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domenica 3 febbraio 2019

The lobster di Yorgos Lanthimos. 2015

Non un è mondo fantastico, piuttosto un universo kafkiano, dove non è la realtà ad essere assurda, ma è l’assurdo che diviene reale. Nella società di The lobster la solitudine non è ammessa, per una strana legge, infatti, chi è single viene arrestato: le persone che non amano vengono condotte in un albergo, dove hanno qualche settimana per poter trovare l'anima gemella e tornare nel mondo, se questo non avviene verranno trasformati in un animale a loro scelta. Colin Farrel sceglie l'aragosta (the lobster) perchè è fertile e sopravvive al secolo di vita."Bene - gli viene risposto - di norma tutti pensano ai cani, ed è per questo che ce ne sono così tanti. Pochi pensano agli animali esotici, ed è per questo che rischiano l'estinzione".
Una voce over racconta il banale, ciò che già va in scena e non ha bisogno di essere riproposto, ma copre l'essenziale, anticipa gli eventi, li segue, vi si sovrappone. Non vi sono ammesse vie di mezzo: sei eterosessuale o omosessuale, solo o in coppia, perchè - sembra suggerire il regista- in una società commerciale e normativa come la nostra definire bene le categorie è assolutamente necessario, schedare gli altri, renderli prodotti. Non esiste il vero amore, non esiste il vero affetto, i sentimenti sono ricondotti all’avere cose in comune ed esserne razionalmente consapevoli. Tutti i personaggi di Lanthimos sono noncuranti, privi di personalità e slanci di vita, espropriati del più minimo barlume di intelligenza, semplici automi, individualisti, completamente anaffettivi: c’è chi prova a sedurre puntando esclusivamente sull’abilità sessuale, chi rinuncia ad accoppiarsi perché non ha mai trovato un compagno con i capelli belli come i suoi, c’è chi simula lo stesso disturbo fisico per fare colpo sulla futura partner. David allora fugge e si rifugia fra i “solitari”, ribelli al sistema che rifiutano l’accoppiamento, si impongono anzi di non avere legami. Vivono nel bosco circostante l’albergo come guerriglieri. Ma se diverso è il credo, altrettanto rigide e castranti sono le regole. E il protagonista sceglie, contro ogni regola, in cambio di un prezzo altissimo, l’amore, unico mezzo per giungere alla libertà. La conclusione - in pieno stile Lanthimos- sarà nichilista: scegliere il cuore, anteporlo alla ragione, porterà inevitabilmente ad un mondo senza luce.

mercoledì 8 luglio 2015

Under the Skin di Jonathan Glazer. 2013

"Will You Come With Me?"
Jonathan Glazer è un nome di tutto rispetto: a lui associo i videoclip dei Massive Attack, Radiohead. Under the skin richiama moltissimo, infatti, l'atmosfeta onirica, ipnotica di Karma Police, ambientando la pellicola nelle cupe e fredde atmosfere scozzesi, fatte di cieli plumbei, mari in burrasca che inghiottono suicidi disperati e spiagge deserte dove bambini abbandonati piangono nell'indifferenza della solitudine. Un motociclista misterioso recupera il corpo esanime di una donna ai lati di una strada. Trascina quello che sembra un cadavere sul cassone di un camion dove, un'entità aliena si appropria di quel corpo letteralmente indossandolo. E in questa nuova veste la "donna", viaggiando per la Scozia col suo camiocino adesca uomini soli, preferibilmente senza affetti familiari e complicazioni varie, e li fa scomparire. Campi lunghi, inquadrature fisse e liqudo nero che inghiotte le vittime poco prima dell'amplesso. il suo scopo è proprio questo: accalappiare uomini con l’arma della seduzione, lei mantide di chissà quali galassie, opera in un microcosmo in cui agisce senza comprendere. Non sa provare pietà, empatia, non sente nulla. Finchè un giorno non comincia a prendere consapevolezza del suo corpo, lo scruta allo specchio e sceglie di farsi preda per sentirlo. Perchè come gli alieni di District 9, anche lei si fa strumento per osservare noi stessi, per misurare il grado di (dis)umanità della nostra specie. Gelido, cattivo, quasi entomologico, incorniciato da un’ambientazione perfetta e una interpretazione della Johansson a grado zero. Un esperimento visivo straniante, grazie anche all'affascinante colonna sonora di Mica Levi

giovedì 3 ottobre 2013

Non lasciarmi di Mark Romanek. 2010

"Non c'è parola, in nessun linguaggio umano, capace di consolare le cavie che non sanno il perchè della loro morte" (dall'incipit della "Storia" di Elsa Morante, citando a sua volta la testimonianza di un sopravissuto di Hiroschima)
Campagne inglesi autunnali e un romanzo: "Non lasciarmi" di Kazuo Ishiguro. Con voce narrante l' assistente Kathy H.. Un'atmosfera sospesa, irreale e annebbiata. Poi tutto man mano prende significato e forma sia nel film, sia addentrandovi nei capitoli di questo bellissimo romanzo. Chi sono questi donatori? Cosa donano? Un lungo flash-back: bambini in fila che giocano, studiano. Tutto ha una precisione geometrica, soprattutto gli edifici: quello di Hailsham fino ai Cottage e ai centri di completamento, architetture tutte uguali e spersonalizzanti. Tre bambini crescono e vanno verso un destino disumano: la libera clonazione sembra far passi da gigante in campo medico, ma a discapito di chi? Perchè i protagonisti non si oppongono? Perchè non scappano, perchè accettano questa "missione" così pacificamente? In fondo anche noi "normali" accettiamo il nostro destino crudele che ci porta a morire un giorno; quindi - come la protagonista suggerisce nella chiosa- forse le loro vite non sono poi così diverse dalle persone che salvano. Nessuno capisce fino in fondo cosa ha passato e ciascuno crede di non aver avuto abbastanza tempo. Eppure, è già tempo di morire. E le preghiere non servono. Come non servirà il appello ad una proroga. Era una bufala. Ed io questo l'avevo compreso sia nel film, sia nella vita. Per questo mi burlo di lei e cerco di godermela ogni istante. Ho percepito, da subito, questo film come una sentita metafora della vita, noi siamo le cavie, e dalla morte non si scappa, si urla - come uno dei protagonisti- ma poi si accetta. Possiamo solo sognare ed immaginare, sperare che oggi non sia il nostro turno, "ma non voglio che la fantasia prenda il sopravvento". Anche io voglio rimanere lucida. Devastante la conclusione. Ma tutto raffinatissimo.

martedì 2 luglio 2013

Melancholia di Lars Von Trier. 2011

La Terra è corrotta non c’è alcun bisogno di affliggersi per lei nessuno ne sentirà la mancanza.
Justine si sta sposando. Claire (Charlotte Gainsbourg), sorella della sposa, ha organizzato la festa di nozze nella sua tenuta, il marito è ricchissimo. Rancori. malumori. La sposa si allontana spesso, fugge. qualcosa non va. Lo sposo capisce e toglie il disturbo. Ha inizio la seconda parte: Justine è in uno stato di profonda depressione. Un pianeta chiamato "Melancholia" si dirige velocemente verso la Terra. Film realistico al punto da ferire, far male, Justine veicola il messaggio principale, lei che ormai si distacca completamente e suggerisce: il nostro è un mondo maligno che merita il suo destino. Lo spettro della fine del mondo diventa la metafora della patologia, la depressione, che toglie gioia di vivere, ti fa pensare che il mondo meriti la fine, perchè cattivo, vuoto, senza senso. Melanacholia è smisuratamente più grande della Terra, emana una luce blu, con la quale Justine di notte fa l'amore. Justine è in connessione con la Natura, infatti, a differenza di Claire, non teme la fine, il male, lo accetta. Eppure Claire è sposata con uno scienziato, un uomo inutile vigliacco, che muore da solo. Quando Von Trier contesta così tanto la borghesia malata, qui rapresentata da Claire e il marito, forti solo dei loro possedimenti materiali e attenti alla forma: organizzano un banchetto di nozze sfarzoso e si preoccupano di fare bella figura, mi ricorda Bunuel. Film perfetto.

mercoledì 13 giugno 2012

Fahrenheit 451 di Francois Truffaut. 1966

Dai retta a me, Montag: non c'è niente lì. I libri non hanno niente da dire. Guarda: queste sono opere di fantasia, e parlano di gente che non è mai esistita. I pazzi che li leggono diventano insoddisfatti, cominciano a desiderare di vivere in modi diversi il che non è mai possibile. [...] I romanzi non sono la vita. Che cosa speravi di ricavare da tutte queste parole stampate? La felicità? Che idiota devi essere stato! Questa immondizia può far diventare pazzo un uomo. Credevi di poter imparare sui libri il segreto per camminare sull'acqua, vero? Montag, devi imparare a pensare un po'! Tutti questi scritti, tutte queste ricette di felicità, sono in disaccordo tra loro. Quindi lasciamo pure bruciare questo mucchio di contraddizioni: siamo noi che in questo momento lavoriamo per la felicità dell'uomo. Ray Bradbury ci ha lasciato. Si, proprio lui, lo scrittore fantascientifico degli anni Cinquanta, più di tutti affine all'arte del cinema, sia attraverso la trasposizione diretta di qualche sua opera sia per la sua personale collaborazione alla ste­sura di pellicole. Fahrenheit 451 di Francois Truffaut nasce per merito suo. Eppure questo piccolo gioiellino alla Mostra Cinematografica di Venezia nel 1966 non era piaciuto per niente ai critici, troppo intelelttuali avevano bocciato il genere fantascientifico definendolo sciocco e fumettistico. E Stanley Kubrick allora?! Gli eventi sono trasportati in là nel tempo SOLO per poter meglio raccontare il presente. Infatti:quanto con questo film Truffant è riuscito ad essere profetico? Quello che infatti sta a cuore a Truffaut non è raccontare una storia fantasiosa sul nostro futuro, ma denunciare lo stupro che la società moderna compie nei confronti della cultura. Noi gente del 2000 che ogni sera viviamo di fronte "alla grande famiglia" delle soap o peggio del Grande Fratello, come fa Linda. Fahrenheit 451 (la tabella dice = 232,78 ° Celsius) è la temperatura media a cui bruciano i libri. I mariti sono assenti, le mogli non lavorano e si riuniscono per passare i pomeriggi insieme, davanti a mega schermi da parete. In un’epoca in cui la TV era una scatola che trasmetteva in bianco e nero, Ray sa già bene cosa siano gli schermi a plasma. Montag rompe gli schemi: giorno dopo giorno, incendio dopo incendio, comincia ad essere affascinato dai libri che brucia. Li nasconde, li legge, inizialmente con fatica per poi ingegnarsi in un piano che non riuscirà mai a portare a termine: nascondere libri in casa di ogni pompiere, per farli arrestare tutti. Senza incendiari, nessuno potrà più distruggere il sapere. “Devo mettermi in pari con i ricordi del passato” così dice Montag alla moglie: è il futuro ad essere indietro, a dover accelerare il passo per raggiungere il passato. E solo i libri possono aiutarci. Numerosissimi, infatti, i primi piani ai libri che vengono ammassati sul pavimento, mentre vengono bagnati con la benzina o mentre bruciano, la loro distruzione è un genocidio. “In ogni libro c’è dietro un uomo”. E voi che libro siete?

giovedì 22 settembre 2011

Super 8 di J.J. Abrams, 2011

Visto il cast ed il trailer, le aspettative per "Super 8" sono grandissime anche perchè è stato annunciato da una campagna promozionale ricca e appassionante che ha incantato il pubblico e gli addetti ai lavori. 
Il film ha avuto un notevole successo negli Stati Uniti e pare che anche qui in Italia abbia molti riscontri positivi.
A dirigere il film c'è J.J. Abrams, il creatore di Lost e Alias e Fringe, una delle 100 persone di Hollywood che devi assolutamente conoscere, secondo People.
Produttore invece è Steven Spielberg, che non ha bisogno certo di presentazioni.
L'ambientanzione è fine anni 70 nell'Ohio. Il film parte con un funerale di una donna, morta in un incidente nella locale fabbrica.

lunedì 5 settembre 2011

Stalker di Andrej Tarkovskij. 1979

Tu sei re.
Vivi solo.

Scegli liberamente la strada
e va dove ti conduce il tuo libero ingegno,
perfezionando i frutti dei tuoi diletti pensieri,
senza chiedere premi per la tua nobile impresa.

Essi sono dentro di te. Tu stesso sei il tuo giudice supremo: tu sai giudicare, più severamente di ogni altro, la tua opera.

Ne sei contento, o giudice esigente?


Uno "Stalker" è un esploratore e questo film ne è la sua storia. Un esploratore abbandona moglie e figlia e si unisce ad uno scienziato e ad uno scrittore per scoprire un paese lontano e proibito, quella che da subito e ossessivamente chiameranno "la zona", una stanza misteriosa, dove pare si esaudiscano tutti i desideri umani più reconditi.
Difficile parlare di questo film, difficile catalogarlo, perchè saranno i dialoghi a rapirvi. Non c'è azione, i personaggi sono spesso inermi, sdraiati, in silenzio, in ascolto. Un film che potete guardare anche ad occhi chiusi (senza addormentarvi però), ma la troppa radice "intellettuale" disturba, perchè c'è solo quella. Una guerra che nessuno vede, ma che solo l'artista, l'intellettuale, con la sua sensibilità, lungimiranza vede e combatte. Poi quando finalmente (dopo due luuunghe ore) si arriva nella Zona, c'è una grande scacchiera, ci sono i dadi e c’è un percorso.
Lo stalker sposato e padre di una bambina senza l’uso delle gambe, si incontra in un tetro bar con due clienti, uno scrittore etilista che ha perso l’ispirazione e uno scienziato tutto pieno di certezze. La loro meta è il cuore della Zona, la Stanza dove vengono realizzati i desideri. Se lo scienziato camminerà sui binari arrugginiti del razionalismo più piatto, lo scrittore s’interrogherà tra desiderio e avversione per la Stanza:“Supponiamo pure che io entri in quella stanza, divento un genio e ritorno nelle nostre città dimenticate da Dio. Ma l’uomo scrive soltanto perché si tormenta, perché dubita e perché deve continuamente dimostrare a se stesso e agli altri che davvero vale qualcosa. Ma se sapessi con certezza di essere un genio, perché dovrei continuare a scrivere? Me lo sa dire perché?”
L'incarnazione dell’idiota dostoevskijano, la cui “santità” risiede nell'essere fedele fino alla disponibilità nei confronti degli altri, si riflette nella figura dello Stalker che personifica la preghiera, la fede, la credenza sulla parte recondita e spirituale dell’uomo. La mancanza di fede da parte del fisico e dello scrittore manderà in crisi il compito dello Stalker: “Ma gente così può credere a qualcosa? Nessuno crede più, non soltanto quei due. Chi posso portare là? Oh Signore! E la cosa peggiore è che non serve a nessuno. A nessuno serve quella stanza e tutti i miei sforzi sono inutili”.
La debolezza apparente che anima lo Stalker è in realtà concepita da Tarkovskij come una virtù: perchè non spinge mai a voler sottomettere l’altro e ad utilizzarlo per la realizzazione dei propri intenti. Non a caso, la debolezza sarà palesata durante il film con i versi originariamente tratti dal Tao tê ching di Lao Tzu: “Quando nasce, l’uomo è tenero e debole; quando muore, è duro e rigido (forte). I diecimila esseri, piante e alberi, durante la vita sono teneri e fragili; quando muoiono, sono secchi e appassiti. Perché ciò che è duro e rigido (forte) è servo della morte; ciò che è tenero e debole è servo della vita.
Armatevi di pazienza, tutto qui è lasciato al libero arbitrio e alla vostra immaginazione, cos'è la zona? Forse un posto governato da misteriose energie aliene,un luogo "neutro", esterno alla vita ordinaria, al contesto sociale che circonda la vita di ciascun uomo in cui occorre con la meditazione saperci arrivare?
La "Zona" cambia continuamente, si evolve, si modifica negli elementi naturali che la compongono (compresi gli eventi atmosferici) perché rispecchia i moti dell'animo di chi vi si addentra. E smaschera i suoi fantasmi, le sue angosce. Potrebbe essere una trasposizione della seduta di una psicanalisi, dove si vede riflessa la propria interiorità e ne si subiscono gli effetti.
La Guida, l'Arte e la Scienza ad accompagnarci in questo viaggio quasi dantesco dei regni celesti prosegue con metafisica lentezza, al limite del ralenty e di silenzi lunghissimi, per scoprire il proprio inconscio, le proprie paure. Un cammino spirituale contrastato dagli scetticismi della Scienza (il professore di Fisica vuole spesso interrompere questo cammino)fino alla fanciullesca stanza dei Desideri, quella dei giochi, fatta di ceste piene di giocattoli da versare e lasciar ciondolare e rotolare per tutto il pavimento.
Quando si arriva alla Stanza, dopo essere sopravvissuti ai cambiamenti e alle trappole della "Zona" del proprio animo, si dovrebbe essere pronti a varcare la sua porta e a mostrarsi per quello che si è. Una sorta di giudizio universale, è Dio che si dovrebbe incontrare? Tarkovskij del resto era un ortodosso e la Stanza, si dice spesso nel film, renderà giustizia e punirà gli esseri avidi, corrotti, meschini.
"La 'Zona' lascia passare soprattutto gli infelici, coloro che non hanno nulla e il cui cuore è perciò rimasto puro, quelli che hanno fede, che non hanno smesso di sperare, quelli che credono in qualcosa:"La rigidezza e la stabilità, nella loro ottusità, sono compagne della morte, mentre la debolezza e la fragilità esprimono la freschezza dell'esistenza."
Forte l'insistenza sui primi piani dei protagonisti che parlano, talvolta interpellando direttamente lo spettatore con lo sguardo, inquietandoti, spesso ho avuto l'impressione che parlassero direttamente con me (!!!).
Molti gli oggetti sparpagliati alla rinfusa in varie parti della "Zona" alla Giorgio De Chirico.
Insomma vi consiglio questo film solo se siete indenni all'angoscia, perchè ipnotizza e distorce l'animo soprattutto per via delle sonorità vibranti dei dialoghi. Ma un gran bel film.

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