“Mi accorgevo di avere la pelle d’oca. Senza una ragione, dato che non avevo freddo. Era forse passato un fantasma su di noi? No, era stata la poesia. Una scintilla si era staccata dal poeta e mi aveva dato una scossa gelida. Avevo voglia di piangere; mi sentivo molto strana.Avevo scoperto un nuovo modo di essere felice.” (Sylvia Plath)
mercoledì 24 dicembre 2014
La spettatrice di Paolo Franchi. 2003
"Il regalo è una miseria, ma tu mi amerai per il prezioso regalo che non c'è."
Una traduttrice simultanea è ossessionata dal suo sconosciuto dirimpettaio tanto da arrivare a seguirlo nei suoi trasferimenti professionali. Ho scelto questo film per la Vigilia, perchè trasmette inquietudine, un po'come il periodo natalizio. E'freddo al punto giusto: una gelida Torino di finestre e fermate d'autobus. Di sciarpe che ti coprono il viso. E poi silenzi, parole soffocate, pedinamenti, inseguimenti del cuore. E'l'esordio alla regia di Paolo Franchi: aspro, ruvido, minimale, dominato da una messa in scena molto potente (la panoramica sul molo di Trieste che annega tra i capelli di Valeria sferzati dalla bora è un piccolo gioiello da stringere al cuore).
Il professionista ha una compagna matura, Valeria ne diventa collaboratrice editoriale. Penetra, pian piano, fra le pieghe del loro rapporto incrinandone il precario equilibrio.
Ma Valeria poi scappa, come se il suo compito fosse concluso, in preda ai fantasmi di sé. Roma impressionista: riflessi opachi, vetrate, diagonali strette, angoli acuti. Perchè attraverso le lenti della propria solitudine si finisce spesso per guardare il mondo da spettatore, osservando gli altri ingegnarsi per cambiare il corso della propria vita, di prendere decisioni e fare scelte. Ma rimanendo fermi.
Stupenda e misera città,
che m’hai insegnato ciò che allegri
e feroci gli uomini imparano bambini, […]
come andare duri e pronti nella ressa
delle strade, rivolgersi a un altro uomo senza tremare […]
Scriveva Pier Paolo Pasolini che amava Roma come si ama una donna, tanto da aver l’ardire di “lasciarci pure la pellaccia”, lui che veniva dal nord ma che cercava il mistero del vivere al Sud, quello dei profondi affetti, del profondo dolore, del profondo sentire.
Ma che nasconde: “Ti invidio perché sai stare da sola” - dice l’amica bionda mentre la musica del locale da ballo dove è ambientata la scena prende il sopravvento sulle sue parole e inghiotte avida il corpo magro della silenziosa e tormentata protagonista.
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