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martedì 4 settembre 2018

Paradies: Liebe di Ulrich Seidl. 2012

Un po' cinico e volgare, a volte crudele. Perchè è la verità ad esserlo. Ma vincente, come la scelta di girare un film di finzione come fosse un documentario. Gli autoscontri e un gruppo di disabili, la provincialità, l'emarginazione, la bruttezza esteriore, quotidiana, distruttiva Qui non c'è spazio per la magia cinematografica, la pellicola lavora di sottrazione, il quadro è fisso: gli effetti dell'economia e la cultura occidentale.
Va, infatti, in scena il turismo sessuale praticato da attempate signore austriache e tedesche. Ma chi è la vittima, chi il carnefice? Il viaggio di Teresa in Kenya è un safari, è una caccia a uomini che sono visti come animali. Hakuna matata, non ci sono problemi, le signore hanno i soldi e il materiale umano abbonda, arrendevole, corrotto per bisogno, a sua volta cinico, ma senza scelta. Degrado, umiliazioni, disgusto e pietá. Le pieghe massicce del corpo di Teresa e le ossa sporgenti del giovane offerto dalle sue amiche come regalo di compleanno. Un cinema antiborghese volto a smascherare quel finto benessere insito in molti europei.Teresa è sola: la figlia dimentica di chiamarla il giorno del suo compleanno, cerca dolcezza mentre fa sesso, moralisti e sentimentali i suoi lunghissimi preliminari, umiliante quando al festino il giovane del posto non raggiunge l'erezione. Subito dopo, il rifiuto del barista in camera da letto di praticargli un cunnilingus, la sconfitta finale, la perdita della dignità, la maestosità nel lasciarsi vincere dal disgusto verso se stessi. Funziona. Perchè per quanto un po'confusi, si vuole solo andare avanti nella visione per capire dove siamo finiti, senza accorgercene.

domenica 10 settembre 2017

Frantz François Ozon. 2016

Sia caldo, sia freddo. Sia poetico, sia analitico. Sia molto classico, sia sperimentale. Adrien mente, espressione di un desiderio delicatamente omosessuale verso Franz, il protagonista, com lievi suggestioni omoerotiche. Le cicatrici di guerra nel basso ventre di Adrien sdraiato a petto nudo dopo un bagno nel lago: vita e morte quasi si equivalgono. Adrien (uno stupendo Pierre Niney) ha tanti segreti, tra questi le sue pulsioni sessuali, infatti, preferisce tornare all’illusione ipocrita altoborghese, lasciando Anna sola ad affrontare fino in fondo la cruda realtà. Anna è capace di perdonare l’imperdonabile e di limitare l’illusione a chi non potrebbe sopravviverle (cioè gli anziani genitori di Franz): “Bisogna vivere anche per gli altri”, dice.
Ipnotiche le sequenze nel cimitero, si respira l’oltretomba, di Poe o della poesia dei Rimbaud, dei Baudelaire o dei Verlaine. L’oltretomba di Ozon ha il suo momento chiave in quella sequenza al cimitero di notte dove si recita Chanson d’automne, celebre poesia di Paul Verlaine usata anche da Radio Londra come messaggio codificato per lo sbarco in Normandia: splendido momento di cinema dove si respira in tutta la sua forza il freddo della morte di un’intera generazione, un freddo che vale ieri come oggi. Lei perdona, lui ringrazia, abbandonandola nel vuoto, perfetta rappresentazione della spietatezza del vigliacco. Come al solito Ozon non porta premi a casa, fatta eccezione per il Mastroianni per il miglior attore giovane assegnato alla sua protagonista Paula Beer

venerdì 23 settembre 2016

Amour di M. Haneke, 2012

"[...] per Frances Haslam, che chiese perdono ai suoi figli perché moriva così lentamente, per i minuti che precedono il sonno, per il sonno e la morte, quei due tesori occulti, per gli intimi doni che non elenco, per la musica, misteriosa forma del tempo." (J. L. Borges, "Altro poema dei doni")
Anne e Georges, ex insegnanti di musica, vivono la loro vecchiaia insieme a un pianoforte. Un ictus colpisce Anne. Lui la accompagna alla fine. Una storia di sofferenza, ma ciò che davvero mi ha colpita è la figlia dei due coniugi (in cui ovviamente per motivi personali mi sono rivista), che condivide coi genitori l’inflessibilità nel concedersi una reale apertura al dolore e all’espressività emotiva, in un quadro globale che richiama l’idea di un’austera e colta borghesia parigina. Sarò impopolare, ma per me Haneke bara, perché in ogni immagine vedo altro rispetto a quello che lui vorrebbe che io ci vedessi. Lui dice amore e io vedo odio, dice affetto e vedo rabbia, dice vicinanza e vedo infinita distanza. Ogni tanto mi chiedo se non è questo che vuole dire davvero: che ci odiamo, sempre. Titolo sbagliato: Haine.

domenica 21 agosto 2016

Viviane di Romit e Shlomi Elkabetz. 2014

Viviane vuole il divorzio: da mesi ha lasciato il tetto coniugale ed è andata a vivere da un fratello sposato; fa la parrucchiera, non vuole soldi, desidera solo divorziare da dieci anni, da cinque si è decisa a chiederlo. Ma vive in Israele, nazione democratica dove però matrimonio e divorzio sono solo religiosi (anche in Italia sino al 1970, esisteva solo l'annullamento ecclesiastico, difficilissimo da ottenere).
Solo l'uomo può ottenere o concedere un divorzio, facendole cadere nella mani il Gett, il foglio con il suo consenso, pronunciando la frase "da adesso sei permessa a qualunque uomo", come un oggetto senza valore che può passare da un padrone all'altro. Bellissima la scena in cui Viviane, con dei meravigliosi capelli neri, che la religione considera un'arma di seduzione scandalosa, raccolti sulla nuca, in un momento di stanchezza e sfiducia li scioglie e accarezza le ciocche, un gesto sfrontato davanti ai rabbini che la richiamano immediatamente. I rabbini la chiamano donna, mai per nome, vogliono sapere se è stata pura durante la separazione, accusano il suo avvocato di amarla: un testimone dice "questa donna non è retta, l'ho vista in un caffè con un uomo che non era un parente".Un viaggio nella cultura dell’ebraismo mediterraneo, quello sefardita e quello dei mizrahi, degli ebrei impiantati nei paesi arabi – dal Marocco fino all’Iraq – da quasi duemila anni, fino alla fuga ed emigrazione di massa verso lo stato di Israele, o nei paesi europei, negli anni Cinquanta e Sessanta del secolo scorso. Prezioso. da vedere.

domenica 15 novembre 2015

La bicicletta verde di Haifaa Al-Mansour. 2012

Haifaa Al-Mansour è la prima regista donna dell’Arabia Saudita e, in generale, una delle figure di spicco della cinematografia nazionale.
Questo lungometraggio è ambientato a Riyāḍ e protagonista è Wadjda,una piccola ribelle non incline ad abbassare il capo di fronte a nessuno, veste Converse All Stars sotto la tunica nera, dimentica frequentemente di coprirsi col velo, vende trecce colorate alle compagne per avere sepre soldi in tasca. Per questi motivi è spesso in difficoltà con la preside della sua scuola, la fondamentalista Hussa e con la madre, nonostante sia più flessibile. Un sogno: comprare una bicicletta verde e gareggiare (per battere) l'amico del cuore, ma non è tollerato che le donne vadano in bicicletta (se vogliono sperare di sposarsi, un giorno), in più la bicicletta costa 800 riyāl, circa 165 €. Fin quando un giorno a scuola passa tra i banchi il modulo per l'iscrizione di una gara di canto del Corano con un montepremi di 1.000 riyāl. E’ l’occasione che stava aspettando. Ora però deve farsi riammettere alla classe di religione da cui era stata espulsa, imparare a leggere e a cantare il Corano, superare un quiz a domande strettamente religiose.
Il film di Haifaa Al Mansour non grida alla vergogna, o a qualche forma di vendetta. Né rivendica giustizia. Non è un film femminista, quanto piuttosto un film femminile, un atto d'amore verso il suo popolo. Sceglie l'ironia e la poesia per raccontare come possa essere difficile e umiliante la vita quotidiana di una donna o di una bambina in Arabia Saudita. Considera l'integralismo parte di un sistema che non è tutto da buttare, si fa portavoce della modalità più intelligente per realizzare i propri sogni, ovvero crederci e servirsi di ogni mezzo, compresi quelli che il tiranno mette a disposizione, senza mai cercare lo scontro. Il verde è il colore sacro del paradiso. Come scritto nel Dizionario dei simboli islamici di Malek Chebel, il verde è il “colore dell’Islam, del Paradiso musulmano, il verde era inoltre il colore preferito del Profeta Maometto e dei suoi compagni. Da ciò, il suo carattere sacro”. E la madre, proprio nel giorno delle nozze del marito con la seconda moglie, le fa trovare la famosa bicicletta verde, la quale diventa così un simbolo di tramandata ribellione e speranza per un futuro più libero. Wadjda fa la sua gara con la bici, seminando l’amico e volgendo verso un litorale marino che simboleggia il suo futuro. Un particolare significativo: sarà il ragazzino a toglierle il velo per gioco. Un gesto che, nella sua bellezza e nella semplicità del bambino, ci dice che basterebbe una scelta di solidarietà maschile, una liberatoria complicità per ristabilire armonia e felicità. Pessimo il doppiaggio italiano, adatto a un cineforum a tema.

venerdì 12 giugno 2015

Berlin Calling di Hannes Stoehr. 2008

Ci sono dipendenze buone e dipendenze cattive, e se quella da droga può distruggerti, la fame di vita, di amore, di musica e in definitiva di Arte, può salvarti la pelle. E salverà Ickarus, il dj protagonista, figlio un po'della ribellione punk, un po' del cinismo dei bambini tossici dello zoo di Berlino. Ickarus, come molti, rifiuta la realtà e punta disperatamente all’estasi componendo la colonna sonora di un paradiso marcio per regalare ore di trance mistica a te stesso e a migliaia di ragazzi, ma poi rimangono gli effetti degli acidi e le convulsioni sul ciglio del marciapiede. Assonanza al celebre album dei Clash (London Calling)perchè la musica è la vera padrona indiscussa del film, anche se il sound con cui si muove la Berlino post-muro è solo elettronico. Martin non ha veri amici, la sua ragazza-manager preferirà a lui la sensibilità meno tormentata di una donna, forse perchè interessata più alla sua produzione che a lui; la famiglia è distante nonostante i buoni rapporti: il fratello ha scelto un'altra vita e il padre è un predicatore. Anche gli addetti al “recupero” in fondo lo vorrebbero solo dipendente in un modo istituzionalizzato.

sabato 3 gennaio 2015

Pollo alle prugne di Marjane Satrapi, Vincent Paronnaud. 2011

“Colei che hai perduto sarà in ogni nota che uscirà dalle tue dita”.
Otto giorni per smettere di esistere. Era il 2007 quando Marjane Satrapi e Vincent Paronnaud vincevano il Premio della Regia al Festival di Cannes con il lungometraggio d'animazione "Persepolis", tratto dall'omonimo graphic-novel della Satrapi. Qui siamo nella Teheran degli anni Cinquanta. Nasser Ali è un violinista di incredibile talento, che, durante una delle solite litigate con l'intransigente consorte, vede l'adorato strumento scagliato a terra dalla donna, distrutto per sempre. Decide quindi di "lasciarsi morire", chiudendosi per sette giorni nella sua camera da letto, senza magiare né bere, solo con i suoi ricordi. Rispetto a Persepolis l'Iran non è più teatro di scontri e ingiustizia sociale, ma diventa un'ambientazione da favoletta nella millenaria cultura persiana. Una cornice narrativa e varie parentesi temporali di visioni e ricordi di Nasser Ali in cui Teheran sembra tratteggiata con lo stesso spirito intimista e lo stesso gusto per la suggestione romantica della Rimini felliniana di "Amarcord". L’ambientazione e la voce fuori campo ci suggeriscono che la vicenda è situata negli anni immediatamente successivi al colpo di Stato degli Stati Uniti del 1953 e non può non evidenziarsi, a un occhio esperto, la dissacrante sequenza, nella quale la regista punta il dito sulla cultura stelle e strisce (ingrassante e ottusa), importata nel paese asiatico. Inoltre la protagonista femminile si trascina un nome inusuale e non casuale – Iran – e la pellicola ci suggerisce come la sua figura (eterea e perduta) sia il riflesso abbagliante di un paese che non esiste più. Come la citazione dell'abbraccio (più materno che sensuale) nell'enorme seno di una Sophia Loren avvolta dalle ombre oscure del sogno, un desiderio dimenticato che permette al povero protagonista di trascorrere l'unica notte nel sonno e nella beatitudine.
Pernacchia irritante e impertinente di un figlio ottuso che non ha ereditato la sensibilità artistica del padre messa in scena con siparietto platonico, al quale contrapporre l'avvenire del figlio visto come una sit-com americana kitsch e a basso costo. E'la perdita del suo amore unico che fa suonare così divinamente Nassar Ali, l'uomo si farà poi convincere dalla madre a sposare l'erudita e bruttina Faranguisse, ma la storia non decollerà mai e sarà il motivo portante del film che spinge l'uomo a viaggiare per tutta la durata in questa bolla onirica: rivedrà la madre (accanita fumatrice svanita in una nube di fumo) e la sua amata Irane (il rimpianto di una vita), poi conoscerà Azraele (un angelo della morte giovane e simpatico) e sognerà le desolanti proiezioni future dei suoi figli. La dolce Irane (Golshifteh Farahani) è metafora dell’ardore per la terra natia, che seduce ma respinge, che affascina ma incatena e che, con laconica discrezione, osserva impotente la maestosa bellezza dei suoi frutti più lontani. Pollo alle prugne si rivela dunque una dichiarazione d’amore e allo stesso tempo di un concesso perdono verso il proprio Paese prigioniero del giogo di un regime teocratico, nella consapevolezza che, se da un lato è impossibile l’agognato ritorno, dall’altro è altrettanto irraggiungibile – come artista e come persona – la piena dimensione del sé in una terra nuova e straniera.
Infatti, a fine gennaio 2012 è stato ufficializzato da parte del governo iraniano il confinamento perenne della splendida Golshifteh Farahani. Fortemente contaminato da un registro surreale e grottesco che pare stringere una forte parentela con i lavori di Jean-Pierre Jeunet (palese il riferimento a Delicatessen nella scena degli occhiali)e continua idealmente Persepolis. Da non perdere.

martedì 14 ottobre 2014

Die Päpstin di Sönke Wortmann. 2009

814 dopo cristo. Johanna è la figlia di un prete britannico, che ha altri due maschi, Johannes e Matthias. Il padre è un violento,tiranneggia la famiglia, costringe la moglie a una vita da schiava e picchia la figlia che si dimostra desiderosa di imparare a leggere e scrivere. "Le donne non possiedono l’abilità naturale di trarre conclusioni logiche... Le sezioni cerebrali femminili utili sono di dimensione tanto ridotta che le donne sono incapaci di comprendere idee o concetti elevati", sostiene il suo maestro presso la cattedrale di Dorstadt. A causa della morte del fratello maggiore, Johanna riesce a farsi ammettere col fratello minore nella scuola del monastero di Dorstadt. Lì viene accolta da Gerold, un gentiluomo della corte vescovile, di cui si innamora. Dopo una strage ad opera dei pirati vichinghi, fugge, si spaccia per uomo ed entra come monaco benedettino nel monastero di Fulda, dove esercita le arti mediche. La sua fama è tale che da Fulda Johanna/Johannes arriva direttamente a Roma, dove guarisce Papa Sergio e ne diventa medico personale. Alla morte di Sergio, a causa delle inimicizie tra i vescovi, viene proposta e acclamata papa dal popolo, che ignora la sua vera identità. Ma dato che ha ritrovato Gerold e ne è diventata l’amante, Johanna è incinta e non sa per quanto potrà continuare nell’inganno. Stralci di storia: quel che resta dell'impero di Carlo Magno è conteso tra i figli di Ludovico il Pio che è il suo unico erede. Una storia interessante ma che si dilunga troppo e non è all'latezza delle aspettative. Tanti i tagli nella versione italiana: la scena in cui il prete missionario presso il popolo sassone sferza la figlia sulla schiena fino a farla svenire; resta solo l'immagine del primo colpo di frusta. Non volesse il cielo che si pensasse che i cristiani usavano mezzi pedagogici violenti.Tagliata la frase in cui il priore rivolto ad un gruppo di lebbrosi pone il divieto di mangiare e bere in presenza di persone sane.Ci si augura che in futuro il regista Sönke Wortmann riesca a trovare una sua identità, senza costrizioni né esercizi di stile.

martedì 30 settembre 2014

Séraphine di Martin Provost. 2010

"La pittura è scomparsa nella notte".
Se come me credete che l'arte sia un mistero, questo è il film che fa per voi. Sette César vinti non sono pochi; si tratta infatti dei premi nazionali di una cinematografia - quella francese - che non teme rivali quanto a qualità media delle pellicole prodotte. Qui l'arte è ispirazione divina, un talento naturale e necessità, una forza che tutto soggioga. Séraphine Louis è una donna umilissima con un talento prodigioso per la pittura.Lavora come serva e lavandaia, ma ha dentro una sensibilità singolare nei confronti della natura e un mondo ricchissimo che poteva essere espresso solo tramite la pittura. La miseria che racimola ogni giorno la spende per trovare i colori per la tela e non per mangiare, non ha carbone per scaldarsi. E’ una necessità che nasce da dentro ed è personale, non c’è ricerca di approvazione o ammirazione, lei dipinge solo per se stessa. A scoprire, in maniera del tutto casuale, questo talento è Wilhelm Uhde, collezionista e critico d’arte, tra i primi a comprare opere di Braque e Picasso e scopritore di Henry Rousseau. Il punto di vista del film è proprio quello del critico: noi, infatti, conosciamo Séraphine solo attraverso il suo contatto con Uhde, la prima volta nel 1912, quando il collezionista arriva a Senlis e riconosce il suo talento, Séraphine già dipinge, "... è stato il mio angelo custode a suggerirmelo", noi non sappiamo nulla di lei, il suo passato è un mistero e tale resterà. Quando poi Uhde deve scappare a causa della guerra, non sappiamo più nulla di Séraphine, è solo nel 1927, quando il critico nuovamente la incontra, che torna in scena. La sua incredibile evoluzione artistica, dalle prime piccole e stentate nature morte, alle opulente composizioni naturali è un enigma.Il collezionista contribuirà a distruggere la sua persona, mostrando la parte peggiore dell’arte: la creazione del culto della personalità dell’artista al solo scopo di guadagnare denaro. Séraphine è inconsapevole. Prima non vuole credere: “I ricchi sono sempre entusiasti”, poi cede e finisce per essere travolta e schiacciata da qualcosa più grande di lei.Morirà in un manicomio, tradita da un Uhde incapace per la crisi economica a far fronte alla sua pazzia. Straordinaria la bravura di Yolande Moreau nel rendere la goffaggine, la malagrazia, lo spirito scontroso ed eccentrico di Séraphine, si prova quasi avversione verso la sua figura, così sporca e trasandata, eppure i suoi quadri erano di una ricchezza e di una bellezza che lascia ancora oggi senza parole. Non tutti gli artisti sono pazzi, né, tutti i pazzi, artisti. Non è raro, però, che la follia vada a braccetto con la pittura, la musica, la letteratura. Ed è spesso da un´ossessione che scaturiscono colori, nascono forme, parole, note. Le ossessioni di Séraphine Louis erano addirittura due. Dio e la natura. Lei le fece coincidere. E magistralmente.

mercoledì 3 settembre 2014

Il futuro di Alicia Scherson. 2013

«tutta la scrittura è porcheria. Le persone che escono dal vago per cercar di precisare una qualsiasi cosa di quel che succede nel loro pensiero, sono dei porci»
Roma. Bianca e Tomas restano orfani a seguito di un incidente che ha causato la tragica morte dei loro genitori. Da quel momento, come un fulmine a ciel sereno, ai due non resta che crescere di botto e farsi una vita. Vada come vada. E va che i poveri fratello e sorella s’imbattono in due scansafatiche (tra cui uno è Nicolas Vaporidis, qui anche in veste di produttore associato), che escogitano il “colpo da maestro”: intrufolarsi nella villa di un attore sepolto sotto le macerie del tempo, messosi in mostra per il suo bel fisico e per una lunga serie di film in cui ha interpretato sempre lo stesso ruolo, quello di Maciste. Bianca è asettica in tutto il film, deve trovare la chiave che apre la cassaforte di Maciste. Ma avrà la sua prima cotta, anche se descritta in una maniera veramente banale. Ma poi perchè è sempre così oliata? Lui con mani grossolane le prepara sandwich e le chiede delucidazioni in merito al colore del proprio sperma. Un film veramente vuoto.Fallimentare. Una porcheria. Tuttavia ringrazio la giovane regista cilena e tutti i registi che, in Italia, ci parlano di angoli nostrani.

venerdì 27 giugno 2014

La gelosia di Philippe Garrel. 2013

È da molto tempo ormai che so chi sono, è la mia fortuna e allo stesso tempo la mia condanna, ed è per questo che so che ti amo, ti amo per quello che sei, per quello che pensi, Ti amo ed è Definitivo”.
Inizia ufficialmente la stagione estiva. Quella che in altre parti del mondo viene considerata ideale per il lancio dei blockbuster e che da noi è sempre utilizzata per promuovere in sala pellicole che in altri periodi dell'anno non trovano spazio. Sul finire degli anni cinquanta, esplode in Francia uno dei movimenti cinematografici più importanti e affascinanti della nostra storia, la Nuovelle Vague. La vita sullo schermo diventa riproduzione fedele e surreale allo stesso tempo, i sentimenti - dai più romantici ai più violenti - governano storie e personaggi come nei dipinti impressionisti, la lingua francese diventa codice universale per urlare cambiamento, rivoluzione. Un menage a trois tra un giovane attore, un'attrice più matura e la recitazione. Storia vagamente ispirata alla storia autobiografica dello stesso regista: quella di suo padre – l’attore Maurice Garrel – della fine dell’amore con sua madre – quando Philippe è ancora un bambino – e della sua passione, la più grande della vita, per un’altra donna, che lo lascerà per una vita agiata e più comoda. La piccola Charlotte con un cambio di genere, è Philippe bambino, ricambia l’affetto paterno ed è affascinata dalla nuova compagna del padre. La scenografia è secca ed essenziale, tanti gesti, le mani spesso inquadrate del protagonista esprimono e prendono il posto della sua anima: la tocca, la cinge per trattenerla, sapendo in cuor suo che presto andrà via, un film fisico, di bisogno, di vicinanza. Tattile.

giovedì 17 aprile 2014

Palermo Shooting di Wim Wenders. 2008

"Le cose sono solo superficie".
Per un fotografo quotato buttarsi sulla moda è un suicidio: Finn perde credibilità agli occhi di colleghi e pubblico. Sta per divorziare, soffre d'insonnia, ha un periodo di forte disagio. Finchè una sera schiva per un pelo uno scontro frontale in macchina, nel quale però riesce ad immortale un losco figuro sghignazzante. Palermo è la città nel quale ritrovare se stesso e porta con sè Milla Jovovich nei panni di se stessa per farle delle foto in terra siciliana. Rimane qui anche dopo aver completato il suo lavoro, addormentandosi in vari borghi palermitani ammirandone il cielo: voci deformate nei suoi sogni, immagini inquiete e surreali con protagonista sempre il solito uomo che prova ogni volta a trafiggerlo con delle frecce. Fin quando non compare Flavia, una restauratrice del Nord Italia. L'uomo dei suoi sogni è la Morte con cui dialoga verso la fine di questo film, nemmeno il carisma di Dennis Hopper sembra riuscire a tradurre la stupidità delle frasi pronunciate dalla Morte e in generale in tutti i dialoghi del film. C'è poco da salvare, forse la fotografia e gli occhi della Mezzogiorno (Flavia)ma anche lei per il resto è abbastanza spaesata, nemmeno lei capisce dove vuole andare a parare Wenders. Tutto poco ispirato e inconcludente.

lunedì 10 marzo 2014

Treno di notte per Lisbona di Bille August. 2013

"When dictator is a fact, revolution is a duty".
Fuori concorso al festival Berlino 63. Passare da una piovosa Berna, solitaria,grigia ma di cultura a una solare e passionale Lisbona. Impermeabile rosso, una donna fradicia che si vuole suicidare, un libro che cattura e un treno notturno trans-europeo. Gli elementi ci sarebbero tutti, ma la storia è fragile e poco convincente. Giocare a scacchi contro se stessi l'ho trovata una scelta vincente per descrivere la solitudine del protagonista, mi aveva convinto la penombra del suo appartamento, i suoi gesti rituali, meccanici, di chi vive trascinandosi nella sua routine. Poi nella sua vita entra un medico.autore: Amedeu de Prado, per lui prenderà il treno di notte per Lisbona del titolo. Il dittatore Salazar, Amedeu è nella resistenza. Ma il film è freddo e noioso e perde l'occasione di poter battere un selciato cinematograficamente alquanto vergine: la dittatura portoghese. Tutto banale e scontato.

domenica 17 novembre 2013

Female Perversions di Susan Streitfeld. 1996

In fondo chi non si fa rasare il monte di Venere prima di fare l'amore? A parlarne è la nota psicanalista e psicoterapeuta americana Louise J. Kaplan, che qualche anno prima dell'uscita del film, nel 1991, ha scritto il famoso saggio clinico Female Perversion - The Temptations of Emma Bovary. Tema del saggio è l'ipotesi secondo cui le donne non sono state considerate perverse perchè le loro perversioni non sono mai state ricercate in quei comportamenti femminili dove esse si annidano: cleptomania, l’anoressia, piccole mutilazioni e tagli di cui il film appunto è pieno. Produzione, scenografia, fotografia e musica tutto interamente curato da donne e dalle loro perversioni. In effetti, il film si apre già con una dicitura sul cuscino della protagonista:"Le perversioni non sono mai ciò che sembrano essere". Eve è qui la protagonista, spesso nuda, con addosso bende in chiaroscuro, cammina su un filo teso, tentando di mantenere l’equilibrio, al fine di non cadere in una piscina a forma di croce. Una re e una regina tirano le corde attorcigliate attorno alle sue caviglie e polsi. Un richiamo ai suoi ricordi che la tormentano, nei quali vi è appunto una piscina, al bordo della quale vi sono i suoi genitori che giocano a carte. Carte che finiscono galleggiando in piscina e suo padre che respinge aggressivamente le avances della moglie in vena di provocarlo sessualmente. Eve conduce una vita dissoluta privatamente, irreprensibile sul lavoro, ha due relazioni: con un ricco biondo in affari e una giovane psichiatra, e fa di tutto per scappare via dallo stereotipo di donna-moglie-madre, che non vuole incarnare. Un film veramente fin troppo complesso e anche angosciante. Anche patetico per certi aspetti. Uno dei peggiori film mai visti. Demenziale la ragazzina che, ad ogni sua mestruazione, celebra il funerale del bambino che avrebbe potuto nascere. Se il titolo vi lascia presagire scene di alto erotismo, cambiate strada, avete imboccato quella sbagliata. Di erotico c'è veramente molto poco. C'è poco di tutto, molto di nulla.

venerdì 20 settembre 2013

Rush di Ron Howard. 2013

«Quando scendo in pista sono consapevole di avere il 20% della possibilità di morire»
Uscito ieri. Hunt-Lauda e i loro capricci targati 1976. Razionale e freddo Lauda, lo scienziato delle corse; ribelle e dannato « perchè solo quando sei così vicino alla morte, ti puoi sentire realmente vivo» Hunt. Entrambi però disubbidiscono alle famiglie, vogliono sentirsi liberi,correre. Nonostante le due filosofie di vita agli antipodi, quindi, i punti in comune durante il film verranno fuori così come la medesima passione, che li porterà ad amarsi, difendersi e rispettarsi. Non sono un'appassionata di Formula 1, ma i rombi dei motori emozioneranno anche questa categoria alla quale la scrivente appartiene. La McLaren, che io ricordo, vanta autisti dalla tuta bianca, qui saranno le tute rosse, invece, a farla da padrona sia tra ferraristi che tra i loro antagonisti. Non saprò accattivarmi la simpatia di chi ama i motori, le corse, conoscevo Lauda solo di nome: ma ora so che è un mito, solo un incosciente rientrerebbe da un incidente quasi mortale dopo 42 giorni per poi ritirarsi senza acciuffare quella vittoria tanto agognata. Una crescita la sua. Una di quelle che forse ti portano a capire ciò che veramente conta. Una ricostruzione fedele, onesta, corse reali con tanto di fumo da sgommata e audio assordante. Un film che appaga gli occhi e il cuore e commuove. Ho tifato, trattenuto il respiro, abbassato gli occhi,sperato. Da pelle d'oca e lacrimuccia. La storia di due grandi campioni, quando la Formula 1 sapeva dare emozioni. Vere.

mercoledì 11 settembre 2013

Come pietra paziente di Atiq Rahimi. 2012

"Gli uomini che non sanno fare l'amore, fanno la guerra!"
Atiq Rahimi è uno scrittore e regista afghano in asilo politico in Francia dal 1984. Solo la sofferenza di chi non può baciare la sua terra genera dei capolavori come questo. 100 minuti che t'inchiodano, eppure l'intero narrato si svolge tra quattro mura decadenti; una donna afghana parla con il marito in coma, colpito da una pallottola al collo, quindi inerme, immobile, la soluzione giusta affinchè lei possa raccontargli tutti i suoi segreti più intimi senza che venga uccisa. Un lunghissimo monologo. uterino, femminile, passionale, erotico. Bellissimo. "Oggi ci saranno i bombardamenti, rimanete in casa". In zona afghana, nei pressi di Kabul, si parla della guerra come di un evento atmosferico, come se piovesse. Tutto è di elevatissimo livello, soprattutto la fotografia: nature morte di rara bellezza (come il fagotto di melograni che il soldato innamorato regala alla donna). E che donna. Ineccepibile la protagonista Golshifteh Farahani, occhi e sguardi che non dimentichi, confessioni le sue a cui ogni donna si sentirebbe vicina. Condivisibile ogni sua parola o gesto. Anche quello estremo della fine. Che le libera uno dei sorrisi più belli mai visti in tutta la storia del cinema. La donna non ha volutamente un nome, la sua storia è quella di tante donne afghane, sposate con un mujaeddhin e trattate come serve ed estranee, ma dietro le quali si nasconde un'anima pulsante, carnale. Riscoprirsi donna e cominciare quella salita che conduce verso la propria felicità .Al culmine del suo percorso di conoscenza la protagonista si scopre addirittura profeta, identificandosi con Khadija, la moglie di Maometto. Nessuna nomination al film. Questo lascia molto perplessi.

mercoledì 8 maggio 2013

Una vita tranquilla di Claudio Cupellini. 2010

"Domani parti, se tutto va bene avrai una vita tranquilla". Malavita napoletana ma con accento tedesco.Un notevole Toni Servillo. La sua vita tranquilla. La sua nuova vita. Fin quando due giovani provenienti dal suo passato la sconvolgono. Due killer. Si, proprio di quelli che sparano, uccidono senza pietà. Non rivelo nulla di eclatante se svelo che uno dei due è ovviamente il figlio di Rosario, lo capirete subito. Smaltimento dei rifiuti made in Naple. Qualcuno deve essere fatto fuori. Rosario è costretto a ricambiare vita. Il fu Rosario comincia quindi verso la fine del film la sua terza esistenza. Magistrale la scena della cena che precede l'omicidio di Rosario, qualcosa di unico, un gioiellino. chapeau.La paternità negata che rende Diego così fragile dona ancora più fascino al suo personaggio. Ansia, dolore, turbamento. Un film che trasmette. Tanto.

giovedì 27 dicembre 2012

Valzer con Bashir di Ari Folman. 2008

"La memoria è dinamica, è viva. Riempie tutti i buchi del passato, anche con ricordi irreali".
Documentare animando. Una scelta decisamente vincente. Un amico del regista ha un sogno. E' questo sogno ad aprire il film. Un sogno che si ripete: 26 cani dinigrano i denti. Era lui l'addetto all'uccisione dei cani durante la guerra dei Libano del 1982, per non far scoprire la sua truppa ai nemici. Lui che gli umani non sapeva proprio farli fuori. Un ricordo altri, che fa riflettere Folman sui suoi tanti non ricordi. Il regista era lì eppure non ricorda praticamente nulla. I traumi cancellano e modificano i ricordi. Il film cerca di recuperarli. Con una seduta psicanalitica. Folman esclude dirette colpe dell'esercito israeliano, ma non assolve. Il governo israeliano conosceva le azioni dei falangisti cristiani, Ariel Sharon, ministro della Difesa, svegliato di notte è tra gli artefici di quella carneficina. Mostra di sapere e chiude la telefonata con un "Buon anno". Fu costretto poi, infatti, a dimettersi. Ricordiamo che ai Golden Globe, ha soffiato il riconoscimento come miglior film straniero all’italiano Gomorra di Matteo Garrone. Da italiana, ne sono felice. Documentare la realtà, infarcendola di emozioni e traumi personali non è da tutti. Ricostruire quanto è accaduto è sia un'azione compiuta dal paziente in terapia, ma in fondo anche dallo stesso documentarista che deve riportare a galla la realtà tramite tutto il materiale indagato.

mercoledì 12 dicembre 2012

Così lontano, così vicino di Wim Wenders. 1993

Voi… Voi che noi amiamo, voi non ci vedete, non ci sentite, ci credete molto lontani... eppure siamo così vicini. Siamo messaggeri che portano la vicinanza a chi è lontano. Siamo messaggeri che portano la luce a chi è nell'oscurità. Siamo messaggeri che portano la parola a coloro che chiedono. Non siamo luce. Non siamo messaggio. Siamo i messaggeri. Noi non siamo niente. Voi siete il nostro tutto
Il muro è caduto da qualche anno e l'angelo Cassiel in piedi sulla Statua della Vittoria guarda la Berlino unita. Tutti corrono, sono frenetici, ma dove vanno? Sembrano così tristi e soli. Eppure il bianco e nero che li ritrae è soffice e caldo, quasi come le ali di Cassiel che guarda. Nessuno si accorge di lui. Il cielo sopra Berlino ci aveva detto arrivederci e non addio e qui ne reincontriamo, infatti, il protagonista. Damiel è diventato un umano ed ha sposato la bella trapezista incontrata nel film precedente, Cassiel si sente solo, perchè nessuno si rende conto di aver bisogno di lui? Soffia nell'orecchio di Damiel per farlo accorgere della sua presenza... fin quando anche lui deciderà di voler provare quell'emozione della pelle, dell'umanità. E diventerà lo Zio Karl. Ma la poesia in quell'attimo cesserà di esistere. Il mondo non la coglie più. L'infinito cessa di esistere, Cassiel si sconterà con il Tempo e forse perderà la battaglia.

sabato 22 settembre 2012

The Reader di Stephen Daldry. 2009

"Tutti sapevano. Come hanno fatto a permetterlo?".
Berlino 1995. Michael Berg dalla finestra osserva un tram che lo riporta al proprio passato. Lo ritroviamo quindi quindicenne, soccorso durante un malanno da una trentenne, la vincitrice dell'Oscar Kate Winslet – qui Hanna –. Hanna lo seduce e inizia al sesso in una relazione che dura poi per tutta l'estate. Michael e Hanna non si limitano però ad avere una relazione di tipo esclusivamente sessuale ma instaurano anche una complicità intellettuale: Hanna ama infatti moltissimo i classici che Michael legge a voce alta per lei tutti i giorni creando con questa donna adulta e affascinante una affinità che non potrà più dimenticare. IL "ragazzo" cresce e come Hanna già sentiva, data la bravura del giovane, fa carriera e diventa un avvocato. 1966. Michael, studente alla facoltà di Giurisprudenza, assiste ad un processo contro alcune donne che durante la Seconda Guerra Mondiale avevano ricoperto il ruolo di sorveglianti SS nei campi di concentramento nazisti. C'è Hanna. La donna potrebbe avvantaggiarsi di un particolare che solo lei ed il ragazzo conoscono ed alleggerire la propria posizione d’imputata, ma entrambi per motivi diversi sceglieranno la via più difficile. Ma lui ne rimarrà nuovamente coinvolto."Quello che proviamo è irrilevante. Conta ciò che facciamo". Non m'interessano le critiche suscitate dal film per la banalizzazione dell'olocausto, Hanna Schmitz, è infatti, una donna ignorante e analfabeta che sta in quella maggioranza silenziosa, che sapeva ed eseguiva gli ordini, perchè “gli ordini non si discutono, si eseguono”. Il male è presente ovunque, anche in una donna qualsiasi,una donna che a fine guerra rimuove tutto l’accaduto come se nulla fosse. Il film non la giustifica, Hanna paga la sua colpa, ma se Hanna era allo stesso tempo una donna speciale che amava perchè non metterlo in scena? Intenso. Fin troppo.Non importa cosa pensi o cosa provi i morti sono morti

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