(Nadia si lascia morire tra le onde del mare)
Miral. Come il fiore che nasce sui cigli delle strade e dal quale germogliano altri fiori:due donne, la sua insegnante Hind, fondatrice di un orfanotrofio, e la madre Nadia. Tre trame al femminile intrecciate alle voci di chiunque abbia esercitato un’influenza su di loro, e a alle voci delle innumerevoli storie simili a quella di Miral, la bellissima palestinese che vive in Israele nel collegio-orfanotrofio fondato da Hind Husseini. Nadia, che si lascia annegare tra le onde del mare, e la zia di Miral che ha compiuto un grave attentato, costringono quello che lei crede essere il suo vero padre a cambiarle identità e ad allontanarla dalla famiglia, ma non si sfugge al destino e nel collegio la giovane seguirà attivamente le vicende che condurranno agli accordi di Camp David e manifesterà, facendone le spese, a favore della causa palestinese. Miral rappresenta la generazione allevata nel pieno dell’occupazione e solo chi ha coltivato nonostante tutto un sogno di pace attraverso l’amore, l’istruzione e la speranza, è riuscito alla fine a vincere. E'la storia di una vittoria al femminile, velata, timida, zoppicante, umiliante: bellissima la scenza della violenza consumata su una donna espressa nel dettaglio di una macchina da presa, che per il pudore di un gesto così vile e oltraggioso indugia, sgrana, sfoca l'immagine, l'azzittisce, ammutolisce, per poi rivelarla solo alla fine, quando tutto è compiuto. Una storia un po'disordinata, difficile e a tratti noiosa da seguire, poco pathos, un generico appello alla pace, ma che ha la pecca di non diventare mai un vero e proprio grido.
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