“Mi accorgevo di avere la pelle d’oca. Senza una ragione, dato che non avevo freddo. Era forse passato un fantasma su di noi? No, era stata la poesia. Una scintilla si era staccata dal poeta e mi aveva dato una scossa gelida. Avevo voglia di piangere; mi sentivo molto strana.Avevo scoperto un nuovo modo di essere felice.” (Sylvia Plath)
lunedì 20 ottobre 2014
Non si sevizia un paperino di Lucio Fulci. 1972
“San Rocco è un bugiardo. Ti puoi fidare solo di San Biagio: quello non ti mente mai”
Ad Accendura alcuni bambini muoiono in circostanze misteriose. Andrea Martelli (Tomas Milian) insieme alla polizia compie delle ricerche: i sospettati sono la 'maciara' una maga dedita a riti di magia nera, e Patrizia (Barbara Bouchet), la figlia ricca di un ex abitante del luogo, ora trasferitosi a Milano, che l'ha rimandata a vivere nella loro casa vacanze per motivi inizialmente sconosciuti.
Martelli entra ben presto in sintonia con Patrizia, l'unica persona che in quella desolazione umana di Accendura, incarna e rappresenta il mondo nuovo, non solo del nord che avanza e si sviluppa con nuove idee, modelli di vita, modelli di vestire, di comportarsi e di rappresentarsi, ma anche di essere liberi di vedere le cose in un'ottica a 360 gradi senza preclusioni e imposizioni di una cultura precedente. I bambini del paese cercano trasgressione ovunque, per crescere, per andare controcorrente, per sentirsi più grandi, in un chiuso paese del Sud che invece li strozza. A Bitonto nel 1971 ci furono veramente una serie di delitti che hanno coinvolto minorenni, il film s'ispira a fatti di cronaca quindi reali. Ciò che viene messo in evidenza è come è il "diverso" a soccombere: la maciara cade sul ciglio della strada, mentre le auto dei vacanzieri sfrecciando verso le mete ambite, ignorano la sua presenza, per non arrivare in ritardo, per 'non avere problemi', fondamentalmente per indifferenza di fronte alla morte di qualcuno che non li riguarda. Memorabile questa morte della Bolkan, la scena più agghiacciante del film: massacrata al cimitero e accompagnata oltre la vita dalle note di “Quei giorni insieme a te” della Vanoni, si trascina verso l’autostrada, che separa l’arroccato insediamento dall’Italia più “evoluta” e ha l’inquietante fascino del limite invalicabile. Come dimostra la povera “magiara”, si può arrivare fino a lì e poi però si muore.
Se vi aspettavate mostri, rimarrete delusi: qui l'unico mostro è l'ignoranza del paese, la critica del regista arriva come un messaggio fin troppo chiaro. Il film è crudo ed estremamente provinciale. Ma è un capolavoro.
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