“Mi accorgevo di avere la pelle d’oca. Senza una ragione, dato che non avevo freddo. Era forse passato un fantasma su di noi? No, era stata la poesia. Una scintilla si era staccata dal poeta e mi aveva dato una scossa gelida. Avevo voglia di piangere; mi sentivo molto strana.Avevo scoperto un nuovo modo di essere felice.” (Sylvia Plath)
mercoledì 27 ottobre 2010
La pecora nera. Ascanio Celestini.2010
Dal salotto rosso della Dandini, al suo primo lungometraggio:Ascanio Celestini è Nicola e vive nel "condominio dei santi" da ormai trentacinque anni. In realtà è un manicomio elettrico, raccontato attraverso un lunghissimo monologo (la voce off se all'inizio conquista, a metà film diventa un incubo) tra ricordi d’infanzia e i passaggi delle gonne delle suore che gestiscono l’istituto. Scariche elettriche per ripristinare tragicamente l'ordine nelle teste "senza ordine" dei loro sfortunati ospiti, delle pecore nere. Qui la pecora nera è proprio Nicola,l'emarginato, l'ultimo della classe, la coda della società. Tra le uniche uscite "le spedizioni" per fare la spesa al supermercato e come ogni attività da manicomio, anche questa con delle regole da seguire alla lettera: evitare le sottomarche, prendere sempre i prodotti retrostanti, arrivare in cassa e lasciare che la suora paghi. Qui, nel supermecato ritrova Marinella (Maya Sansa) l'amica di giochi adolescenziale, emblema di quell’amore che dura un attimo, che comincia e finisce, l'unico che davvero inebria, stordisce, quasi conduce "alla pazzia". Lei non lo scelse solo perchè non aveva creduto ad una sua bugia: Marinella finse di aver mangiato un ragno, Nicola non credette alla falsa verità e finì quell'idillio d'amore. Ora la bella Marinella vende cialde e macchine del caffè in un angolo del supermercato, grazie agli occhi dolci fatti ad uno che conta, anche lei una tragica vittima del corrotto sistema sociale. Quelle visite al supermercato diventano per la testa di Nicola libertà ed evasione, una proiezione di quel caos strozzato con l'ordine, ma che torna a rivendicare i suoi spazi, a rivendicare il suo status di pazzia. Perchè le regole vanno sempre poi ripristinate: "Come ti faccio ti disfo" Pio Pio Pio Pio.
Toccante la resa dell'infanzia di Nicola, vissuta con la nonna anziana (che indossa le calze grosse della farmacia), anziana nella testa più che anagraficamente e che quindi spesso lo metteva in ridicolo: "quest'uovo è così fresco che puzza ancora del culo della gallina", è solo la ricostruzione della malattia di Nicola, infatti, a dare solidità al film per la sua schiettezza. A tratti davvero spiazzante. Strazianti le sue disfatte, le sue sconfitte: il costume da Tarzan rimpiazzato da quello del coniglio puzzolente, il rifiuto di Marinella, gli scherzi imbecilli dei fratelli, una madre pazza stesa su un lettino senza capelli che non lo coccola "dalle un bacio, è tua madre, sbrigati sennò poi muore".
Notevole la prova Giorgio Tirabassi nella parte del doppio di Nicola, la sua parte malata ed un plauso al piccolo Luigi Fedele, Nicola bambino, nella riproduzione mimetica dei tic linguistici e delle movenze di Celestini.
Una filastrocca di gusto espressionistico, ambientata negli "anni 60, i favolosi anni 60",quelli del Cremino e del Sapore di sale, sapore di mare, al gusto di pasticche marziane.
Chi sono i matti? Sono dei santi- dirà Celestini- perchè rinchiusi fra le quattro mura del manicomio, accolgono le sofferenze del mondo e lasciano i "sani" liberi di correre spensierati sull'erba dei prati.
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