ha una doppia vita con profonde implicazioni politiche e segreti di stato da tutelare. A costo della vita. I sospetti del padre acquistano fondamento quando trova nello zaino di Emma una pistola. A cosa serve una pistola ad una stagista di ventiquattro anni? Padre e figlia non hanno un gran rapporto. L'occasione perfetta per ricucire i buchi palpabili di questa loro relazione, sembrava essere proprio questo inaspettato ritorno della ragazza a casa, apparentemente per far visita al padre. Ma non sarà così. "Bisogna decidere se vuoi essere quello che pende dalla croce o quello che inchioda"
La sceneggiatura e'banale: un padre vendica l'assassinio della figlia e indaga il suo quotidiano, accorgendosi di sapere poco della sua bambina: e'un ingegnere nucleare, ha il ragazzo. E'una donna. Una serie di coincidenze e di strani decessi lo condurranno alla multinazionale Northmoor dove Emma lavorava come ricercatrice. Ma che ruolo ha, in realtà, questa multinazionale ed Emma di cosa si occupa? Sarà vendetta. Ma non solo action e poliziesco. Sarebbe una rottura di scatole micidiale. Ogni tanto qualche saggia nota di thriller politico, che rende il tutto meno pesante. Le carte si svelano lentamente tra le rughe di Gibson ed i suoi capelli bianchi, uomo che accetta l'incedere del tempo e non si lascia tentare dai bisturi e dalle tinturine per capelli. (Apprezziamo, apprezziamo!) Sulla sua strada trova un ambiguo agente governativo, inviato per ripulire le prove ("il mio compito è non far collegare A con B"), ma che, alla fine, si addentra in un malcelato doppio gioco: non lo fa fuori e non elimina le prove.

Un finale retorico, alla The city of Angels. Muoiono tutti, i cattivi son puniti e i buoni vanno in cielo. Amen. "Viviamo per un po' e moriamo prima di quanto crediamo".

domenica 21 marzo 2010

la mia prima volta .....un pò perplesso...




..ero un po emozionato...lei era li ..per me era la prima volta..
..tutti mi dicevano che sarebbe stato bellissimo... ma io...non sapevo cosa aspettarmi... immaginavo cose
quasi acrobatiche ..poi è inziato... tutto è cominciato lentamente..non capivo ...cercavo di assaporare ogni movimento, poi .... un po a destra ... un po a sinistra. mi avvolgeva...ero completamente preso...un putiferio di emozioni, poi calma..poi ancora movimenti sfrenati ... po su...poi giù....

cavoli ...bello il 3D...

:-D :-D

ma che avevate pensato ...guardoni che non siete altro..!!

sono andato a vedere "Alice in Wonderland" .. e come detto ...se qualcuno non l'aveva capito prima...non c'ero mai stato a vedere un film in 3D..
L'attesa era grande sia per il 3D e sia perchè il Big Fish di Tim Burton mi è rimasto nella testa..e mi dicevo: "se senza 3D è stato in grado di far volare la fantasia in quel modo, solo raccontando bene la storia e facendo immaginare senza milioni di dollari di effetti speciali, cosa accadrà ora?".

La storia :
Alice , ormai diciannovenne, non ricorda più nulla delle sue avventure nel Paese delle Meraviglie, ma fa ancora i sogni delle esperienze di 13 anni fa. Durante una festa decide di inseguire nel bosco un curioso coniglio che aveva già visto in precedenza: il Bianconiglio.
Dopo una breve corsa la ragazza vede il roditore gettarsi in un grande buco nel terreno ai piedi di un piccolo arbusto. Curiosa, si sporge per capire dove questa buca porti, ma nel farlo perde l'equilibrio e vi cade dentro.

Arrivo subito al dunque :
Alice In Wonderland è un film bello, sotto tutti gli aspetti. E' il classico film della Disney con il bene che vince sul male, da guardare con tutta la famiglia magari nel periodo natalizio.
E' ben fatto, pulito, divertente. C'è un po di azione, ci sono i buoni propositi.E' la vittoria dell'anticonformismo sulle ipocrisie del mondo contemporaneo.
"La storia è ovviamente un classico, con immagini, idee e concetti molto iconici. Viene sempre fuori qualcosa che mostra una serie di strani eventi. Ogni personaggio è strambo, e Alice non fa che vagare da un incontro all’altro, risultando quasi solo come un osservatore. "
E' comunque piacevole e non ci si annoia a guardarlo. Il 3D , ovviamente, aggiunge qualcosa in più a quel mondo fantastico che nel film è descritto.
Appunto ..un bel film disney.

Tuttavia come detto prima, Tim Burton mi aveva già fatto sognare senza bisogno del 3D.
Diciamo che la sfavillante accoppiata Depp/Burton se da un lato elevano il film ad un filmone che ha mietuto incassi in tutto il mondo, dall'altro non lo portano allo stesso livello di altri capolavori dei 2 artisti.
Jhonny - mani di forbice - Depp come sempre si adagia pienamente in ogni personaggio che interpreta ma non puo essere questo il film.
Anche l'apporto delle musiche di Danny Elfman già autore di molte delle colonne sonore di Burton non aiuta. Anzi in certi punti chiudendo gli occhi si possono riassaporare lontani sprazzi del mondo , appunto, di Edward Mani Di Forbice facendo trapelare, un po di nostalgia.

Forse il fatto di partire da una storia già nota, mi ha fatto perdere un po di quel gusto di scoprire il film fotogramma per fotogramma.
Forse il fatto che si tratta sempre di un film Disney quindi necessariamente vincolato ad un stile che si discosta dalle storie solite di burton ha tolto un po di smalto agli occhi di chi cercava proprio il timbro del regista, come era successo ad esempio in "nightmare before christmas" , su una stora già di per se famosa.

..non è stata una delusione..ma come si sa...la prima volta ..lascia sempre un po perplessi. ;-)

..e il fatto che Tim Burton forse dirigerà anche il remake cinematografico della Famiglia addams non mi entusiasma.



venerdì 19 marzo 2010

La siciliana ribelle. Marco Amenta. 2008 "Tu sei carne morta, lo vuoi capire?"

Rita Atria ha diciassette anni, figlia e sorella di mafiosi locali. Cerca giustizia, non vendetta. Ma trovera' solo la morte, come tanti nostri eroi. Una bellissima Sicilia, come solo un siciliano puo'dipingerla: Marco Amenta, il regista. Terra arcaica, ferina, primordiale. Sospesa. Ma non libera. La prima parte del film è tutta guardata con gli occhi della piccola Rita, innamorata del padre, del fratello che lei crede dalla parte del giusto. In realtà assassini. A diciassette anni sceglierà una starda diversa, quella della Legge e combattera'contro la mafia. Clandestinità, rabbia, disperazione. Tanta solitudine. Cambio d'identità. Silvia. Elena. Ma chi e'ora Rita? Una giovane donna senza passato, senza origini, senza una madre, che la rinnega( Ancora non ti sei accorta che sei nascosta, come un topo intra a 'u purtuso!?). Ma soprattutto senza futuro, non può godersi senza batticuore e ansia le passeggiate per la bella Roma, le serate in discoteca con quel ragazzo che risuscita sensazioni ormai sepolte. Senza amore. Il magistrato che segue le indagini diverrà una specie di suo patrigno. Proprio lui, che quando Rita da piccola lo aveva sfidato, secco aveva sentenziato: "Hai la mafia nel sangue". Invece figlia e sorella di mafiosi sì, ma col sangue puro. Ribelle. La seconda parte, tutta incentrata su Rita, è più sgranata, opaca. Le immagini della bella Sicilia lasciano il posto ad una Roma troppo grande e poco magica. Zone anonime di periferia. Case vuote da riempire. Rita davanti allo specchio si emancipa: si trucca, non veste più di nero. Combatte. Ma quando anche il giudice Borsellino muore, Rita capisce che la mafia sta arrivando anche da lei. Non si farà trovare inerme. Sarà lei ad uccidere se stessa, a decidere di porre fine alla sua vita. Il processo è ormai in corso, i suoi diari parlano. Rita ha vinto la sua battaglia, ora è libera. Il film si chiude con la madre che al cimitero in lacrime prende a martellate la lapide della figlia, ma poi bacia la sua foto. Con rabbia si apprende durante i titoli di coda che il sindaco del paese, dopo le stragi, accusato, indagato, liberato, è stato poi rieletto dagli stessi abitanti del paese. (Mi sono chiesta da che parte politica fosse sostenuto, ma poi ho preferito non indagare)
Film sincero e coraggioso. Perchè la verità passa solo attraverso la conoscenza diretta, la testimonianza reale, non tramite le parole scandite al telegiornale dal cronista di turno o dai politici che parlano di lotta alla criminalità organizzata, ma che invece con la mafia son collusi. Magari anche condannati, ma poi comodamente seduti in parlamento. Forse un mondo onesto non esisterà mai, ma chi ci impedisce di sognare?

domenica 14 marzo 2010

Mine vaganti. Ferzan Ozpetek. 2010

Numerosa e stravagante famiglia leccese: i Cantone. Gli occhi blu di Riccardo Scamarcio. Mine vaganti che entrano nei panni di Tommaso, in fuga da Lecce, perchè in cerca di libertà e indipendenza. Si trasferisce a Roma, nascondendo ai genitori il reale indirizzo di studi universitari (lo credono un commercialista), Tommaso, invece, si è laureato in Lettere, (ottima la scelta). Non vuole dar di conto, ma fare lo scrittore. Il padre, Vincenzo (Ennio Fantastichini) è il tipico uomo del sud, proprietario di un pastificio, orgoglioso dei suoi due figli maschi. Come confessargli quindi, la propria omosessualità?L'occasione si fa ghiotta: l’espletamento di alcune pratiche notarili per l’ingresso di un nuovo socio nell’azienda di famiglia portata avanti dal fratello Antonio (Alessandro Preziosi), si offre come la scusa adatta per tornare a Lecce e confessare tutto, magari seduto a tavola davanti a tutto il parentato. Confessa il suo intento ad Antonio, anch’egli all’oscuro che il fratello fosse gay, ma durante una cena con tanto di ospiti importanti, mentre Tommaso finalmente prende coraggio per fare la sua rivelazione... Colpo di scena: Antonio lo anticipa. Sono due gli omosessuali in famiglia. Antonio, disonore della famiglia è messo alla porta e il padre per la concitazione del momento ha un infarto e finisce in ospedale. Ha così inizio, quindi, la pantomima di Tommaso, che per evitare il colpo di grazia al padre, si mette a capo dell'azienda di famiglia. Intensità tagliente e corale, tanto da rimanerne spiazzati. Con sacrificio ognuno racconta e mette in scena i suoi drammi. E va oltre, molto oltre. Da sfondo un grande triangolo d’amore durato fino alla morte. Memorabile Ilaria Occhini, nonnina chic e sprint, sobria anticonformista, che si muove come una danzatrice classica tra pennellate surreali e oniriche di un barocco che, schivo, la osserva. Volteggia sulle punte tra presente e passato, intrecciandoli e allo stesso tempo dipanando e districandone i nodi. (Echi felliniani di estrema eleganza). Una bellissima Lecce da cartolina. Ulivi contorti. Pasticciotti. Il mare gallipolino. Sanguigni e incatenanti topos: "questo non si dice, questo non si fa". Cliche'. Sembrerebbe un film banale, scontato. Ma non lo e'. Lo definirei giocato su un falso: "Ho già capito tutto". Anticonformista. Anticonvenzionale. Rappresentativa in tal senso una delle scene più eloquenti del film: la bellissima cena di Tommaso e Alba (affascinantissima Nicole Grimaudo, personaggio enigmatico, ma che rimane in ombra), a base di tramezzini. Mandati giù a suon di sguardi. Senza parole, con sottofondo di Pensiero stupendo di Patty Pravo. Un'amore che non nasce, non sboccia. Fortissima la valenza data al cibo. I dolci di ogni forma e colore accompagnano anche la morte della nonna. Se ne abbuffa fino a morirne, riappropriandosi di quei piaceri che le sono stati a lungo, per tutta una vita, negati.
Un’aria turca su cui tutti danzano chiude questo suggestivo film. Gli opposti si riconciliano e danzano abbracciati. I vivi con i morti. Il presente con il passato. La realtà con i sogni.

"Sei felice?" - chiede la sorella a Tommaso. Alla fine solo questo conta.

venerdì 12 marzo 2010

Nord. Rune Denstad Langlo. 2009

Neve. Freddo. Bianco. Poche case sparse qua e là. Bianche solitudini. Da riempire. Ma troppo bianco. Decisamente. Un divertente viaggio verso Nord da parte del protagonista, verso il figlio.
Una senso di solitudine portato agli estremi: di forte impatto emotivo la fine del vecchio eremita. Ironia e maliconia seguono lo stesso passo. Anzi a volte l'ironia ha un passo un tantino più lungo: accellera nel passaggio in cui un ragazzo illustra la tecnica per ubriacarsi in fretta grazie ad un tampax in testa (!). Aneddoti per stemperare l'estremo dramma di fondo e accompagnare il panzone biondo Jomar, depresso, ansioso, in preda a crisi di panico, che vive nel ricordo del suo passato, a tratti cieco, verso la sua meta. Era un campione di sci ed aveva in mano la chiave di un futuro di sicuro successo. Tra uno Xanax e l'altro, finisce con lo staccare pass per i clienti della stazione sciistica in cui lavora. Poi un giorno la psicologa lo dimette dalla clinica dove è in cura e tramite un amico lo sciatore scopre di avere un figlio di quattro anni, che vive con la sua ex fidanzata nei pressi del circolo polare artico.
Un bel documentario sulla vita a Nord, con tanto di ragazzina (e nonna) annoiata che fuma di nascosto, un giovane meccanico omofobo ossessionato dagli omosessuali che si stordisce coi tampax, ed un novantenne che vive romanticamente in una capanna sopra un lago ghiacciato legato con una catena ad una vecchia motoslitta. Apparentemente un viaggio fisico, ma in realtà un viaggio dell’anima, in epoche passate scandite dagli incontri: la giovinezza, l'età adulta e la vecchiaia. Una sorta di pellegrinaggio per redimersi, con un inizio goffo e criptico, ma che poi convince proprio perchè buffo e demenziale.
La Norvegia deve essere proprio un posto mitico. Forse giusto un tantino fredda. La vita è sempre difficile...ma non per sempre.

lunedì 8 marzo 2010

Shutter Island. Martin Scorsese. 2010 "La mente è un'isola in balia di quello che non vogliamo accettare"

1954. Piena guerra fredda. Scompare una paziente Rachel Solando da un manicomio criminale su un’isola, colpevole di aver annegato tutti e tre i propri figli durante una crisi maniaco-depressiva. L'istituto si chiama Ashecliffe e si trova su un isolotto al largo di Boston, denominato Shutter Island. Un complesso diviso in tre ale principali con un misterioso e apparentemente inutilizzato faro. L'unico modo per giungere (ed andarsene) dall'isola è un malandato traghetto, che trasporta inoltre i beni di prima necessità per i detenuti isolani.
Due agenti federali Teddy Daniels (Leonardo DiCaprio) e il compagno Chuck partono per seguirne le indagini. Un uragano travolge l’isola, isolandoli dal resto del mondo e rendendo l'atmosfera inquietante e da incubo. A guidarli nelle loro ricerche un biglietto trovato sotto una mattonella nella stanza della scomparsa: “Chi è il paziente 67?”
Hanno da qui inizio una serie di strani sogni e allucinazioni che hanno per protagonista la defunta consorte di Daniels. Tutto comincia a diventare "strano", molto strano. Un fantastico Thriller psicologico, con colpi di scena e una trama ingarbugliatissima che si dipana psicologicamente mettendo a nudo incubi, paure e l'immaginazione dei protagonisti, annodandoli alla realtà, dalla quale si fatica poi a distinguerli. Confusione totale fino alla fine: falsi indizi, presunti colpevoli e verità. E la mente malata a creare o stiamo assistendo alla reale messa in scena? Scorsese in realtà, non svela mai, ma suggerisce, tende la mano per non far ammattire lo spettatore. Lentamente e senza accorgervene scenderete i meandri di una mente folle e allucinata e con un certo fascino ad un certo punto vi renderete conto che il vostro punto di vista è in quello di un matto. Avrei esagerato di piu', scardinando meno, c'è un surplus informativo nella prima parte del film che evita di arrivare alla pazzia totale da parte di chi guarda, lo capisci che devi "staccare" o finirai per strapparti i capelli anche tu. Non avrei dato questo sentore. Unico appiglio critico per un film, che è, a mio avviso, un vero Capolavoro nel suo genere. I flashback/allucinazioni di DiCaprio, infatti, svelano troppo e la meravigliosa seconda parte del film è pura follia, ma con poco da scoprire, del protagonista abbiamo capito abbastanza. Un viaggio nell'impervio territorio della mente umana: il piromane assassino dalla faccia deturpata che ha ucciso la moglie di Teddy esiste davvero o è solamente una partita a scacchi giocata con la propria mente malata? Mentre cercate una risposta, il quadro d'improvviso diventa nero. E lentamente salgono i titoli di coda.

Non ci sono opere, ci sono solo autori, diceva quel gran genio del Truffaut. I buoni film sono quelli che dopo ti fanno arrovellare, che ti fanno sentire protagonista, che ti pungolano. Shutter Island, in tal senso, è un buon film, che meriterebbe, forse, più frequentazioni, non svela di certo tutti i suoi segreti alla prima visione: difficile comprendere i meccanismi mentali che scatenano la follia dei protagoniosti, il concetto di violenza nazista che è alla base del film come forza motrice e presupposto inevitabile di ogni civiltà. Il "senso di colpa”, sentimento alla base di moltissime psico-patologie, redaggio spesso di educazioni rigide e di stampo cattolico. Cio'che la mente per autocurarsi rimuove, ma non cancella mai del tutto: gli orrori post Seconda Guerra Mondiale e gli echi anti-comunisti. L’isola di Ashcliffe non esiste è solo quindi una metafora della mente del protagonista, disturbata e allucinata. La maggior parte del film è il frutto della proiezione di una mente malata, l'isola che imprigiona i personaggi ( e noi con loro), inaccessibile e senza vie di fuga ("Chi arriva sull'isola non ne va più via") è solo la trappola di una mente schizofrenica e ossessiva. Simbolici anche la pioggia e gli uragani, sempre relativi alla mente malata, che se sedata e sottoposta a cure si rigenera e più il superlativo Leonardio DiCaprio cerca di arrivare alla verità, più gli eventi apocalittici aumentano. La mente che si autocura non vuole mai arrivare a possedere quella realtà mostruosa che cerca di eliminare. L'attenzione si focalizza sulla mente del pazzo, su cosa lo conduce alla pazzia. Accenni alle torture fisiche e psicologiche cui spesso vengono sottoposti e una rivalutazione di quella che a quel tempo ( e forse ancora oggi) era la figura del folle: nonostante il loro stato sembrano sempre saperne più di quanto uno scaltro marshal federale possa mai scoprire e immaginare. Forse anche per via dei suoi di traumi.

Signori buona visione e buona permanenza su Shutter Island. Ma prima della partenza allacciate le cinture.

venerdì 5 marzo 2010

Francesca. Bobby Paunescu. 2009


Francesca è una trentenne rumena col sogno dell'Italia. Un film scomodo per noi "padroni del mondo", difficile ascoltare senza poter replicare gli appellativi che gli stranieri ci affibbiano ( a piena ragione). Il nonno della protagonista parla degli uomini come“stalloni da monta”, con il solo interesse di sottrarre le donne ai rumeni. Il padre di Francesca, invece, ci bolla come un popolo di razzisti. La giovane ne è un po'spaventata, ma continua a pensare alla nostra penisola come ad un’oasi di felicità e rinascita. Intraprende, quindi, il suo viaggio con un progetto ben preciso: aprire un asilo nido per i piccoli rumeni in Italia (oltre un milione). Per il resto un film noiosissimo, statico, che acquista valore solo tramite il messaggio che veicola: la speranza e la voglia di ricrescita di una repubblica dopo anni di dittatura. Buona, in tal senso, la resa delle scene: palazzi vecchi e scrostati e strade polverose. Grigiume. Appiattimento.Mita è il ragazzo di Francesca, deve sbrigare delle "losche faccende" e poi raggiungerla in Italia. Farà pero'una brutta fine.

Gli Italiani sono proprio gente pessima, di cui è meglio non fidarsi. E questo, fatta eccezione per qualche malcontento in sala, mette tutti d'accordo.

giovedì 4 marzo 2010

Invictus. Clint Eastwood. 2009


11 febbraio 1990. Nelson Mandela (Morgan Freeman) lascia la sua cella dopo ventisette lunghi anni. Un buco di soli cinque metri quadri nel penitenziario di Robben Island. Dopo cinque anni: il 24 giugno del 1995 l'happy end con il grande match di rugby. Questi in sostanza i fatti salienti di questa agiografia su Madiba (nomignolo affettuoso dato a Mandela dai suoi collaboratori). Cinque anni di "guerriglie" da parte del premio nobel per la pace per riappacificare i bianchi e i neri dopo la ferita dell'apartheid. Vincente l'idea di giocarsi il tutto attorno alla comune passione per il rugby, radunando, in occasione del campionato del mondo, le due etnie nel tifo per la squadra nazionale, capitanata da Francois Pienaar (Matt Damon). E non sarà solo pace ma anche Coppa del Mondo.

Un film ordinario. Unica emozione: l'aereo che basso plana lasciando tutti col fiato sospeso.

lunedì 1 marzo 2010

Codice Genesi. Fratelli Hughes. 2010

Eli, viaggiatore pacifico e solitario, da diversi anni è in cammino. Verso Ovest. Non si conosce la sua meta. (Non la conosce nemmeno lui, i timorati di Dio seguono la voce del divino senza farsi troppe domande. Basta la fede). Zaino sulle spalle. Armi di difesa. Acqua. Non esistono monete, denaro (evviva) e quindi baratta oggetti. Poi un libro. Ma non un libro qualsiasi. IL libro. Che ormai conosce a memoria. Lo legge ogni giorno. Una misteriosa guerra di cui non si parla e su cui non viene fornita la minima indicazione ha riazzerato l'universo.
Sopravvivenza post-apocalittica contaminata con sapori western, action e suggestioni mistico-religiose. Tutto grigio, arido, desertico. Il look del film risulta poco convicente e noioso. Solo morte, disperazione. Gli uomini hanno subito una regressione, sono diventati affamati predatori-cannibali: mangiano i loro simili. Homo homini lupus. I più giovani sono analfabeti, tutto è andato distrutto e si cerca di ricostruire il ricostruibile. Il cattivo Carnegie (la presenza di Gary Oldman risolleva le sorti di questa pellicola un pò scadente) capisce che l’acqua e "qualcosa in cui credere" rappresentano la nuova possibilità di costruirsi un immenso potere. L'umanità è soggiogata dal nulla e facilmente raggirabile. Decide di dare loro una fallace (ma per lui redditizia) speranza su cui riscostruire il proprio futuro.
Qualcosa non funziona. Non coinvolge. E sotto le note di Ennio Morricone fischiettate ossessivamente da parte del luogotenente Ray Stevenson si percorre quest'America devastata e pensi (ancora prima che la pellicola termini) cos'è che non sta andando, perchè hai quell'espressione di diniego mentre osservi. Forse perchè tutto è lasciato nelle mani della provvidenza divina e non nelle capacità umane. Con queste premesse l'ottimismo di fondo diventa poco credibile. Soprattutto in un'atmosfera di totale degrado. Non mi piace che alle sacre scritture venga attribuito un potere manipolatorio. Non sono le giuste premesse se si sta cercando di ridar vita al mondo. Se la speranza fosse albeggiata nei libri, nella cultura, nella lettura, nell'espressione individuale sarebbe stato meglio. Lo ribattezzerei "Per un pugno di polvere". Rende meglio l'idea! "Poichè siamo stati creati dalla polvere, alla polvere ritorneremo".

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