“Mi accorgevo di avere la pelle d’oca. Senza una ragione, dato che non avevo freddo. Era forse passato un fantasma su di noi? No, era stata la poesia. Una scintilla si era staccata dal poeta e mi aveva dato una scossa gelida. Avevo voglia di piangere; mi sentivo molto strana.Avevo scoperto un nuovo modo di essere felice.” (Sylvia Plath)
sabato 14 luglio 2012
Lolita di Adrian Lyne. 1997
Stati Uniti, anni ’50. Humbert Humbert è un maturo professore europeo che prende in affitto una camera nella casa di una giovane vedova (Melanie Griffith). La donna sposa l'affascinante professore, interessato in realtà alla figlia dodicenne, Lolita, che diventerà una vera ossessione per l’uomo. Il film è lo snocciolarsi di questa passione.
La Lolita di Stanley Kubrick ha recentemente spento sessantasei candeline, ma per me Lolita ha lo sguardo della ragazzina rossa di Adrian Lyne, meno dotata di buon senso e buon gusto (anche se molte sono le parti purtroppo poi censurate in questa pellicola). On ogni caso maggiore è qui la fedeltà all'omonimo romanzo di Vladimir Nabokov(bellissimo) da cui le pellicole sono tratte. Infatti, il film di Lyne comincia narrando brevemente un episodio significativo dell’adolescenza di Humbert, ossia quello del suo profondo ma mai consumato amore per la coetanea Annabella, morta prematuramente di tifo a soli 14 anni; episodio al quale Nabokov riconduce la passione dell’uomo per le ragazzine acerbe, le cosiddette “ninfette”. E poi ci viene presentata lei, la protagonista, la splendida e maliziosa bambina-seduttrice, molto esuberante e sfrontata, consapevole da subito del fascino esercitato sull'uomo. Padroneggia, beffa e sottomette Humbert a suo piacimento, un innamorato troppo arrendevole e, quindi come da copione, per questo incapace di esercitare un vero ascendente, neppure di carattere sentimentale, su di lei.
Stuzzicante la barby rivestita di tulle bianco con cui Lolita volutamente infastidisce e affascina Humbert, e che esprime il suo lato sia infantile che precoce; l'esibizione sfrontata del suo apparecchio ai denti, che toglie nei momenti più caldi, le caramelle con le quali gioca sempre in modo infantile; l’insolenza costante e le lacrime con cui si sfoga soprattutto quando pensa di non essere vista da Humbert. Fedelissima anche l'ultima sequenza del film: voci di bambini che giocano nella vallata e il colpevole struggimento di Humbert per aver impedito a Lolita di avere una vita altrettanto innocente, con brevi stralci di una voce fuori.campo della bellissima prosa di Nabokov.
Tuttavia mancano a mio parere alcuni tratti psicologici fondamentali dei personaggi di Nabokov: Humbert è un manipolatore e solo successivamente s'innamora di Lolita, nel film invece da subito ne appare stregato, manca quell'attrazione puramente erotica che rende viscido il suo personaggio. E'un rapace che qui fa la parte di una vittima, è il sedotto invece che il seduttore, ha il cuore spezzato ma in realtà è colui che spezza adolescenza e infanzia a Lolita, nel romanzo si rende conto gradualmente di "aver spezzato qualcosa dentro di lei". Questa presa di coscienza è affascinante ma manca del tutto nel film. Mentre nella versione di Kubrick questo rendere amabili tutti i personaggi manca, sono in effetti come devono essere: sgradevoli.
E poi Charlotte, la mamma di Lolita, è grassa, sciocca, Melania Griffith è una bomba sexy, Lolita scompare al suo confronto, nessun uomo preferirebbe la figlia alla madre. Lui le dà della mucca, ma qui Melanie è stupendamente bella!!
E Quilty? Il vero pedofilo, l'uomo che strappa Lolita da Humbert fa una morte splatter, si è vero lui è il più disgustoso della storia, ma la classe di Kubrick nel rendere la scena della sua morte? Kubrick recupera tutto e pareggia!
Insomma la classe non è acqua e si vede tutta.
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