“Mi accorgevo di avere la pelle d’oca. Senza una ragione, dato che non avevo freddo. Era forse passato un fantasma su di noi? No, era stata la poesia. Una scintilla si era staccata dal poeta e mi aveva dato una scossa gelida. Avevo voglia di piangere; mi sentivo molto strana.Avevo scoperto un nuovo modo di essere felice.” (Sylvia Plath)
venerdì 11 marzo 2011
20 sigarette. Aureliano Amadei. 2010
Presentato alla 67esima mostra del cinema di Venezia, questa splendida pellicola ha la forza di trattare di un tema logoro come quello della strage da guerra senza retorica e ipocrisia, ha per protagonista, infatti, un giovane ventottenne anarchico e antimilitarista e aspirante filmmaker: Aureliano, che parte come coaiutante del regista Stefano Rolla per girare un film sulla “missione di pace” italiana in Iraq. In fondo il governo, la Farnesina e i mezzi d’informazione assicuravano che la situazione in Iraq fosse tranquilla...ma basta poco per rendersi conto che in realtà ci si trovi in un far west, dove occorre girare armati per vincere sul tempo cecchini e caw boy.
La durata del film? Il tempo di fumare venti sigarette, anzi, ancora prima di terminarle sarà coinvolto nell’attentato alla caserma dei carabinieri di Nassiriya (da cui si salva per miracolo). Magistrale e la migliore dell'intera pellicola la scena dell'attentato, dove viene usato il piano sequenza con un effetto "reality", con le grida di Aureliano così vere e stridenti da creare un riuscito effetto-immedesimazione.
La seconda parte del film è incentrata sulla sua lenta convalescenza, un dolore fisico, ma soprattutto morale perchè nessuno comprende la crudeltà di quella guerra. Tutto molto sentito, vero, Aureliano Amadei è stato davvero in quel cortile a Nassiriya nel novembre 2003 (dove furono ben 19 gli italiani a perdere la vita) e lo si percepisce appieno, esperienza poi mimeticamente riportata in questo lungometraggio. E claudicante, sordo da un orecchio, vittima di perenni attacchi di panico, ferito psicologicamente, adesso Aureliano è una persona diversa e ha deciso di voler raccontare la sua storia: di come un ragazzo dedito a canne, birra e centri sociali sia diventato un eroe.
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Bellissimo film. Credo che la sua grandezza derivi proprio dal fatto che, come dici tu, si percepisca appieno l'esperienza reale vissuta dal regista. Nessuno meglio di chi l'ha vissuta poteva girarlo.
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