“Mi accorgevo di avere la pelle d’oca. Senza una ragione, dato che non avevo freddo. Era forse passato un fantasma su di noi? No, era stata la poesia. Una scintilla si era staccata dal poeta e mi aveva dato una scossa gelida. Avevo voglia di piangere; mi sentivo molto strana.Avevo scoperto un nuovo modo di essere felice.” (Sylvia Plath)
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domenica 6 gennaio 2019
Cold war di Paweł Pawlikowski. 2018
“Andiamo dall’altra parte, la vista è migliore da lì”.
Con la dedica finale di Pawlikowski, “ai miei genitori” capiamo che i due protagonisti non condividono solo il nome di battesimo (Wiktor, pianista e arrangiatore colto e malinconico e Zula, la sua allieva) dei genitori del regista, ma che ad essere narrata è proprio loro storia, un tentativo di riportarli in vita per farli tornare a suonare, cantare e danzare quell’amore così travolgente e impossibile, tra una Berlino divisa in due, la Jugoslavia e la Parigi bohémien.
In una Polonia devastata dalla guerra c’è chi pensa che la ricostruzione passi pure dall’Arte, cioè il“Mazowsze”, corpo di ballo e canti popolari nato per volontà del governo filosovietico, esportato in tutto il blocco orientale nell’arco degli anni ’50, su cui il governo mette gli occhi, trasformandolo in uno strumento di propaganda comunista.
Il musicista e direttore della compagnia s'innamora della misteriosa allieva Zula. Arrivati a Berlino Est per un’esibizione, Wiktor organizza la fuga dall’altra parte del blocco per vivere finalmente in libertà quella storia d’amore. Ma Zula, contro ogni previsione, non si presenta all’appuntamento concordato. Non ha rimostranze contro il comunismo e anzi teme la libertà del blocco occidentale, che percepisce come un ostacolo che evidenzia la distanza culturale con il suo amato. La vita da esuli, pur ricca di successi artistici e musicali, li consuma, li priva della loro identità e li rende deboli. Lei annega nell'alcol, lui in una debolezza cronica e priva di carattere. Zula, infatti, dirà ad un certo punto al suo uomo: «non sei più lo stesso che eri in Polonia».
C'è per tutto il film un apparente freddezza emotiva, la passione di Zula e Viktor racchiude, infatti, e diventa l'emblema dello spirito polacco, quello di un popolo oppresso da nazisti e comunisti.
Ma l’amore è una ragazza che ti volta le spalle e se ne va per sempre: poi esita, si ferma, torna indietro correndo e ti bacia.
Grazie per quel brivido. E per tutta la sensualità del montaggio, per l'importanza data alla musica, dove ciò che viene cantato è importante più di ciò che viene detto.
Magnetica Joanna Kulig
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lunedì 2 ottobre 2017
Il cuore grande delle donne di Pupi Avati. 2011
Anni ‘30, nell'Italia contadina che osserva ancora con ammirazione il Duce al potere.
Nel cuore dell'Emilia Romagna, terra natale del regista, la famiglia dei Vigetti ha tre figli: il piccolo Edo, la formosa Sultana a cui da nove anni non viene più il ciclo e Carlino dall'alito di Biancospino. La famiglia Osti è, invece, quella ricca. Carlino si innamora di Francesca, una Ramazzotti imbarazzante che recita con uno spiccato accento romano.
Non si capisce esattamente cosa Avati voglia raccontare: la semplicità della gente di campagna estranea ai grandi eventi storici che in quel periodo hanno segnato il nostro paese? La forza dell'amore capace di guardare oltre le imperfezioni degli uomini?
Questo film non lascia nulla.
lunedì 17 luglio 2017
The Hours di Stephen Daldry. 2002
"Non si può trovare la pace sottraendosi alla vita.
Virginia Woolf / Nicole Kidman"
Profonda solitudine dell'animo e ricerca di felicità. Per questi motivi Virginia Woolf è la mia scrittrice preferita
La trama si sviluppa attorno a tre storie: quella di Virginia Woolf intenta a scrivere il suo famoso romanzo, Miss Dalloway, quella di Laura Brown, una casalinga infelice del 1951 che vive con il marito e il figlio piccolo e, infine, quella di Clarissa Vaughan, un’editrice lesbica che sta preparando una festa per il suo ex amante Richard malato di Aids.
La drammaticità e impotenza di fronte ad alcuni accadimenti della vita della Woolf, ritorna in Miss Dalloway, libro che viene letto sia da Laura Brown che da Clarissa. E così, ritorna anche in questi due personaggi femminili, la prima incastrata in una vita che la rende infelice e la seconda in un’amicizia complicata che la pone di fronte ai suoi più grandi demoni del passato.Ci sono fiori da comprare e da regalare, visitatori in anticipo da accogliere, suicidi desiderati e realizzati, languidi baci tra donne a scandire le identiche ore di queste vite legate indissolubilmente nella ricerca del significato della propria esistenza.
Il regista sfrutta abilmente i punti di contatto tra le vite delle tre, per effettuare i passaggi d’epoca necessari alla storia, emblematica la sequenza d’apertura: attraverso il montaggio, si spezza il diverso flusso temporale di tre accadimenti successivi, rimescolando i momenti in un unicum narrativo di grande compattezza e tensione emotiva (la Woolf scrive la lettera di addio al marito, la scrittrice tenta il suicidio buttandosi nel fiume, il marito rincasa e trova la lettera).
Un inno alla vita, che dimostra che la strada - anche estrema- c'è. un film che mostra le diverse decisioni che una persona può prendere, alcune molto drastiche ed estreme, altre invece rigeneranti e nel momento in cui le donne nel film hanno la loro epifania e si rigenerano, lo può fare anche lo spettatore credendo davvero che ci possa essere sempre una speranza per cambiare la propria storia.
lunedì 15 maggio 2017
The Light Between Oceans di Derek Cianfrance. 2017
"Lei è nostra, non facciamo niente di sbagliato"
Già coppia nella vita reale, Michael Fassbender e Alicia Vikander si innamorano di nuovo nel terzo lungometraggio del regista/sceneggiatore Derek Cianfrance.
L’isola di Janus, dove il guardiano del faro Tom (Michael Fassbender) prova a costruirsi una vita decente dopo aver servito il suo paese nella prima guerra mondiale, fa parte di una civilizzatissima comunità di cui il faro è una specie di fiore all’occhiello, una luce che guida l’umanità fuori dalle tenebre. Tom sposa Isabel (Alicia Vikander) e se la porta a Janus dove vivono una specie di idillio, finché la povera Isabel perde non uno, ma due figli in gravidanza. Un giorno trovano una barca, portata dalle onde. Dentro c’è un uomo (morto) e una neonata avvolta in un maglione.Può fare tanto il desiderio di un figlio? L’amore di un marito per la moglie arriva a rompere il senso di dovere di un uomo onesto?La coscienza è meno facile da convincere della gente. La bambina crescerà come loro figlia. Decidono di chiamarla Lucy, in onore della loro vita al faro. L’amore che provano per quella bambina non ha niente di diverso da quello che potrebbero provare per un figlio naturale, con una sola differenza: sono tormentati dal pensiero che possa esistere una mamma che piange credendola morta in mare, o almeno ne è tormentato Tom.Lui che si sente in colpa di essere tornato integro dalla guerra, di non aver potuto salvare tutti i suoi uomini rivive la possibilità di salvare qualcuno ogni volta che accende il faro.
Chi non lo vorrebbe un figlio da Fassbender?!
Ho guardato il film solo per lui.
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martedì 25 aprile 2017
Nessuno si salva da solo di Sergio Castellitto. 2015
Una ex coppia s'incontra in un ristorante radical chic della Capitale per organizzare le vacanze dei figli.
Su quel tavolo c’è il corpo stesso del loro amore, di ciò che resta, di ciò che rimpiangono. Il racconto della cena verrà interrotto e nutrito dai flash back del loro passato, quando si sono conosciuti e amati, il coro dei loro amici, quella generazione cresciuta tra “la caduta del muro di Berlino e l’11 settembre” e per tutta la sera, durante quella micidiale cena, proveranno a capire perché non ce l’hanno fatta a stare insieme, a rispettarsi, a crederci.
Sono lontani e soli e ci vuole qualcuno che sta morendo per convincerli che “soli si muore, insieme ci si salva”, perché nessuno si salva da solo.
sabato 11 febbraio 2017
La La Land di Damien Chazelle. 2017
Los Angeles e instabilità.
Sebastian sogna di salvare il suo amato genere musicale: il jazz, che pensa si stia sgretolando. I giornalisti che si occupano di musica hanno avuto molto da ridire sul modo in cui il jazz è presentato nel film. Un po'troppi luoghi comuni.
Per il resto il film è un omaggio a Cantando sotto la pioggia, Un americano a Parigi, Sweet Charity, West Side Story, insomma tutti i musical più famosi sono dentro.
Di contemporaneo ci sono solo i problemi della nostra era.
Mi ha deluso. Ma lo rivedrei.
Buon sabato sera.
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lunedì 29 dicembre 2014
Closer di Mike Nichols. 2004
“Chi ama a prima vista tradisce ad ogni sguardo”
La sceneggiatura più forte e potente del 2004: essere folgorati su una strada di Londra, ma quella fotografa per la foto di copertina del libro...in realtà lei non cede, così lo scrittore, per dispetto, inizia una conversazione in chat con il dermatologo Larry e, fingendosi Anna, gli combina un appuntamento, facendolo incontrare con lei senza dirle nulla. Inaspettatamente, i due si piacciono e il loro reciproco interesse li porterà a vivere insieme. Dan continuerà a cercare Anna, che, alla fine, deciderà di stare con lui, lasciando Larry.
“Perché me l’hai detto?” “Perché non volevo mentirti!” “Perché?” “Perché ti amo.” Ecco il punto: l’amore o la verità? La bellezza eterea di una foto o la realtà che delude?
Quanto conta la sincerità in un rapporto intimo?
Scabrosità senza nudità volgari, è questa la potenza della pellicola che ho scelto per augurarvi un buon 2015, perchè il sesso è importante ed è la manifestazione più brutale dell’amore, ma non per questo è la più vera. Si può essere sensuali, ma puri, disarmati e indifesi. Uno scandalo reinventato: dove nulla mai è palesato, nudità e pornografia non fanno più scalpore, sono all'ordine del giorno. Alice consapevole della doppiezza del suo compagno, non riesce a smettere di amarlo, sperando che l’uomo faccia la scelta giusta resistendo alla tentazione di rovinare tutto per una stupida sbandata. Dan, invece, non riesce a togliersi dalla testa Anna e, in preda ad un impulso infantile e vendicativo, finirà per gettarla nelle braccia di un altro, perchè è una grande impresa essere felici.
Risulta anche a voi che molti medici, forse per allontanare le pulsioni di morte legate al mestiere, sono sessualmente sfrenati, un po' morbosetti e molto espliciti? Un saluto e un pensiero ai medici che conosco. E gli lancio un quesito: perchè, visto che viviamo in un'era molto libera, ci si masturba in rete?
Buon 2015 amici

giovedì 2 ottobre 2014
Blue Valentine di Derek Cianfrance. 2010
“è stato meglio lasciarci che non esserci mai incontrati”. (De Andrè)
Cindy e Dean sono una coppia sposata. Lei è un’infermiera, lui un imbianchino. Hanno una figlia, Frankie, e un cane. Sono una famiglia ordinaria: ma tutto sta andando a rotoli, e l’armonia si è spenta da un po’. Ripercorriamo la nascita della loro storia d’amore, quando i due erano giovani: lei studiava per diventare medico, mentre si prendeva cura della nonna in Pennsylvania; lui lavorava in una ditta di traslochi a New York. S’incontrano per caso, lui la corteggia, s’innamorano.
Passato e presente s'intrecciano con due fotografie diverse e due rapporti diversi: se prima Cindy è solare e innamorata, dopo non basterà la notte di sesso e alcol programmata da lui in un motel squallido e kitsch (nella “stanza del futuro”…) per cambiare o distendere la situazione. Il titolo è quello di un album del 1978 di Tom Waits, in cui il cantautore americano cantava la fine di un amore ancora forte nei suoi ricordi. Anche qui è così. Autopsia di un amore. Radiografia di una coppia implosa.
Blue Valentine è un film indie molto intimo che racconta una storia piccola di una coppia come tante che affronta una crisi di quelle potenti. Ispirato al divorzio dei genitori del regista Derek Cianfrance, interrotto a causa della scomparsa di Heath Ledger (ex-compagno della protagonista Michelle Williams), Blue Valentine sembra essersi nutrito di un dolore che non appartiene al mondo della finzione e riproduce un’aspra verità a cui spesso il cinema americano preferisce una versione più patinata.
Dean è alcolizzato, fallito, tenta di essere quel buon padre di famiglia che ha sempre promesso a Cindy, e lei è insoddisfatta di lui, della famiglia che hanno creato assieme (e che tanto assomiglia alla sua…), e forse anche del suo lavoro. Film depressivo fino al midollo, dove la routine del quotidiano logora ogni passione, e ogni frase può essere usata come un’arma contro l’altro, è invece emotivamente più complesso. Piace tanto, Blue Valentine, perché, nonostante tutta la parte finale sia una discesa in un incubo realista, ci fa comunque vedere cose bellissime, rese ancora più preziose dal rapporto che hanno con gli orrori della vita che non ci vengono risparmiati. Perché affiancato all’immagine di un uomo che piange disperato, c’è un tip tap improvvisato sulle note di un ukulele nel cuore della notte. Anche l'amore vero può finire: se lui dorme sul divano e porta perennemente gli occhiali scuri, disfatto da Bacco e tabacco, ma ancora innamorato della sua distante Venere. Più che dissoluto, è un uomo in dissolvenza: un talento sprecato per orizzonti troppo angusti, nei quali, però, esercita con tenerezza e devozione il magistero paterno con la piccola Frankie, che stravede per lui. Lei, Cindy, precocemente incinta, in un’età in cui sognare era ancora lecito, è una moglie sull’orlo di una crisi di nervi ed una lavoratrice insoddisfatta. Un potenziale pittore che fa l’imbianchino, una potenziale dottoressa che fa l’infermiera: a volte la vita non va come si vorrebbe. Specie quella di coppia. Lui tenta un cunnilingus sotto la doccia di Dean: “come up”, le impone la moglie nuda, allontanando il non più riamato amante. La vagina di Michelle Williams è letteralmente il luogo dell’inviolabilità, il rifugio che resta a Cindy dopo l’organo un po’ più up, il cuore, è stato in qualche modo tradito. Il mancato aborto, con il dottore che infila la mano nell’utero e Cindy che cambia idea, è il primo sintomo di u-turn, di uno spazio intimo che comincia a rigettare il maschio. Che si riappropria dei suoi spazi intimi. Il dottore esce fuori dalla stanza. E anche Dean farà quella fine.
Emozionante e autentico: da non perdere.
domenica 16 febbraio 2014
Beginners di Mike Mills. 2010
Quando sei vero non puoi essere brutto, se non per quelli che non capiscono
Omosessuale a scoppio ritardato, solo a 78 anni e consumato da un cancro ai polmoni. Con un figlio disegnatore Oliver Fields, che a 38 anni incontra Anna, stravagante attrice francese di passaggio a Los Angeles. Film distribuito solo in dvd, penalizzato, senza ragione, perchè prodotto indie, ma di ineccepibile qualità.
Salti temporali ad incorniciare quell'anno così decisivo per la vita del regista (la pellicola è autobiografica) il 2003, segnato dalla scomparsa del padre e dall’incontro con una donna che, forse è quella giusta. All’inizio di Beginners il padre di Oliver è già morto, il suo coming out è un flashback ( ricordo che aveva una maglia prugna quando me l’ha detto, ma in realtà aveva una vestaglia frase che sta ad indicare come tutto sia filtrato dalla memoria soggettiva del regista, potenzialmente fallace o manipolatrice). Balliamo su diverse linee temporali quindi, così l’infanzia di Oliver appare solo per frammenti in cui il bambino ha a che fare con la madre, che sparisce dietro una porta proprio ad indicare il trauma mai superato della perdita; così la linea che descrive il rapporto paterno riguarda solo e soltanto il momento successivo alla diagnosi della malattia terminale del genitore. Poi l'incontro con quella donna favolosa, idealizzata, parla con il suo cane, proprio come solo il protagonista sa fare, Tu indichi io guido - che Olivier dice ad Anna all’inizio del film, perchè lei muta in quanto colpita da una laringite- trova la sua origine, verso la fine, nella medesima frase che la madre dice ad Oliver; Anna potrebbe dunque essere non altro che la trasposizione della madre morta. Anche se il regista ha dichiarato di aver incontrato sul serio nel 2003 la donna della sua vita. Anna parla e si muove come lui, quindi tutto è alterato dal pensiero del regista in cui innesta la sua visione: Oliver, Anna e il cane di Oliver.
Mike MIlls non fa altro che scavare nella sua memoria, questo film è il frutto della sua intima psicanalisi, lo suggerisce il fatto che alla festa in maschera si traveste da Freud.
Suo padre è davvero se stesso solo dopo la morte della moglie, padre e figlio sono dunque i beginners, i debuttanti del titolo, cui si aggiunge Anna, anch’essa alle prese con una storia vera dopo tanto vagabondare inconcludente. Perchè si può essere principianti per tutta la vita, a 75 e a38 anni- sembra suggerire il film. Gondry era molto presente in questo film, chissà se il regista in qualche modo ci si è ispirato, o se io ami tanto Gondry da vederlo in ogni dove. Incantevole anche la colonna sonora dal sapore retrò. Tutto perfetto.
giovedì 24 ottobre 2013
Gloria di Sebastian Lelio. 2013
Presentato all'ultima edizione del Festival di Berlino ha conquistato l'Orso d'argento per la migliore interpretazione della protagonista Paulina Garcia, Gloria e la sua vita affettiva da riempire. Una straordinaria cinquantottenne, sola, ma senza drammi, nè commedie. Il regista di Post mortem è sempre su di lei, non la molla nemmeno per un'inquadratura e la tiene sempre al centro anche quando in scena entra l'innamorato problematico, inaffidabile, un po'psicopatico, bugiardo. Piene di carica erotica le scene di sesso fra i due.
Espressivissima Gloria, stupendi i suoi mezzi gesti che parlano, forti le sue emozioni che sentirete tutte anche sulla vostra pelle. Liberatorie le sue passeggiate per le strade di Santiago e la danza di uno scheletro sostenuto dai fili di un’artista ambulante. Le manifestazioni studentesche. Canzoni melense che Gloria ama canticchiare mentre guida, le salse nella sala da ballo, la bossa nova Aguas che due amici brasiliani cantano a cappella durante una festa, fino alla Gloria di Umberto Tozzi che chiude è dà il titolo (e quindi apre) l'intera vicenda. Pance flaccide sorrette dalla pancera, rughe, cazzi poco prestanti, eppure sensualità a gogò. Gloria offre una seconda possibilità anche se sa che non dovrebbe. Cade e si rialza. Accetta finalmente quel gatto nudo, senza pelo che in principio le fa schifo. Perchè anche lei si mette a nudo e non se ne vergogna.
Quasi perfetto. Ma a me i film perfetti non piacciono.
giovedì 17 ottobre 2013
L'imbalsamatore di Matteo Garrone. 2002
Peppino Profeta è un nano di mezza età che imbalsama animali, con l'aggiunta di qualche "lavoretto sporco" per la camorra, per avere dei soldi per i suoi "vizi", uno in particolare su cui ruota l'intera vicenda del film. Valerio è un ragazzo prestante, pettorali scolpiti, sguardo accattivante. Un po' troppo giovane per i miei gusti, ma da dieci e lode comunque il ragazzo. Peppino gli offre lavoro come aiutante nella sua bottega, insegnandogli tutti i trucchi del mestiere e averlo vicino. Sa come attrarre il ragazzo: stipendio raddoppiato rispetto a quello da cameriere, vita mondana con annesse donne e festini privati. Fino addirittura ad ospitarlo, quando il fratello si lamenta dei suoi orari. Peppino segue un copione per allontanare il ragazzo da parenti e fidanzata. Tutta questa amicizia comincerà a puzzarvi e dopo un po', insieme a Valerio, e forse anche dopo, capirete le reali intenzioni di Peppino.
A rompere l'equilibrio la svampita ragazza dalle labbra rifatte, per la quale Valerio prova una forte passione, tanto da convincere Peppino ad ospitarla sotto il loro tetto e scatenando la sua gelosia. Difenderà ad ogni costo il suo pupillo.
Mai si capirà se in realtà la relazione tra i due si consumi, nonostante la ragazza di Valerio costantemente lo chieda.
Qualcosa vi lascerà presagire che la fine sarà tragica. Esisteva veramente "un nanetto della Stazione Termini", Peppino qui romanza il tutto e con estrema bravura direi, un uomo dai tratti di showman che ben si presta alla personalità richiesta dal personaggio.
Tutto è sottotono, ma affascinante e intrigante. Degno di nota l'inconsueto punto di vista del tacchino chiuso in gabbia allo zoo che assiste all'adescaggio di Peppino nei confronti di Valerio, attutito sia nella vista che nell'udito. Geniale. Primi piano improbabili, frequente alzarsi e abbassarsi della telecamera per seguire il nano Peppino e il gigante Valerio, stacchi improvvisi nella ripresa. Dialetto campano. Va verso questa strada il cinema italiano contemporaneo. Improvvisazione, realtà. Mi piace.
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domenica 1 gennaio 2012
La Femme d'à côté di François Truffaut, 1981
“Né con te, né senza di te”
L'anno si è chiuso e questo è l'ultimo film che ho scelto di guardare nel 2011. Il 27 dicembre Depardie ha spento le sue candeline. Qui più biondo e smagrito, vive serenamente con la giovane moglie Arlette e il loro bambino Thomas in una villa sperduta in una campagna francese; tranquillo e felice, fin quando non arrivano i loro nuovi vicini di casa, Philippe, ma soprattutto "la donna" Mathilde. Ben presto si scoprirà che Bernard e Mathilde, in realtà, non sono sconosciuti l'un per l'altra, in passato erano stati amanti. E'davvero così casuale che diventino vicini di casa? La passione si riaccende. E con vigore.
E' questo il penultimo film della carriera di François Truffaut, qui concentrato nel tema dell’amour fou, dell’incontrollabilità della passione amorosa e del potere (auto)distruttivo dell’Eros che danza con Thanathos. Fanny Ardant qui debutta sul grande schermo e all’epoca era la compagna di Truffaut anche nella vita, una passione che bruciava nelle sue vene e che quindi ben conosceva.
L’intera storia del film è raccontata in flashback attraverso la voce narrante di uno dei personaggi chiave della pellicola, madame Jouve, la confidente e proprietaria di un club di tennis, testimone impotente degli eventi riguardanti i due protagonisti. Una voce narrante che però ben conosce l'assoluta dedizione alla persona amata, quella forza prorompetente e autodistruttiva, che preannuncia la tragedia che vivranno i due amanti protagonisti.
Lei dapprima finirà ricoverata in un clinica psichiatrica, poi lo ammazzerà a colpi di pistola e ammazzerà se stessa. Come già Ovidio, Catullo e Marziale avevano scritto, molti secoli fa, il fine si conclude con una chiara sentenza: “Nec sine te nec tecum vivere possum”, un tema conosciuto e abbondante trattato quindi, ma Truffaut evita sia il punto di vista del narratore impersonale, sia il racconto interno ad un protagonista, sceglie di non farci parteggiare per alcuno evitando così di poter non comprendere il dramma che quasi tutti i protagonisti si trovano a vivere per colpa o grazie all'amore: sceglie quindi lo sguardo di Odile. Una sopravvissuta, si è infatti gettata dalla finestra per un amore non natoe anche lei, la narratrice diventa attrice: verrà, infatti, raggiunta dal suo amante d’un tempo che vuole rivederla. Partirà per Parigi per non incontralo, lui non sa del suo folle gesto, ha perso l'uso di una gamba, come giustificarlo?
Inquadrature strettissime, per un'attenzione sempre concentrata sugli sguardi dei protagonisti e su altri oggetti e rumori apparentemente banali che fanno da cornice a questo dramma: si sentono di notte i terribili versi dei gatti: "fanno l’amore come dei selvaggi”. Poetica fino all'eccesso la scena in cui i due amanti si cercano più volte simultaneamente al telefono e ovviamente lo trovano entrambi occupato, metafora dell'incomunicabilità verbale del loro amore, di una felicità irraggiungibile proprio perché cercata troppo razionalmente.
La voce di un medico che stila il loro referto di morte chiude questa storia, raccontandola in maniera asettica, come se non fosse stata la dirompente forza dell'amore ad uccidere, quell'estremo tentativo di avere l'altro per sempre e fermare l'attimo in cui i due erano una sola cosa.Je me retrouve cômme Edith Piaf,Vous savez ?! Rien de rien, je ne regrette rien!
L'anno si è chiuso e questo è l'ultimo film che ho scelto di guardare nel 2011. Il 27 dicembre Depardie ha spento le sue candeline. Qui più biondo e smagrito, vive serenamente con la giovane moglie Arlette e il loro bambino Thomas in una villa sperduta in una campagna francese; tranquillo e felice, fin quando non arrivano i loro nuovi vicini di casa, Philippe, ma soprattutto "la donna" Mathilde. Ben presto si scoprirà che Bernard e Mathilde, in realtà, non sono sconosciuti l'un per l'altra, in passato erano stati amanti. E'davvero così casuale che diventino vicini di casa? La passione si riaccende. E con vigore.
E' questo il penultimo film della carriera di François Truffaut, qui concentrato nel tema dell’amour fou, dell’incontrollabilità della passione amorosa e del potere (auto)distruttivo dell’Eros che danza con Thanathos. Fanny Ardant qui debutta sul grande schermo e all’epoca era la compagna di Truffaut anche nella vita, una passione che bruciava nelle sue vene e che quindi ben conosceva.
L’intera storia del film è raccontata in flashback attraverso la voce narrante di uno dei personaggi chiave della pellicola, madame Jouve, la confidente e proprietaria di un club di tennis, testimone impotente degli eventi riguardanti i due protagonisti. Una voce narrante che però ben conosce l'assoluta dedizione alla persona amata, quella forza prorompetente e autodistruttiva, che preannuncia la tragedia che vivranno i due amanti protagonisti.
Lei dapprima finirà ricoverata in un clinica psichiatrica, poi lo ammazzerà a colpi di pistola e ammazzerà se stessa. Come già Ovidio, Catullo e Marziale avevano scritto, molti secoli fa, il fine si conclude con una chiara sentenza: “Nec sine te nec tecum vivere possum”, un tema conosciuto e abbondante trattato quindi, ma Truffaut evita sia il punto di vista del narratore impersonale, sia il racconto interno ad un protagonista, sceglie di non farci parteggiare per alcuno evitando così di poter non comprendere il dramma che quasi tutti i protagonisti si trovano a vivere per colpa o grazie all'amore: sceglie quindi lo sguardo di Odile. Una sopravvissuta, si è infatti gettata dalla finestra per un amore non natoe anche lei, la narratrice diventa attrice: verrà, infatti, raggiunta dal suo amante d’un tempo che vuole rivederla. Partirà per Parigi per non incontralo, lui non sa del suo folle gesto, ha perso l'uso di una gamba, come giustificarlo?
Inquadrature strettissime, per un'attenzione sempre concentrata sugli sguardi dei protagonisti e su altri oggetti e rumori apparentemente banali che fanno da cornice a questo dramma: si sentono di notte i terribili versi dei gatti: "fanno l’amore come dei selvaggi”. Poetica fino all'eccesso la scena in cui i due amanti si cercano più volte simultaneamente al telefono e ovviamente lo trovano entrambi occupato, metafora dell'incomunicabilità verbale del loro amore, di una felicità irraggiungibile proprio perché cercata troppo razionalmente.
La voce di un medico che stila il loro referto di morte chiude questa storia, raccontandola in maniera asettica, come se non fosse stata la dirompente forza dell'amore ad uccidere, quell'estremo tentativo di avere l'altro per sempre e fermare l'attimo in cui i due erano una sola cosa.Je me retrouve cômme Edith Piaf,Vous savez ?! Rien de rien, je ne regrette rien!
lunedì 20 settembre 2010
Mangia Prega Ama - Ryan Murphy 2010

Felicità ed equilibrio personali sono i temi trattati nel film mentre nel titolo, "Mangia Prega Ama", dovrebbe ricercarsi la ricetta per raggiungerli.
Questo in due parole, l'ultimo film di Ryan Murphy (Nip&Tuck ndr) e che vede protagonista la sempre splendida Julia Roberts.
La storia è basata sul libro autobiografico di Elizabeth Gilbert.
Liz Gilbert, appunto, è una donna di successo: vive a New York, ed è sposata con un uomo che la adora.
Ha un lavoro come scrittrice di successo, che le dà molta soddisfazione e le permette di viaggiare molto.
Eppure una notte si sveglia e si rende conto che quella non è la vita che vuole.
Decide allora di chiedere il divorzio e di prendersi un anno sabbatico in cui, tra l’Italia, l’India e l’Indonesia si metterà alla ricerca della felicità perduta.
Che dire..Sono rimasto abbastanza deluso.
Il film è un diario del cambiamento interiore che la protagonista ricerca.
Liz, man mano,narra le sue vicissitudini, le sue emozioni , le sue paure, le sue speranze.
Il tutto all'interno di 3 grossi capitoli, ambientati in Italia, India e Bali
Assolutamente da dimenticare, il capitolo Italia in cui Liz riscopre il piacere di mangiare.
Banalità e Stereotipazione allo stato puro.
Italiani dediti alla filosofia del "Dolce Far niente" e del "Vivere alla giornata", donne di mezza età che si chiedono perchè una donna (Liz) sia sola (ma sarà lesbica?) e vada in giro per il mondo, ragazzi romani che sfrecciano per la città eterna gridando "A boona!!" o "Li mortacci!!".. per non parlare del calcio e della pizza Margherita(ma quella almeno fa parte della storia)..e del pulirsi i denti con la lingua dopo mangiato (un filosofo contemporaneo direbbe: "Doh!").
Mancava solo "Berlusconi" o un "Padrino" (o forse uno solo dei due ) e lo stereotipo di italiano sarebbe stato completo.
Chissà se anche gli abitanti di Bali o dell'India avranno avuto la stessa sensazione nel vedere il proprio paese banalizzato fino all'inverosimile.
Il capitolo italiano dunque è praticamente solo questo, con l'aggiunta di tante inquadrature strette sulla Roberts che mangia (e giura di averlo fatto senza controfigure!!) e i sottotitoli divertenti delle esclamazioni dialettali con tanto di gesti fatti degli italiani.
Il capitolo 2 si svolge in India dove Liz va per arricchire la sua spiritualità nell'ashram di una guru che però si vede solo in foto dato che lei vive a New York.
In india Liz conosce Richard con cui stringe un rapporto di antipatia prima e poi di amicizia a tal punto che lui le confida il perchè del suo "ritiro" in india.
Le racconta dell'ex moglie e del figlio, e nel discorso si lascia credere (a tutti gli spettatori) che ci sia stata una tragedia familiare; che non c'è stata.
Anche in questo capitolo non c'è altro, se non lo scontato matrimonio combinato di una giovane donna che vorrebbe invece continuare gli studi.
Terzo capitolo a Bali.
Solito incontro fortuito in incidente bicicletta-automobile, solita donna divorziata ed emarginata dalla sua società con tanto di figlia da crescere e via dicendo.
Uniche note rilevanti, il Felipe super sensibile che piange per un nonnulla ed il simpatico sciamano.
Film terminato in soli.... c e n t o t r e n t a t r e minuti.
Una commedia sentimentale, pienamente in stile americano, con tanta carne sul fuoco, ma con poca sostanza.
Vogliamo parlare del doppiaggio ?
tutti i personaggi hanno delle voci e delle espressioni che sono una via di mezzo tra il cartone animato e i personaggi de "il mondo di patty"
E le musiche?
A parte qualche "compilation" fatta da Felipe si sente solo qualche pezzo brasiliano qua e la.
Demoralizzante.
Anche la Fotografia si allinea con tutto il film dando solo scorci visti e stravisti di ognuno dei luoghi che Liz visita.
Disastro.
In conclusione, sono andato a vedere il film per Julia Roberts, ed in effetti non c'era molto altro
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