sabato 3 gennaio 2015

Pollo alle prugne di Marjane Satrapi, Vincent Paronnaud. 2011

“Colei che hai perduto sarà in ogni nota che uscirà dalle tue dita”.
Otto giorni per smettere di esistere. Era il 2007 quando Marjane Satrapi e Vincent Paronnaud vincevano il Premio della Regia al Festival di Cannes con il lungometraggio d'animazione "Persepolis", tratto dall'omonimo graphic-novel della Satrapi. Qui siamo nella Teheran degli anni Cinquanta. Nasser Ali è un violinista di incredibile talento, che, durante una delle solite litigate con l'intransigente consorte, vede l'adorato strumento scagliato a terra dalla donna, distrutto per sempre. Decide quindi di "lasciarsi morire", chiudendosi per sette giorni nella sua camera da letto, senza magiare né bere, solo con i suoi ricordi. Rispetto a Persepolis l'Iran non è più teatro di scontri e ingiustizia sociale, ma diventa un'ambientazione da favoletta nella millenaria cultura persiana. Una cornice narrativa e varie parentesi temporali di visioni e ricordi di Nasser Ali in cui Teheran sembra tratteggiata con lo stesso spirito intimista e lo stesso gusto per la suggestione romantica della Rimini felliniana di "Amarcord". L’ambientazione e la voce fuori campo ci suggeriscono che la vicenda è situata negli anni immediatamente successivi al colpo di Stato degli Stati Uniti del 1953 e non può non evidenziarsi, a un occhio esperto, la dissacrante sequenza, nella quale la regista punta il dito sulla cultura stelle e strisce (ingrassante e ottusa), importata nel paese asiatico. Inoltre la protagonista femminile si trascina un nome inusuale e non casuale – Iran – e la pellicola ci suggerisce come la sua figura (eterea e perduta) sia il riflesso abbagliante di un paese che non esiste più. Come la citazione dell'abbraccio (più materno che sensuale) nell'enorme seno di una Sophia Loren avvolta dalle ombre oscure del sogno, un desiderio dimenticato che permette al povero protagonista di trascorrere l'unica notte nel sonno e nella beatitudine.
Pernacchia irritante e impertinente di un figlio ottuso che non ha ereditato la sensibilità artistica del padre messa in scena con siparietto platonico, al quale contrapporre l'avvenire del figlio visto come una sit-com americana kitsch e a basso costo. E'la perdita del suo amore unico che fa suonare così divinamente Nassar Ali, l'uomo si farà poi convincere dalla madre a sposare l'erudita e bruttina Faranguisse, ma la storia non decollerà mai e sarà il motivo portante del film che spinge l'uomo a viaggiare per tutta la durata in questa bolla onirica: rivedrà la madre (accanita fumatrice svanita in una nube di fumo) e la sua amata Irane (il rimpianto di una vita), poi conoscerà Azraele (un angelo della morte giovane e simpatico) e sognerà le desolanti proiezioni future dei suoi figli. La dolce Irane (Golshifteh Farahani) è metafora dell’ardore per la terra natia, che seduce ma respinge, che affascina ma incatena e che, con laconica discrezione, osserva impotente la maestosa bellezza dei suoi frutti più lontani. Pollo alle prugne si rivela dunque una dichiarazione d’amore e allo stesso tempo di un concesso perdono verso il proprio Paese prigioniero del giogo di un regime teocratico, nella consapevolezza che, se da un lato è impossibile l’agognato ritorno, dall’altro è altrettanto irraggiungibile – come artista e come persona – la piena dimensione del sé in una terra nuova e straniera.
Infatti, a fine gennaio 2012 è stato ufficializzato da parte del governo iraniano il confinamento perenne della splendida Golshifteh Farahani. Fortemente contaminato da un registro surreale e grottesco che pare stringere una forte parentela con i lavori di Jean-Pierre Jeunet (palese il riferimento a Delicatessen nella scena degli occhiali)e continua idealmente Persepolis. Da non perdere.

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