“Mi accorgevo di avere la pelle d’oca. Senza una ragione, dato che non avevo freddo. Era forse passato un fantasma su di noi? No, era stata la poesia. Una scintilla si era staccata dal poeta e mi aveva dato una scossa gelida. Avevo voglia di piangere; mi sentivo molto strana.Avevo scoperto un nuovo modo di essere felice.” (Sylvia Plath)
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venerdì 14 febbraio 2020
For Sama di Waad al-Kateab, Edward Watts. 2019
"Strano come il rombo degli aerei da caccia un tempo, stonasse con il ritmo delle piante al sole" (Franco Battiato. Il Re del mondo)
Waad al-Kateab è una giovane filmmaker siriana che registra una videolettera alla figlia Sama, nata durante la guerra civile soto il regime di Bashar Al Assad. Forse come non è mai accaduto per nessun’altra guerra, parecchi cittadini – che non sono registi di professione – hanno affidato all’immagine il racconto di quello che stava capitando a loro e al loro paese
Per resistere (e sopravvivere) con telecamera alla mano la ex studentessa di Economia, racconta la rivolta di Aleppo, dal 2012 fino al 2016, per darsi uno scopo: quello continuare a documentare per rendere l’incubo più sopportabile.
Sama in arabo significa cielo: il nome della primogenita è un augurio, quello che il cielo sopra Aleppo sia come lei, pulito, luminoso, senza l'odore di morte. La sua venuta al mondo è documentata fin dal primo test di gravidanza: Waad si riprende allo specchio, scegliendo le giuste parole da dire per annunciare il lieto evento al padre, medico di Aleppo di cui si innamora.
Ad Aleppo non c'è tempo per portare il lutto, il sangue si cristallizza e tutto assume i vari toni del rosso, “usa i tuoi occhi, non riprendere” le grida un amico- ma questo dolore nudo, crudo, esibito, che terrorizza non poteva fuggire via. Essere solo traslato e raccontato.
Waad ottiene poi una sorta di legittimazione morale: la madre di un bambino ferito la esorta urlante, rivolta verso l’obiettivo della sua camera, di continuare, invece, a filmare affinché tutti sappiano che cosa stanno patendo i siriani e quale sia il loro carico di dolore.
Una chiamata alle armi, un sentirci partigiani in streaming. Ma il linguaggio cinematografico, anche quando documenta e denuncia, dovrebbe forse fare un passo successivo: essere lucido e meno istintivo, meno instant movie. La Siria merita di essere raccontata meglio, forse col tempo e con la giusta distanza, con meno esasperata soggettività. Che ancora ovviamente non c'è
giovedì 22 marzo 2018
Maria Maddalena di Garth Davis. 2018
Maria Maddalena è uno dei personaggi ancora più discussi, di quelli su cui si pensa di saper tutto, quella su cui tantissimo si è detto. E non sempre a ragione.
Poi la Pasqua si avvicina e, come ogni anno, sentiremo il suo nome durante i brani della Passione. Come voi, di lei so poco, ma da questa sera ho una certezza, tutte le volte che penserò a lei, penserò a Rooney Mara Daily perchè la incarna in maniera esemplare, con il suo corpo esile, i suoi occhi intensi che dicono "No" ad una convenzionale vita terrena per dirigersi verso il profondo, l’essenziale, la verità cristiana.
Maria Maddalena rifiuta il matrimonio combinato dalla sua famiglia, contrae mani e polsi durante la festa di fidanzamento, senza capire ancora perfettamente quello che desidera. Fu proprio questo suo spirito indipendente e la confusione evangelica con altre Maria fecero pensare a San Leone Magno che si trattasse di una prostituta. Oggi l'immagine di questa donna così importante nella vita del Cristo è stata ampliamente rivalutata, non solo dalla chiesa ma anche dalla storia che ne vede una femminista ante litteram, capace di ribellarsi ai ruoli precostituiti, ed intraprendere un cammino di conoscenza religiosa, intimistica e psicologica.
Joaquin Phoenix è bellissimo anche in sovrappeso, ma sembra in realtà più un barbone ubriaco, abituati come siamo alla bellezza perfetta del Gesù di Zeffirelli. Qui Gesù ha la pancetta, è cupo, poco rassicurante e solitario, ha un'insicurezza disarmante e affascinante, vera.
Che la religione ad oggi non possa essere raccontata al cinema aderendo alle dottrine istituzionali è quasi un dato di fatto, animismo spiritualista, moderno. Questo ci troveremo. Con Maria Maddalena che irride quasi i discepoli, boccaloni illusi che credono al regno dei cieli come un grande effetto speciale che deve materializzarsi da un momento all’altro pronunciando le parole magiche.
Ci piace anche Pietro che ha la pelle scurissima.
Se c'è qualcosa da ribaltare, insomma, questo film lo fa.
E se a Pasqua dobbiamo davvero rinascere, va bene così.
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venerdì 5 giugno 2015
"Youth - La giovinezza" di Paolo Sorrentino. 2015
"L’ho chiamato Giovinezza perché se lo avessi chiamato Vecchiaia non lo sarebbe andato a vedere nessuno” (Paolo Sorrentino).
«Tout enfant, j’ai senti dans mon coeur deux sentiments contradictoires: l’horreur de la vie et l’extase de la vie (fin da piccolo ho sentito nel mio cuore due sentimenti contradditori: l’orrore della vita e l’estasi della vita)» - Mon cœur mis à nu, Charles Baudelaire
Orrore che conduce all'estasi. Ho scelto di citare Baudelaire perchè è il messaggio, a me, veicolato dal film. Ho seguito per 120 minuti i passi e i gesti lenti di due generazioni sconfitte: quella degli ex-giovani e quella dei futuri vecchi. Non una senilità in senso sveviano, ma una vecchiaia fatta di consapevolezze, “Youth” mette a nudo una certa borghesia ben pensante di oggi molto snob, molto superficiale, intellettualistica – e per questo intrinsecamente volgare – statica, ma al contempo instabile per vocazione, reazionaria e pavida, in definitiva significativamente insignificante. Umani in vacanza si, ma dalla vita, ormai priva di impegni e interessi, in apparenza. Caine e Keitel sono amici di vecchia data ma hanno un rapporto strano: si raccontano solo alcune cose, senza mai dirsela fino in fondo; discutono e talora mentono spudoratamente anche sul lontanissimo passato: ‘ti sei poi portato a letto quella bellissima ragazza che amavo?’
Quanto durerà la bellezza di quel corpo perfetto di Miss Mondo? Caine ha tradito tante volte la moglie, così tante da avere sempre più la conferma che è lei l'unica ‘musa’, il punto di riferimento, tanto che oggi è proprio lei (e non la musica, non l’arte) a mancargli tanto: 'Le canzoni semplici. quelle le deve cantare solo mia moglie, le ho fatte per lei, e lei oggi non c’è più’.; la figlia invece soffre della fragilità dei sentimenti e degli ‘impegni di vita’ delle nuove generazioni, per le quali un matrimonio spesso non regge a lungo, senza che neppure si capisca bene perché finisca.
La leggerezza, il compromesso, nella vita non è un difetto - suggerisce la chiosa del film-.Sorrentino mi cattura perchè in lui riconosco l’essere vittima dell’orologio biologico, della clessidra della vita,la paura della morte, che è anche la mia. Con Youth, forse lui, è riuscito a superare questa ossessione e proprio grazie alla passione per ciò in cui crede fermamente, la settima arte, che ha trovato il suo riscatto. O almeno glielo auguriamo. Prima o poi guarderò anche "la grande bellezza".
venerdì 27 marzo 2015
Suite francese di Saul Dibb. 2015 (Dal romanzo di Irène Némirovsky)
Ho cercato di dimenticare le cose del passato, ma la musica mi porta indietro
3 giugno del 1940, dominazione tedesca in Francia, con Vichy. Una signora francese con marito disperso al fronte si innamora di un tenente della Wehrmacht, colto e sensibile: come lei, suona il pianoforte e compone. Nonostante le iniziali resistenze di lei, tra i due nasce un’appassionata storia d’amore che la farà etichettare da alcuni come collaborazionista, da altri come ragazza da ammirare, ma la realtà è che “nessuno sapeva come si sentiva”. L'infedeltà di Lucile non è solo coniugale ma assume i toni gravi di un tradimento alla propria nazione, per un nemico amato che le fa dimenticare il proprio dovere di cittadina e di moglie. In questo film manca il dolore autentico del libro.
Di francese questo film ha solo il titolo e i riferimenti storici, la storia è girata tutto in inglese e con attori anglofoni. Moltissimi limiti, dati anche dall'avvincente genesi letteraria dal romanzo di Irene Némirovsky, che di per sè meriterebbe di finire nelle sale. Buona resa della psicologia e delle velleità dei personaggi femminili, tutto aiuta a creare emozione in in film che sa diramarne poche. Le lacrime arrivano con le parole che appaiono sullo schermo subito dopo la scena finale, vi colpiranno dritto al cuore.
Un merito, uno solo, però il film ce l’ha, spingerci a saperne di più della Némirovsky, perchè tra gli infelici che non videro la fine della guerra c’è stata proprio lei: Irène Némirovsky.
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martedì 3 marzo 2015
Stoker di Park Chan-Wook. 2013
"Le mie orecchie sentono cose che altri non sentono"
Diciotto paia di scarpe per diciotto anni di vita, tutte uguali, solo diverse in successione di grandezza. Sono di India Stoker nel tentativo di darle quel tocco british che le manca del tutto, la giovane donna è un'anima palesemnete dark. Quel giorno muore anche suo padre. Poi tutto comincia ad assumere le tinte del giallo: uova piccanti preparate nel giorno del funerale, il giallo del nastro della scatola di scarpe, il giallo dell'ombrello che un misterioso zio giunto dal nulla offre a India per ripararla dalla pioggia.
Manieristico, fatto di dettagli, come il ragno che sale sulla gamba di India. Perchè il male è un destino ineludibile, della natura e la protagonista lo sa: "Io sono questa. Così come il fiore che non può scegliere il suo colore, noi non siamo responsabili per quello che siamo diventati". India comprende e accetta la sua zona d'ombra e quando si rende conto di quanto sta succedendo, piuttosto che ostacolare i progetti dello zio, criminale dallo sguardo penetrante, comincerà a sentirsene sempre più attratta, anche quando verranno alla luce alcuni tremendi segreti di famiglia.
Episodio che fa trapelare i punti di contatto tra zio e nipote è la sensualissima sequenza del pianoforte suonato a quattro mani, culminata nell’omicidio ed esasperata nella masturbazione sotto la doccia che apre un sottotesto sessuale.
La vedova Eve (Nicole Kidman) appare fin dal primo momento come una donna emotivamente instabile, il cui rapporto col defunto marito era ormai inesistente, come del resto appare effimero e infantile anche il rapporto con la figlia India, tanto che apparirà naturale il menage a trois apparente che si viene a creare. Leggere e vaporose le gonne e camicette di India,la sua sensualità traspira da ogni scena: tensione erotica e orgasmica che cerca di esplodere in ogni istante. Zio e nipote sembrano fatti l'uno per l'altra, tanto che la pulsione dell'incesto viene tesa come un arco che non si decide a scoccare la freccia. India è una predatrice, ammaestrata fin da piccola: Richard Stoker non praticava quell'hobby per se stesso o per i trofei che adornano il suo studio di ricco architetto, ma lo faceva per lei, per sua figlia.
venerdì 20 settembre 2013
Rush di Ron Howard. 2013
«Quando scendo in pista sono consapevole di avere il 20% della possibilità di morire»
Uscito ieri. Hunt-Lauda e i loro capricci targati 1976. Razionale e freddo Lauda, lo scienziato delle corse; ribelle e dannato « perchè solo quando sei così vicino alla morte, ti puoi sentire realmente vivo» Hunt. Entrambi però disubbidiscono alle famiglie, vogliono sentirsi liberi,correre. Nonostante le due filosofie di vita agli antipodi, quindi, i punti in comune durante il film verranno fuori così come la medesima passione, che li porterà ad amarsi, difendersi e rispettarsi.
Non sono un'appassionata di Formula 1, ma i rombi dei motori emozioneranno anche questa categoria alla quale la scrivente appartiene. La McLaren, che io ricordo, vanta autisti dalla tuta bianca, qui saranno le tute rosse, invece, a farla da padrona sia tra ferraristi che tra i loro antagonisti.
Non saprò accattivarmi la simpatia di chi ama i motori, le corse, conoscevo Lauda solo di nome: ma ora so che è un mito, solo un incosciente rientrerebbe da un incidente quasi mortale dopo 42 giorni per poi ritirarsi senza acciuffare quella vittoria tanto agognata. Una crescita la sua. Una di quelle che forse ti portano a capire ciò che veramente conta. Una ricostruzione fedele, onesta, corse reali con tanto di fumo da sgommata e audio assordante.
Un film che appaga gli occhi e il cuore e commuove. Ho tifato, trattenuto il respiro, abbassato gli occhi,sperato. Da pelle d'oca e lacrimuccia. La storia di due grandi campioni, quando la Formula 1 sapeva dare emozioni. Vere.
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sabato 11 agosto 2012
“L’amante” di Jean-Jacques Annaud. 1992
Indocina anni 30. Un affascinante trentaduenne cinese (nel libro erano 27) si innamora di una quindicenne francese che si trova nel Vietnam francese per motivi di studio. Lui è ricco, non lavora, ha un pied-à-terre, "la stanza dello scapolo" che diventerà il teatro della loro passione. Lei è bellissima: indossa un vestito di seta indigena di un bianco ingiallito; in testa ha un cappello da uomo in feltro a tesa piatta bordato da un nastro nero e indossa scarpe scalcagnate da ballo in lamè nero con qualche strass. Non ha ancora avuto esperienze sessuali, salvo abbracci intimi con una sua compagna di scuola sotto la zanzariera del dormitorio, però di esperienze vorrebbe averne, le importa poco che una ragazza non vergine non la sposi nessuno. Il cinese è timido nell'appproccio anche perchè folgorato dalla sua bellezza, lei lo incoraggia, baciando il vetro dell'auto ad occhi chiusi, quando lui viene a prenderla a scuola.
Marguerite Duras la sa lunga. Il suo omonimo romanzo dal quale il film è tratto è tra le pagine più belle che abbia mai letto, una scrittrice efficace che però ha disconsciuto questa versione filmica. Sono d'accordo: una passione estetica, patinata, molto più ferina, violenta e primordiale quella che sgorga dalle pagine della Duras. Un erotismo che qui non è vera sensualità, una grande opera letteraria che qui perde il suo grunge artistico.
I problemi nel rapporto con la madre e con il fratello oppiomane, il fratello minore con problemi mentali, sono tratti autobiografici della vita della Duras, questa relazione con quest'uomo adulto " e cinese" sarà stata di sicuro molto contrastata, ma non c'è nulla che davvero stupisca in questa film. Sentimenti accesi che invece sgorgano quando la Duras scrive la sceneggiatura di Hiroshima, mon amour, nell'amore tra l’attrice francese e l'architetto giapponese cinque anni dopo Hiroshima.
L'amore tra la giovane e il cinese esplode su un traghetto che attraversa il fiume Mekong diretto alla città di Saigon, lui ne rimane folgorato, lei un po'in cerca della passione e di una sicurezza decide di diventare la sua amante. L'esistenza della quindicenne è insopportabile e quegli incontri fugaci diventano per lei momenti di vita. I soldi. La richiesta incessante di soldi. Lei si perderà nei meandri delle pecche economiche della sua famiglia, non scorgendo l'amore. Che però rimarrà indelebile per tutta la vita. Il trentenne cinese come da tradizione ha un matrimonio combinato che lo attende e quindi la sua amante bambina lascia per sempre l'Indocina per tornare in Francia, dove anni dopo, quando sarà diventata una scrittrice comprenderà che in quei momenti di passione si celava il senso di tutto.
Aveva una famiglia da aiutare, ma quando può dire a sé stessa la verità, questa zampilla: lo ha amato anche lei. Trent'anni dopo, divenuta scrittrice molto nota, sposata e divorziata, riceverà una telefonata. E' il cinese, che è a Parigi con moglie e figli, le dice soltanto che ha continuato ad amarla sempre allo stesso modo. Lei non risponde. Ancora una volta. Ha finto di essere un'amante perchè era l'unico modo possibile per amare un uomo così lontano in tutto da lei. Ma l'amore è una forza prorompente non ha ostacoli. Si crea alibi, situazioni degradanti, disperate. Purchè viva, esista.
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