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mercoledì 25 dicembre 2019

Pinocchio di Matteo Garrone. 2019

Una lezione filologica su Pinocchio e su Collodi, sul realismo crudo di un autore che aveva scelto di dipingere il fuoco nella casa di Geppetto perchè era così povero da non avere nemmeno legna da ardere, che aveva reso così bene la fame di Pinocchio da fargli mangiare anche le bucce delle pere che il padre aveva conservato per sè. Di questo romanzo abbiamo amato il viaggio di crescita impervio, che ha suggerito ai piccoli quanto fosse pericoloso non ascoltare e seguire gli insegnamenti dei grandi. La pedagogia di fine Ottocento del ribelle burattino senza fili, che è così buono da meritare di diventare un bambino vero. Questi particolari non si ritrovano nel film di Garrone, ma la povertà è presenza persistente, nella sua asciuttezza di poche parole e pochi vezzi estetici. È nei panni malconci e ingialliti di un Geppetto trasandato e spettinato, interpretato da Roberto Benigni, nei mezzucci e nello "spizzicare" del Gatto e la Volpe. In un padre che genera non con il sangue - come San Giuseppe con il Cristo (il riferimento ci sta, oggi è pur sempre Natale) sta la mostruosa prova attoriale di Roberto Benigni, padre per eccellenza, sofferente e buffo, con un forte richiamo ai classici maestri della povertà cinematografica: Charlie Chaplin e Buster Keaton.
Pare che lo stesso Collodi avesse, appunto, scritto Le avventure di Pinocchio per sbarcare il lunario, senza rendersi quindi conto che, invece, avrebbe per sempre cambiato la nostra cultura con l'incredibile potere iconografico delle sue scelte: l’immagine del naso che si allunga con le bugie, quella dell’asino come sinonimo di bambino svogliato, e quella del Paese dei Balocchi come luogo illusoriamente meraviglioso, l’etichetta de “il Gatto e la Volpe” per definire chi traffica affari loschi, e quella di “Grillo Parlante” per chi dispensa saggi consigli non richiesti. Collodi in realtà non crea, attinge molto dalla letteratura francese e inglese, da Fedro ed Esopo, le sue avventure sono imprecise, le cose accadono senza il minimo nesso logico, nella fiaba non c’è mai stata l’ombra di una coerenza interna. Non è richiesta, noi lettori non la vogliamo. Non si poteva chiederla a Garrone, l'opera è imperfetta in partenza, ma è diventata comunque un capolavoro mondiale. Sono dalla parte del regista, un testo sacro non va stravolto, cambiato, ho apprezzato e compreso la sua fedeltà, trovandovi tuttavia anche un tocco più visionario rispetto all' originale. No, non sono dalla parte dei detrattori, di chi bolla un'opera come la meno riuscita di un regista perchè sa tanto di "critico esperto" Noi alla fine abbiamo tutti applaudito e nell'abbraccio di Pinocchio diventato bambino e Geppetto sentito la magia del Natale.

domenica 8 settembre 2019

Martin Eden di Pietro Marcello. 2019

Sconquasso narrativo, fotografia in filigrana e mistificazioni storiche sul il primissimo novecento, il post guerra, gli anni del boom e gli anni ottanta. Basato su un libro noto ma spesso tradito: a cominciare dal raggio d’azione che si sposta dalla California ai vicoli di Napoli, classico nell’impianto ma modernissimo nella realizzazione. Inquadrature veramente efficaci e di rara bellezza. Si apre “ideologicamente” in maniera molto forte: con un filmato di repertorio dell’anarchico Errico Malatesta durante la manifestazione a Savona del 1° maggio 1920 per mettere in risalto le contraddizioni cruciali che hanno accompagnato il secolo scorso: dal ruolo della cultura di massa al rapporto tra individuo e società, tra socialismo e individualismo, fino alla lotta di classe. Martin non è istruito ma vuole arrivare a sapere e conoscere, si innamora di Elena che appartiene ad mondo diverso dal suo: ‘bello e lineare’, di una borghesia pulita. Il successo e il riscatto arriveranno alla fine, ma il tardivo apprezzamento di chi prima lo disprezzava, senza che lui sia cambiato di una virgola, lo farà impazzire di rabbia. Martin ha le spalle larghe e le unghie nere. Appare stralunato, assente, scostante e intenso, incarnando alla perfezione la figura dell'anti-eroe, con la passione per la scrittura quale mezzo di riscatto personale e veicolo necessario per comunicare lo stato d’animo di angoscia esistenziale e denuncia sociale.
Martin Eden, il marinaio che non sa pronunciare il nome di Baudelaire, ma che finirà per tenere lezioni nelle più importanti università incarna il prototipo dell’uomo umile che si eleva dal suo rango con dedizione e resistenza, purconservando un malessere vitale che spesso sfocerà nella delusione e nell' auto-distruzione. E se anche il film non dovesse convincervi gli occhi di Luca Marinelli valgono da soli il prezzo del biglietto!

martedì 26 marzo 2019

Momenti di trascurabile felicità di Daniele Luccetti 2019.

Non basta Pif - che non è un attore e si vede lontano un miglio- a renedere Momenti di Trascurabile Felicità (dal romanzo di Francesco Piccolo) un buon prodotto, nè le sue domande non-sense: perché lo strumento frangi vetro da utilizzare in caso di emergenza sul tram è custodito dentro una membrana di vetro? come possiamo essere certi che la luce del frigorifero si spenga quando chiudiamo il frigo? Perché il primo taxi disponibile non è mai il primo della coda, ma quasi sempre l'ultimo? Questo panegirico che non fa ridere, dopo dieci minuti stanca. E anche le sue idiosincrasie, non supportate da un impianto visivo all'altezza o almeno coerente. Insomma, sono tutte frasi che sentiamo dire al protagonista, ma che non ci convincono, non risuonano nella nostra testa e che speriamo si concludano presto. Poi lo scontro - unica scena degna di nota- davvero impressionante per il realismo sconcertante, seguita da una visione dal basso di un abisso, o di una estranea dimensione, rivolta verso l'alto, una scena alla Nolan, molto forte e straniante, per nulla scontata in un contesto sin troppo tipico da commedia italiana leggera e malinconica. Paolo, il protagonista, è piuttosto narcisista e spesso incurante degli effetti delle proprie azioni, il quale si rende conto solo di fronte all'ineluttabile (la manovra azzardata all'incrocio) di cosa vuol dire eseguire una manovra sbagliata. L'unica parte onesta, sincera è il resoconto della storia d'amore dei protagonisti, normale, fatta di tradimenti, ripensamenti, scelte sbagliate, concreta. L'apologia del padre e marito assente che si pente non funziona, o almeno oscura il resto, non ci si rivede, non ci si commuove. Non c'è proiezione. Troppa insistita tenerezza, ruffianeria nel rendere un ritratto assolutorio del peggior uomo medio. E nient'altro.
Bocciato completamente il finale, banale, scontato.

giovedì 21 febbraio 2019

La paranza dei bambini di Claudio Giovannesi. 2019

Orso d'argento per la miglior sceneggiatura al Festival di Berlino. Rione Sanità a Napoli, una gang di quindicenni vuole entrare nei locali esclusivi, comprare vestiti firmati e motorini nuovi, ma soprattutto liberare i propri cari e se stessi dai capi camorra che controllano i diversi quartieri. Solo a quindici anni si può avere l’illusione di portare giustizia nel quartiere inseguondo il bene attraverso il male. E mentre corrono in scooter alla conquista del potere si innamorano, vivono amicizie fraterne, sgranocchiano crostatine, giocano alla playstation. Non si parla di politica, ma di sopravvivenza quotidiana,di adolescenti senza futuro, costretti a sopportare la vista di genitori che pagano il pizzo per una protezione costruita ad arte da una malavita che ti avvolge come un rampicante invasivo e soffocante. Regista e sceneggiatori vogliono raccontare di come la camorra sia tornata a chiedere il pizzo ovunque, denunciare l'utilizzo spropositato di cocaina con le scuole pressoché inesistenti. La dimensione in cui si gioca il fim non è uno spazio temporale, geografico, fisico, è una condizione.Napoli, da particolare, si fa generale: diventa una regola, un modo di vivere universale a determinate condizioni, un’equazione mortale. Il finale chiude improvvisamente una storia che ancora non è finita, perchè la vicenda di Nicola (protagonsta capo del clan di ragazzini) non conosce vie d’uscita. Non vedo nè pessimismo, nè retorica in Saviano. Mai. Vedo piuttosto l'abilità di chi sa cogliere e raccontare lo smarrimentodi chi vive tra una società in continuo mutamento e in quartier difficili in cui il sistema mafioso è impossibile da arginare. Con un'educazione criminale, ma anche profondamente sentimentale. Urgenza di denuncia, passione nel raccontare. Roberto Saviano è un grande giornalista. Nei suoi libri il suo talento nella scrittura da reportage si vede tutto. Che vi piaccia o meno come individuo, siete dei folli se non riconoscete il suo valore professionale. A differenza dei protagonisti di Gomorra questi ragazzini non sono nati in famiglie camorriste. Saviano denuncia un vuoto di cultura. Qualcuno può forse dargli torto?

lunedì 11 febbraio 2019

Il colore nascosto delle cose di Silvio Soldini.2017

Se sei indeciso e non sai che direzione prendere i film di Silvio Soldini ti faranno sentire meno solo. Anime divise in due in cerca di una guida: uno è il prubblicitario Teo, con tablet e cellulare perennemente in funzione, l'altra è Emma, un’osteopata che ha perso la vista a diciassette anni.
Bastone bianco in mano e la scelta stilistica di non mettere mai perfettamente a fuoco le immagini. Piccole cose che avvengono in spazi metropolitani e dialogano coi personaggi alla ricerca di un’armonia impossibile. La narrazione è intrigante, ma abbastanza scontata. Da vedere solo in giorni in cui si è a letto con l'influenza e ci si annoia. Bellissima la schiena della Golino.

sabato 29 dicembre 2018

Capri-Revolution di Mario Martone. 2018

Una comune di artisti e giovani -capitanata da un guru bello, biondo e americano che sembra Jesus Christ Superstar- vive tra le montagne di Capri all’alba della prima guerra mondiale. Una pastorella del posto entra in contatto con il sopracitato guru vegetariano/utopista/ecologista/nudista/spiritualista orientale e finisce per scoprire se stessa in quanto donna non più soggetta ai padroni maschi di casa (i due fratelli maggiori) L’aspetto più interessante di Capri-Revolution è il legame con Noi credevamo e Il giovane favoloso, cioè la necessità di riflettere sul Tempo e la Storia. Nel raccontare gli eventi che anticiparono e seguirono il Risorgimento, Noi credevamo tracciava una riflessione sul tradimento della lotta partigiana nella società post-costituente; e Il giovane favoloso oltre a trasformare in immagini la biografia di Giacomo Leopardi, ce lo infiocchetta come se si trattasse di un esponente della cultura punk di fine anni Settanta. Qui, invece, Martone si concentra sul fallimento dell'utopia sessantottina: il pittore Karl Wilhelm Diefenbach creò sul serio una comune a Capri nei primi del Novecento, anticipando gli hippie. Troppa carne al fuoco: Lucia e la sua rivalsa di contadinella analfabeta , il conflitto culturale tra la comune e la cittadinanza, i rivoluzionari russi esuli che stanno preparando il 1917, l'arrivo dell'elettricità sull'isola, il papà di Lucia che si ammala in fabbrica, il pacifismo di Seybu, l’interventismo socialista del medico, la Grande Guerra. Temi rispettabilissimi e degni di nota, ma il regista insiste ossessivamente sulle pratiche naturiste dei membri della comune, che vagano nudi per gli scogli, improvvisando coreografiche. Troppe, estenuanti.
E l'erotismo? La carne? La materia? Questo film non ha pancia, non trema, è didascalico, spiega e suggerisce risposte, esce fuori solo l’innamoramento di Martone per ciò che fa, per come posiziona la macchina da presa, per come crede di esplorare un grande messaggio, ma che poi non arriva mai. Unico dialogo ben scritto lo scambio di vedute tra Seybu e il dottore sul concetto di rivoluzione, in cui vengono messi alla berlina entrambi gli estremismi: il dogmatismo interventista da una parte e quello isolazionista dall’altro. Il film ha tante piccole rivoluzioni inesplose, l'unica miccia che prende fuoco è la storia personale della pastorella Lucia (Marianna Fontana), che imparara a leggere e a parlare in inglese. Incredibile il suo volto estremamente cinematografico e di un bellezza disarmante. Non si riesce a toglierle gli occhi di dosso. D'effetto la chiosa: un'anfora cade, la guerra è cominciata, simbolo di una scossa tellurica che annuncia una nuova epoca, è l'addio a un equilibrio. E bellissime le parole della mamma di Lucia: "ho sempre saputo com'eri Lucia, ti ho sempre sentita scappare di notte. E anche io avrei voluto essere là, con te".

domenica 16 dicembre 2018

Santiago, Italia, di Nanni Moretti. 2018

«Oggi viaggio per l’Italia e vedo che l’Italia assomiglia sempre di più al Cile, nelle cose peggiori del Cile. Questa cosa di mettersi in questa società di consumismo terribile, dove la persona che hai al fianco non te ne frega niente, se la puoi calpestare la calpesti. Questa è la corsa: l’individualismo».
Cile. Per la prima volta nella storia dell’intera America Latina, l’ingresso nel Palacio de la Moneda è di un presidente marxista. Medico, leader di Unidad Popular, amico e compañero di Pablo Neruda. Quel sogno «umanista e democratico» di Allende che ci ha reso appassionati, come quell' infuocato comizio di Salvador Allende in cui, profeticamente, annuncia che lascerà la Moneda «soltanto crivellato di colpi». Moretti ce lo ricorda, lo fa fra le case e le testimonianze di quei rifugiati che, all’indomani del golpe del ’73, qui trovarono asilo. Diplomatici, registi, artigiani, militari, dottori, asilados sulla propria pelle, che si commuovono e ricostruiscono la loro storia. Vera, di pancia, la dettagliata descrizione dello sforzo di dover scavalcare il muro dell’ambasciata italiana per chiedere asilo politico (per il quale, raccontano, ci si allenava apposta). Tutto condito con freschezza e leggerezza, anche quando una donna ricorda di aver chiesto a uno dei suoi aguzzini di smetterla di strapparle il nastro adesivo incollato sugli occhi, perché «magari mi ammazzano, ma almeno avrò ancora le ciglia!» Santiago, Italia parla di vita, non di morte. parla di dignità, di chi ha capito che doveva ricostruire e non piangersi addosso. Pellicola intelligente, sensibile, di taglio classico ma anche tagliente. Soprattutto quando, nella seconda parte, celebra i migranti cileni accolti come si accoglie l’essere umano, niente di più, contro l’Italia di adesso, quella del “prima noi”, di quelli che vogliono la corsia riservata e si sono messi a fare sistema. Di quelli che twettano e si fanno i selfie. Un ex-militare incarcerato, invoca imparzialità «perché lei non è un giudice né un prete», Moretti, fino a quel momento quasi assente, passa davanti alla macchina da presa e si rivolge all’interprete fuori campo: «Io non sono imparziale, lo traduca». Imparziale certo, ma avrei voluto sentir usare la parola "antifascismo", è per l'antfifascismo che i rifugiati cileni trovarono ospitalità in Italia; è in nome della comune lotta antifascista che tutti i partiti dell’epoca (dai repubblicani ai democristiani ai comunisti, come ricorda uno dei testimoni) decisero di non riconoscere il governo dittatoriale di Pinochet; ed è stato (anche) grazie a una diffusa cultura antifascista che i rifugiati godettero del supporto e della vicinanza della popolazione comune – e non solo nelle regioni “rosse” – nonostante quegli anni fossero tutt’altro che facili, anche nel nostro Paese. E viene nostalgia. Di un tempo che non ricordo, non conosco, in cui si era uniti, solidali. Umani.

mercoledì 26 settembre 2018

La ragazza del mondo di Marco Danieli. 2016

Gli uomini e le donne “del mondo” sarebbero, secondo i testimoni di Geova, tutti quelli che non appartengono alla loro comunità. Voi lo sapevate? Come tutti, ho una visione di questo credo molto stereotipata: per me i testimoni di Geova sono quelli che hanno un'ossessione per i citofoni la domenica mattina, quelli che si spostano sempre in coppia e con vestiti vintage e borsetta, quelli con un'attenzione esagerata al proselitismo, quelli a cui è vietato festeggiare i compleanni e ricevere trasfusioni di sangue. E credevo fosse davvero tutto. Prima di guardare questo film.
Tuttavia, "La ragazza del mondo" non è una pellicola di denuncia contro i testimoni di Geova, non è un film d’inchiesta e non è neanche un documentario” e non è neanche un film sentimentale sebbene ruoti intorno alla storia d'amore dei due protagonisti Giulia e Libero, perché “l’amore è usato come veicolo per uscire dalla comunità” e affrontare poi altre sfide. I due ragazzi seguono due binari paralleli, rappresentano due vite nell’illegalità: da una parte c’è Giulia e le regole rigide di famiglia e comunità, che vive in esilio dai rapporti con gli impuri che non seguono la parola delle Sacre Scritture. Dall’altra parte c’è Libero: lui sì che vive nell’illegalità estrema e non simbolica, vista l’attività di pusher che porta avanti. Due mondi separati finché non entra in gioco l’amore che fa deviare i binari in un’unica retta. I due per colpa della sorella minore di Giulia sono scoperti e Giulia si trova di fronte ad un difficile scelta: rinunciare alla sua indipendenza rimanendo all’interno della gabbia di regole che la “proteggono” dal mondo o lasciarsi andare alla passione proibita e abbandonare la famiglia? Sarà “disassociata” e costretta all’esilio. Che cosa significa disassociata? Detto in soldoni "non esisti più" ed è vietato da parte degli altri adepti anche solo comunicare con chi viene cacciato, familiari compresi. (Sono senza parole, sono completamente estranea a queste pratiche e ho stentavo a credere durante la visione potesse essere realtà e non un'esagerazione del regista) Duro il confronto di Giulia dinanzi agli anziani che la interrogano sulla sua relazione proibita- la scena più ripugnante- in cui la ragazza è spogliata della sua intimità in nome della “Verità”: sarà costretta a rispondere tra le lacrime a domande morbose e insistenti sui dettagli relativi ai suoi incontri sessuali con Libero. La Corte suprema di Mosca ha vietato l’attività dei Testimoni di Geova definendoli “estremisti”, prevedendo il sequestro dei beni, multe tra 300 mila e 600 mila rubli (circa cinque, dieci mila euro) ed il carcere da sei a dieci anni di prigione. In tutto in Russia si contano 175 mila fedeli. Ah, ora lo so, la prossima volta che mi citofonerranno risponderò convinta: "sono una dissasociata, grazie"

venerdì 21 settembre 2018

Dogman di Matteo Garrone. 2018

Il film si apre con le fauci ringhianti di un minaccioso pitbull. Di fronte a lui, un omino che prova ad ammansirlo, “amore, amore”, “bravo, bravo”, per lavarlo e asciugarlo. Intorno, nel quartiere, ComproOro, sale di slot machine, palazzi d’asfalto non rifinito e un perenne clima uggioso . Si stanzia qui il salone per cani Dogman in cui Marcello, tra infissi in alluminio e attrezzi di lavoro un po'alla buona lava, pulisce e sistema cani con un amore infinito. La storia è quella di Pietro De Negri, detto er Canaro, proprietario di un negozio di toelettatura per cani alla Magliana: trent'anni fa esatti, stufo di essere vessato e umiliato da Giancarlo Ricci, lo rinchiuse in una gabbia per cani sul retro del suo negozio e lo uccise senza pietà, amplificando poi il racconto con gli inquirenti. Le indagini tuttavia appurarono che una gran parte di quanto riportato era stato frutto di fantasia e che soprattutto le mutilazioni furono inflitte sul corpo morto. Matteo Garrone ripesca questo delitto, lo studia, suggestionanto anche lui sicuramente dalle personalità forti che ne furono protagoniste, decidendo di soffermarsi principalmente su quanto illusoriamente er Canaro aspirò col suo gesto ad una redenzione personale.
Gli spazi che occupano i due protagonisti sono tali da mettere in evidenza la loro differente conformazione fisica: da pugile e massiccia quella di Simone (Ricci), rachitica e innocua quella di Marcello (er Canaro): in nessun momento si è portati a pensare che Marcello possa essere una minaccia per Simone. Anche perché Marcello è sensibile, mite (non come il vero Canaro), un uomo tranquillo. Ama i cani Marcello, si prende cura di loro con amore. Saranno proprio loro i testimoni involontari della bestialità umana, in silenzio assistono alle torture e diventano così l'emblema dell’insopprimibilità dell’istinto. Ciò che emerge è che Marcello non ama abbastanza se stesso ,non dice mai di "no" a Simone e il corpo esamine che nelle scene finali lui brandisce come un trofeo sulle spalle, lo schiaccerà fino ad opprimerlo. Il suo è uno straziante bisogno di essere amato, di riappropiarsi di quel microcosmo che lo faceva sentire vivo. E difficilmente riuscirete a dimenticare gli occhi del Canaro, una maschera che sembra rubata da un film di Pasolini. Straziante.

venerdì 20 aprile 2018

L'ordine delle cose di Andrea Segre. 2017

Un funzionario ministeriale e la questione libica degli sbarchi di migranti, provenienti dalle coste del territorio nord africano, con tutte le attività politico-diplomatiche con le quali il nostro governo sta cercando di convincere le autorità della Libia a collaborare per arrestare il flusso di persone che ogni giorno si imbarca in direzione del nostro paese. Con l'aggiunta della complicità di chi lucra sul traffico illegale di vite umane nel Mediterraneo. Più denaro europeo ai libici per migliorare l’accoglienza e ampliare la ricettività, frenare il loro stesso affarismo nel traffico di disperati, bloccare gli imbarchi già nelle loro acque territoriali riportando indietro i migranti. In uno status di accoglienza da leggersi però come detenzione.
Corrado bada all'"ordine delle cose" però: piega perfettamente le camicie sul letto,colleziona ampolle con la sabbia delle spiagge visitate nel mondo. Perchè lui sa come difendersi e quando attaccare, ha praticato la scherma in dimensione olimpionica. Poi però incrocia Swada, una giovane somala cui là dentro le guardie hanno ammazzato il fratello, che lo scongiura di aiutarla a raggiungere il marito in Finlandia. Tentenna, ma poi non cambia le cose. Quello che rimane, nella fissità di un breve piano sequenza è l’indifferenza, il cinismo e i nostri occhi volontariamente chiusi. Poca poesia, molta realtà

giovedì 22 marzo 2018

Maria Maddalena di Garth Davis. 2018

Maria Maddalena è uno dei personaggi ancora più discussi, di quelli su cui si pensa di saper tutto, quella su cui tantissimo si è detto. E non sempre a ragione. Poi la Pasqua si avvicina e, come ogni anno, sentiremo il suo nome durante i brani della Passione. Come voi, di lei so poco, ma da questa sera ho una certezza, tutte le volte che penserò a lei, penserò a Rooney Mara Daily perchè la incarna in maniera esemplare, con il suo corpo esile, i suoi occhi intensi che dicono "No" ad una convenzionale vita terrena per dirigersi verso il profondo, l’essenziale, la verità cristiana. Maria Maddalena rifiuta il matrimonio combinato dalla sua famiglia, contrae mani e polsi durante la festa di fidanzamento, senza capire ancora perfettamente quello che desidera. Fu proprio questo suo spirito indipendente e la confusione evangelica con altre Maria fecero pensare a San Leone Magno che si trattasse di una prostituta. Oggi l'immagine di questa donna così importante nella vita del Cristo è stata ampliamente rivalutata, non solo dalla chiesa ma anche dalla storia che ne vede una femminista ante litteram, capace di ribellarsi ai ruoli precostituiti, ed intraprendere un cammino di conoscenza religiosa, intimistica e psicologica.
Joaquin Phoenix è bellissimo anche in sovrappeso, ma sembra in realtà più un barbone ubriaco, abituati come siamo alla bellezza perfetta del Gesù di Zeffirelli. Qui Gesù ha la pancetta, è cupo, poco rassicurante e solitario, ha un'insicurezza disarmante e affascinante, vera. Che la religione ad oggi non possa essere raccontata al cinema aderendo alle dottrine istituzionali è quasi un dato di fatto, animismo spiritualista, moderno. Questo ci troveremo. Con Maria Maddalena che irride quasi i discepoli, boccaloni illusi che credono al regno dei cieli come un grande effetto speciale che deve materializzarsi da un momento all’altro pronunciando le parole magiche. Ci piace anche Pietro che ha la pelle scurissima. Se c'è qualcosa da ribaltare, insomma, questo film lo fa. E se a Pasqua dobbiamo davvero rinascere, va bene così.

martedì 3 ottobre 2017

La verità sta in cielo di Roberto Faenza.2016

La verità è raramente pura e non è mai semplice
Era il 22 giugno 1983. Io sarei nata tre giorni dopo, il nome di Emanuela Orlandi ha accompagnato tutta la mia infanzia e giovinezza. E poi ricordo l'intervista di Chi l'ha visto a Sabrina Minardi, l'amante di Renatino in maniera chiara e distinta. Tanto basta per farvi capire quanto io sia appassionata a questa storia. De Pedis è interpretato da Scamarcio: dandy attento a se stesso, alla bella vita senza mai perdere di vista gli affari. L’attore pugliese si cala bene nella parte. I debiti della Chiesa con la Banda della Magliana sono il motore da cui parte e sulla base del quale finisce questa triste vicenda. Sono la massima rappresentazione di quanto il potere, che sia esso politico, mafioso o, peggio ancora, religioso, debba essere coperto e debba rimanere ‘pulito’, illeso, venerato fino all’ultimo. A costo di sacrificare qualche anima. A costo di occultare la verità, la verità sta nella bocca di chi non si vuole sentire. Nelle convinzioni di chi non può avere credito perché tossico. E i tossici, si sa, mentono sempre. Che se mentono per fotterti i soldi e comprarsi la roba, è chiaro che, poi, mentano su tutto. Un po’ come quelli che accolgono le tue confessioni per assolverti. Per comprarsi la tua fiducia e fotterti. Degno di nota: il culo di Greta Scarano.

lunedì 2 ottobre 2017

Il cuore grande delle donne di Pupi Avati. 2011

Anni ‘30, nell'Italia contadina che osserva ancora con ammirazione il Duce al potere. Nel cuore dell'Emilia Romagna, terra natale del regista, la famiglia dei Vigetti ha tre figli: il piccolo Edo, la formosa Sultana a cui da nove anni non viene più il ciclo e Carlino dall'alito di Biancospino. La famiglia Osti è, invece, quella ricca. Carlino si innamora di Francesca, una Ramazzotti imbarazzante che recita con uno spiccato accento romano.
Non si capisce esattamente cosa Avati voglia raccontare: la semplicità della gente di campagna estranea ai grandi eventi storici che in quel periodo hanno segnato il nostro paese? La forza dell'amore capace di guardare oltre le imperfezioni degli uomini? Questo film non lascia nulla.

martedì 26 settembre 2017

L'ultima ruota del carro di Giovanni Veronesi. 2013

Quando Veronesi ha deciso di abbandonare i film commerciali di DeLaurentis ha fatto la scelta giusta.In "L'ultima ruota del carro" si è affidato alla Fandango di Domenico Procacci, il più delle volte sinonimo di qualità, e alla Warner Bros, non solo in ambito distributivo ma anche partner produttivo. Il prodotto risulta, a mio avviso, troppo "televisivo", alto, ma pur sempre televisivo. La storia è quella del suo autista: Ernesto, nel cuore di una Roma santa e un po' puttana, politicamente corrotta e calcisticamente esaltata dalle prodezze sulla fascia di Bruno Conti.
Affidatosi alle verità sviscerate dal 'vero' Ernesto, Veronesi ha provato a ripercorrere un pezzo di storia recente del nostro Paese: dai brigatisti anni 70 devastati dal ritrovamento di Aldo Moro passando per il mondiale del 1982, la Tangentopoli di inizio anni 90 e la discesa in campo del Cavaliere nel 1994 con Forza Italia, fino agli anni della crisi di questi giorni. Ok, la storia è banale, ma è tutto molto semplice e umano. E a volte, va bene così.

domenica 24 settembre 2017

Magnifica presenza di Ferzan Ozpetek. 2012

"Non so essere gay, figurati se riesco ad essere eterosessuale!".
Una ghost story ambientata a Monteverde Vecchio. Pietro acquista una casa per andare a vivere da solo, ma in realtà l'abitazione è infestata da strane presenze: una compagnia di attori anni 40. La compagnia faceva parte della Resistenza e compiva azioni di spionaggio. Pirandello (i sei personaggi in cerca di autore) e Anna Frank. Ho spesso pensato a loro. Imbarazzante la sartoria-harem di trans capeggiata da Platinette al maschile. Il gay protagonista c'è. Ovviamente. Ma questa volta è pazzo, sfigato, solo e anche un po'imbecille. La sua natura omosessuale non influisce minimamente sulla vicenda, sarebbe anche potuto essere etero. Così come la sua passione per i dolci. Del tutto inutile all'interno della trama Ho sentito la paura del regista. L'orrore per la solitudine e la morte, le ho sentite tanto perchè anche io, soprattutto in autunno, le sento riaffiorare.

lunedì 18 settembre 2017

La nostra vita di Daniele Luchetti. 2009

"all'Italia e agli italiani che fanno di tutto per rendere l'Italia un paese migliore, nonostante la loro classe dirigente".Me le ricordo nitidamente le parole di Elio Germano alla premiazione. Questa è la storia di una tragedia familiare, tra solitudini e precariato. Quella di Claudio ed Elena, una storia fatta di grande complicità e sensualità. con cura 'pesano' i prezzi dei mobili di Ikea, in modo da riuscire a far tornare i conti mensili, e si circondano di amici e parenti che rendono il tutto una grande, proletaria e felice famiglia 'allargata'. Tra le note di Vasco Rossi, simbolo di una generazione adolescenziale e post-adolescenziale con mille problemi, si grida tutta la propria rabbia e si inneggia a una nuova rinascita. La vita continua. Soprattutto per i figli che dovranno lottare su questo mondo senza l'appoggio di una figura materna.
può una vita improntata sulla mondanità, sull'inganno, sul materialismo, riuscire a sostenere la perdita di una persona cara? Si può barattare ciò che è stato perso con la smania, d'oggi in poi, di ottenere tutto e subito dalla vita? (la stessa smania con cui Claudio attende impaziente il refrain della canzone di Vasco per poterla scagliare con veemenza contro il mondo). A rispondergli un adolescente rumeno, anche lui vittima dello stesso dolore per aver perduto una persona cara. Attuale, emozionante e bellissimo.

martedì 29 agosto 2017

La sedia della felicità di Carlo Mazzacurati. 2014

L'intellettuale e colto Carlo Mazzacurati ci manca molto. E dopo un mese di vacanze estive, torno ad aggiornare il blog con il suo ultimo film.
c'è un tesoro, accuratamente nascosto nell'imbottitura di un'orrenda sedia zebrata dalla galeotta madre di un celebre bandito , la morente Katia Ricciarelli. La vecchia signora, infatti, non gode di buona salute e infatti spira in carcere, con le unghie smaltate a mezzo e tra le braccia di un'estetista, non senza averle rivelato in punto di morte l'insolita ubicazione del malloppo. Inutile dire quanto il bottino farebbe comodo alla donzella, vessata com'è dalle pressanti richieste di un buzzurro creditore, interpretato dal mitico Natalino Balasso, a capo di una squadra di pignoramento rumena e sempre sul piede di guerra - "Bucarest 1, irruzione!" Peccato che un'asta giudiziaria abbia disperso per il Veneto i beni della defunta, costringendo l'intraprendente estetista, soccorsa dallo spelacchiato tatuatore del negozio di fronte, cui l'umanesimo sincero e sottilmente comico di Valerio Mastandrea dona straordinaria autenticità, a una vera e propria caccia al tesoro on the road, complicata dall'irrompere in scena di un insolito pretaccio interpretato da Giuseppe Battiston, dai nobili ideali (forse), ma dalle ambizioni più che terrene.la felicità forse non si nasconde in uno scrigno colmo di gioielli: più probabilmente sta negli affetti, nella solidarietà, nell’amicizia, nell’amore. Possiamo passare dai capodogli dell'Oceano agli orsi delle Dolomiti e trovarla improvvisamente nel silenzio più vicino al cielo,avere fiducia nella vita proprio mentre la sua se ne sta andando. Radici russe per una fiaba veneta che mette a valore la sua ironia, la sua voglia di allegria, il suo colto umorismo. Restituendoci l’aria più pulita del nordest ci suggerisce che se esiste un Paradiso degli Orsi è lì che, se vorremo, potremo andare a trovarlo.

mercoledì 14 giugno 2017

Perduto amor di Franco Battiato

"mi piacciono le scelte radicali, la morte consapevole che si autoimpose Socrate, e la scomparsa misteriosa ed unica di Majorana, la vita cinica ed interessante di Landolfi, opposto ma vicino a un monaco birmano, e la misantropia celeste in Benedetti Michelangeli "
sprazzi di poesia, citazioni colte, momenti di (voluta?) ingenuità. appagante, la sensazione di aver ascoltato/visto qualcosa di personale, valido e genuinamente “artistico”.Con la scusa di raccontare l'infanzia siciliana di Ettore, a metà tra gli anni Cinquanta e Sessanta, i rapporti con la madre (la sorprendente Donatella Finocchiaro), donna di grande fascino poco amata da un marito distratto e fedifrago e a seguire la sua adolescenza fino a giungere nella Milano del boom economico, per distaccarsi dall'adorata Sicilia e iniziare un percorso di conoscenza di se stesso e della sua vocazione di scrittore, in buona sostanza, Battiato ci parla delle cose che interessano l'artista-persona: il mare, la musica, la filosofia, gli studi esoterici, la religione

martedì 25 aprile 2017

Nessuno si salva da solo di Sergio Castellitto. 2015

Una ex coppia s'incontra in un ristorante radical chic della Capitale per organizzare le vacanze dei figli. Su quel tavolo c’è il corpo stesso del loro amore, di ciò che resta, di ciò che rimpiangono. Il racconto della cena verrà interrotto e nutrito dai flash back del loro passato, quando si sono conosciuti e amati, il coro dei loro amici, quella generazione cresciuta tra “la caduta del muro di Berlino e l’11 settembre” e per tutta la sera, durante quella micidiale cena, proveranno a capire perché non ce l’hanno fatta a stare insieme, a rispettarsi, a crederci.
Sono lontani e soli e ci vuole qualcuno che sta morendo per convincerli che “soli si muore, insieme ci si salva”, perché nessuno si salva da solo.

venerdì 3 marzo 2017

Beata ignoranza di Massimiliano Bruno. 2017

L'ennesimo film contro i social network, solo molto più noioso. Storia banale, priva sia di tempi comici apprezzabili, sia di stratagemmi per creare una forte empatia con il pubblico. Non diverte, non emoziona, insomma una barca che fa acqua da tutte le parti dalla quale non si salvano neanche gli interpreti i quali, pur bravi e talentuosi, non riescono a dar consistenza ai loro ruoli e offrono prestazioni anonime e deludenti. Ok, siamo facebookdipendenti. E allora?
Beata Ignoranza, in conclusione, rappresenta un enorme e significativo passo indietro per Massimiliano Bruno. Non andate a vedere questo film.

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