sabato 13 agosto 2016

Il Club (El Club) di Pablo Larraín. 2015

Pablo Larraín. appena quarantenne e cinque film capolavoro. Il Club (El Club) e si apre con dei versetti strappati alla Genesi: “Dio vide che la luce era cosa buona, e separò la luce dalle tenebre”.
Quattro preti vivono insieme in una casa al confine del mondo, ognuno di loro deve espiare una colpa, laddove senza gli abiti talari indosso si parlerebbe di crimini, quali pedofilia e traffico di minori. Una suora si prende cura di loro, fa da supervisore: esistenza sedata e rigidamente controllata, routine e preghiera, regole esaustive e allontanamento dal mondo. Può durare? No, arriva Sandokan, la voce che grisa nel deserto e fa ritornare a galla il passato: “Penetrazione”, “eiaculazione”, “prepuzio”, il suo mantra è esplicito, fanciullesco, torturato tra significato e significante.il refrain di Sandokan forza l’empatia, tortura le coscienze, perché ha la forza dolorosa del migliore cinema, ossia l’evocazione. quelle molestie s tupri vengono solo descritti, Larraín non si accanisce, ma nemmeno allevia la sofferenza. La posizione morale è la nostra: non solo è scomoda, fa male.Alla Chiesa, a Bergoglio (diciamolo pure) non spaenta l'inferno, ma l'opinione pubblica, la stampa Non c'è un vero pentimento, questo denuncia la pellica, anche suor Monica, la vigilante, racconta di una sua adozione: una bambina picchiata e maltrattata da lei, ma nega l’accaduto e incolpa sua madre di razzismo.

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