“Mi accorgevo di avere la pelle d’oca. Senza una ragione, dato che non avevo freddo. Era forse passato un fantasma su di noi? No, era stata la poesia. Una scintilla si era staccata dal poeta e mi aveva dato una scossa gelida. Avevo voglia di piangere; mi sentivo molto strana.Avevo scoperto un nuovo modo di essere felice.” (Sylvia Plath)
sabato 11 agosto 2012
“L’amante” di Jean-Jacques Annaud. 1992
Indocina anni 30. Un affascinante trentaduenne cinese (nel libro erano 27) si innamora di una quindicenne francese che si trova nel Vietnam francese per motivi di studio. Lui è ricco, non lavora, ha un pied-à-terre, "la stanza dello scapolo" che diventerà il teatro della loro passione. Lei è bellissima: indossa un vestito di seta indigena di un bianco ingiallito; in testa ha un cappello da uomo in feltro a tesa piatta bordato da un nastro nero e indossa scarpe scalcagnate da ballo in lamè nero con qualche strass. Non ha ancora avuto esperienze sessuali, salvo abbracci intimi con una sua compagna di scuola sotto la zanzariera del dormitorio, però di esperienze vorrebbe averne, le importa poco che una ragazza non vergine non la sposi nessuno. Il cinese è timido nell'appproccio anche perchè folgorato dalla sua bellezza, lei lo incoraggia, baciando il vetro dell'auto ad occhi chiusi, quando lui viene a prenderla a scuola.
Marguerite Duras la sa lunga. Il suo omonimo romanzo dal quale il film è tratto è tra le pagine più belle che abbia mai letto, una scrittrice efficace che però ha disconsciuto questa versione filmica. Sono d'accordo: una passione estetica, patinata, molto più ferina, violenta e primordiale quella che sgorga dalle pagine della Duras. Un erotismo che qui non è vera sensualità, una grande opera letteraria che qui perde il suo grunge artistico.
I problemi nel rapporto con la madre e con il fratello oppiomane, il fratello minore con problemi mentali, sono tratti autobiografici della vita della Duras, questa relazione con quest'uomo adulto " e cinese" sarà stata di sicuro molto contrastata, ma non c'è nulla che davvero stupisca in questa film. Sentimenti accesi che invece sgorgano quando la Duras scrive la sceneggiatura di Hiroshima, mon amour, nell'amore tra l’attrice francese e l'architetto giapponese cinque anni dopo Hiroshima.
L'amore tra la giovane e il cinese esplode su un traghetto che attraversa il fiume Mekong diretto alla città di Saigon, lui ne rimane folgorato, lei un po'in cerca della passione e di una sicurezza decide di diventare la sua amante. L'esistenza della quindicenne è insopportabile e quegli incontri fugaci diventano per lei momenti di vita. I soldi. La richiesta incessante di soldi. Lei si perderà nei meandri delle pecche economiche della sua famiglia, non scorgendo l'amore. Che però rimarrà indelebile per tutta la vita. Il trentenne cinese come da tradizione ha un matrimonio combinato che lo attende e quindi la sua amante bambina lascia per sempre l'Indocina per tornare in Francia, dove anni dopo, quando sarà diventata una scrittrice comprenderà che in quei momenti di passione si celava il senso di tutto.
Aveva una famiglia da aiutare, ma quando può dire a sé stessa la verità, questa zampilla: lo ha amato anche lei. Trent'anni dopo, divenuta scrittrice molto nota, sposata e divorziata, riceverà una telefonata. E' il cinese, che è a Parigi con moglie e figli, le dice soltanto che ha continuato ad amarla sempre allo stesso modo. Lei non risponde. Ancora una volta. Ha finto di essere un'amante perchè era l'unico modo possibile per amare un uomo così lontano in tutto da lei. Ma l'amore è una forza prorompente non ha ostacoli. Si crea alibi, situazioni degradanti, disperate. Purchè viva, esista.
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