“Mi accorgevo di avere la pelle d’oca. Senza una ragione, dato che non avevo freddo. Era forse passato un fantasma su di noi? No, era stata la poesia. Una scintilla si era staccata dal poeta e mi aveva dato una scossa gelida. Avevo voglia di piangere; mi sentivo molto strana.Avevo scoperto un nuovo modo di essere felice.” (Sylvia Plath)
giovedì 3 ottobre 2013
Non lasciarmi di Mark Romanek. 2010
"Non c'è parola, in nessun linguaggio umano, capace di consolare le cavie che non sanno il perchè della loro morte" (dall'incipit della "Storia" di Elsa Morante, citando a sua volta la testimonianza di un sopravissuto di Hiroschima)
Campagne inglesi autunnali e un romanzo: "Non lasciarmi" di Kazuo Ishiguro. Con voce narrante l' assistente Kathy H.. Un'atmosfera sospesa, irreale e annebbiata. Poi tutto man mano prende significato e forma sia nel film, sia addentrandovi nei capitoli di questo bellissimo romanzo.
Chi sono questi donatori? Cosa donano? Un lungo flash-back: bambini in fila che giocano, studiano. Tutto ha una precisione geometrica, soprattutto gli edifici: quello di Hailsham fino ai Cottage e ai centri di completamento, architetture tutte uguali e spersonalizzanti. Tre bambini crescono e vanno verso un destino disumano: la libera clonazione sembra far passi da gigante in campo medico, ma a discapito di chi?
Perchè i protagonisti non si oppongono? Perchè non scappano, perchè accettano questa "missione" così pacificamente? In fondo anche noi "normali" accettiamo il nostro destino crudele che ci porta a morire un giorno; quindi - come la protagonista suggerisce nella chiosa- forse le loro vite non sono poi così diverse dalle persone che salvano. Nessuno capisce fino in fondo cosa ha passato e ciascuno crede di non aver avuto abbastanza tempo. Eppure, è già tempo di morire. E le preghiere non servono. Come non servirà il appello ad una proroga. Era una bufala. Ed io questo l'avevo compreso sia nel film, sia nella vita. Per questo mi burlo di lei e cerco di godermela ogni istante. Ho percepito, da subito, questo film come una sentita metafora della vita, noi siamo le cavie, e dalla morte non si scappa, si urla - come uno dei protagonisti- ma poi si accetta. Possiamo solo sognare ed immaginare, sperare che oggi non sia il nostro turno, "ma non voglio che la fantasia prenda il sopravvento". Anche io voglio rimanere lucida.
Devastante la conclusione. Ma tutto raffinatissimo.
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