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giovedì 21 febbraio 2019

La paranza dei bambini di Claudio Giovannesi. 2019

Orso d'argento per la miglior sceneggiatura al Festival di Berlino. Rione Sanità a Napoli, una gang di quindicenni vuole entrare nei locali esclusivi, comprare vestiti firmati e motorini nuovi, ma soprattutto liberare i propri cari e se stessi dai capi camorra che controllano i diversi quartieri. Solo a quindici anni si può avere l’illusione di portare giustizia nel quartiere inseguondo il bene attraverso il male. E mentre corrono in scooter alla conquista del potere si innamorano, vivono amicizie fraterne, sgranocchiano crostatine, giocano alla playstation. Non si parla di politica, ma di sopravvivenza quotidiana,di adolescenti senza futuro, costretti a sopportare la vista di genitori che pagano il pizzo per una protezione costruita ad arte da una malavita che ti avvolge come un rampicante invasivo e soffocante. Regista e sceneggiatori vogliono raccontare di come la camorra sia tornata a chiedere il pizzo ovunque, denunciare l'utilizzo spropositato di cocaina con le scuole pressoché inesistenti. La dimensione in cui si gioca il fim non è uno spazio temporale, geografico, fisico, è una condizione.Napoli, da particolare, si fa generale: diventa una regola, un modo di vivere universale a determinate condizioni, un’equazione mortale. Il finale chiude improvvisamente una storia che ancora non è finita, perchè la vicenda di Nicola (protagonsta capo del clan di ragazzini) non conosce vie d’uscita. Non vedo nè pessimismo, nè retorica in Saviano. Mai. Vedo piuttosto l'abilità di chi sa cogliere e raccontare lo smarrimentodi chi vive tra una società in continuo mutamento e in quartier difficili in cui il sistema mafioso è impossibile da arginare. Con un'educazione criminale, ma anche profondamente sentimentale. Urgenza di denuncia, passione nel raccontare. Roberto Saviano è un grande giornalista. Nei suoi libri il suo talento nella scrittura da reportage si vede tutto. Che vi piaccia o meno come individuo, siete dei folli se non riconoscete il suo valore professionale. A differenza dei protagonisti di Gomorra questi ragazzini non sono nati in famiglie camorriste. Saviano denuncia un vuoto di cultura. Qualcuno può forse dargli torto?

sabato 21 ottobre 2017

Drive di Nicolas Winding Refn. 2011

Nonostante il titolo tragga in inganno le corse e le rapine sono la parte minore in Drive, che racconta di un uomo doppio, che di giorno fa la controfigura per le scene di auto nei film e di notte è un autista freelance per rapinatori. Si innamora della donna sbagliata per la quale farà tutta una serie di cose sbagliate. Uno virile scemo o ingenuo (non ho ben capito) che parla pochissimo e che utilizza come unico linguaggio la forza e la determinazione, ma che lo ingoierà in una spirale senza via di uscita. Cos'ha di unico questa pellicola? Le immagini. Dopo una delle tante sparatorie presenti, nel motel in cui si rifugia il protagonista compare sporco di sangue e poi riscompare nel buio. Inquadrature perfette, riprese dinamiche che proiettano emotivamente lo spettatore dentro la storia e lo deliziano con angolazioni che vanno a creare sorprendenti composizioni visive e con altri brillanti movimenti di macchina.
L'equilibrio tra violenza e sentimenti è perfetto: dolcezza e freddezza, azione ed emozione crea un contrasto dialettico tra Eros e Thanatos, che ha il suo punto d'arrivo nella celeberrima “scena dell’ascensore”, che assume le sembianze di un film nel film. Consiglio la visione di Drive? Sì, ma in un momento di tranquillità. Non è un film frenetico, e neanche pieno d’azione. E’ un film particolare che ha bisogno di attenzione e pazienza. Refn ha decisamente svolto un egregio lavoro, non per niente, ha vinto il premio come “Miglior Regista” al festival di Cannes del 2011 con questo film! Arte vera!

lunedì 11 settembre 2017

Pericle il nero di Stefano Mordini. 2016

"Io sono Pericle Scalzone. Di lavoro faccio il culo alla gente"
Noir. Pericle è lo scagnozzo del boss, a cui si piega e obbedisce non per soldi, ma perchè questo rapporto è l'unico affetto che ha. Colpisce le sue vittime in testa con un sacchetto di plastica riempito di sabbia per intorpidirle, dopodiché, quando sono a terra senza sensi, si abbassa i pantaloni e dà loro una lezione che non potranno mai dimenticare.Come un cane segue gli ordini di quell’uomo che per lui è tutta la sua famiglia, senza curarsi se sia giusto o sbagliato, anche se a volte ha degli scatti nel cervello e ha paura di fare una pazzia.Tra sodomie punitive e violenze ai danni delle povere vittime, il giovane orfano che lavora per il boss don Luigi, capisce che l'unico modo per trovare la pace con sé stesso è una semplice bottiglietta d'acqua allungata da droghe sintetiche. Un elisir da bere tutto d'un fiato per cancellare, anche solo per poche ore, tutte le sofferenze e tutte le inadeguatezze della sua esistenza. A un certo punto sbaglia, ed è costretto all'esilio. Qui ha una storia d’amore con una donna sconosciuta, che risveglia un desiderio di normalità, e questo è il vero cuore del film, la parte migliore. P.S. Scamarcio è bello anche con i capelli sporchi e acconciati a samurai, stupendi i capezzoli come chiodi di Marina Foïs

mercoledì 26 aprile 2017

Neruda di Pablo Larrain. 2016

Pablo Larraín. rampollo di una grande famiglia cilena di destra, coinvolta nel potere anche con Pinochet, non sbaglia un colpo. Le sue sono pellicole intelligenti, di denuncia. "Io sogno lui e lui sogna me”, il perseguitato qui è Pablo Neruda. Il poeta, ospite a una qualche serata di gala, entra in bagno e – mentre piscia – discute con alcuni politici che gli danno del traditore. Li manda a quel paese e con grande serenità esce dalla toilette. ll poliziotto che gli dà la caccia narra la storia: presenta il poeta escludendo di fatto il popolo e la classe operaia. Peluchonneau (il poliziotto) descrive in maniera cristallina le contraddizioni del personaggio che erano le contraddizioni di tutto il partito comunista (e non solo di quello cileno): quando un’attivista del partito chiede a Neruda se dopo la rivoluzione comunista gli uomini saranno tutti come lei “che pulisce la merda dei borghesi dall’età di 11 anni” o tutti come lui “che fa la colazione a letto e l’amore in cucina”, il poeta resta turbato.
L'arte non cambia il mondo - sembra suggerire il regista- ma gli dà senso. Volutamente onirico e irrazionale, fotografia sensuale e allucinata, che restituisce il respiro opprimente della prima Guerra Fredda. Se non l'avete visto, correte, merita una chance.

giovedì 22 dicembre 2016

INLAND EMPIRE - L'impero della mente di David Lynch. 2006

“Supponete di trovarvi in ufficio. Avete duellato o scritto tutto il giorno e siete troppo stanco per continuare a duellare o scrivere. Ve ne rimanete seduto, guardando nel vuoto, intontito, come capita a tutti qualche volta. Una graziosa stenografa che già conoscete entra nella stanza… voi la guardate…apatico. Lei non vi vede, benché le siate molto vicino. Si sfila i guanti, apre la borsetta e vi rovescia il contenuto su un tavolino…' Stahr si alzò, gettando sulla scrivania il mazzo delle chiavi. 'Ha due monetine d'argento, un nichelino… e una scatoletta di svedesi. Lascia il nichelino sul tavolo, rimette le monetine nella borsetta, prende i guanti neri, si avvicina alla stufa, l'apre e vi mette i guanti. Nella scatoletta c'è un solo fiammifero e lei fa per accenderlo inginocchiata accanto alla stufa. Voi notate che la finestra aperta lascia passare una forte corrente d'aria… ma proprio in quel momento suona il telefono. La ragazza prende il ricevitore, dice pronto… ascolta… poi in tono reciso dice - non ho mai posseduto un paio di guanti neri in vita mia - Riattacca, si inginocchia di nuovo accanto alla stufa, e proprio mentre accende il fiammifero voi vi voltate di colpo, e vedete che nell'ufficio c'è un altro uomo…' Stahr tacque. Prese le chiavi e se le mise in tasca. 'Avanti' disse Boxley, sorridendo 'cosa succede adesso?' 'Non lo so' rispose Stahr 'stavo soltanto facendo del cinema.'” Francis Scott Fitzgerald, Gli ultimi fuochi, Milano, Mondadori, 1974 “Il mio film è chiarissimo” David Lynch, 2006
A Inland Empire, un quartiere residenziale alle porte di Los Angeles, una donna è nei guai. C'è un film maledetto, un marito geloso e un amore pericoloso. C'è un mistero che si dipana tra sogno e realtà. Laura Dern si guadagna la parte da protagonista di un film-remake maledetto e mai realizzato, un'agghiacciante famigliola di conigli ad altezza d'uomo, un quadro di Magritte, con squallida gentaglia polacca, un cacciavite trapiantato nello stomaco. Una discesa infernale nelle strade di Hollywood, con balletti e baci alla camera. Ma quanta poesia nei discorsi tra puttane, sulla griglia del barbecue, nelle lacrime amare consumate davanti alla tv e nelle sfrenate passioni amorose, nei banali e terribili dialoghi tra una barbona nera e una tossicodipendente asiatica. E poi il digitale, arma tanto cara ai filmaker indipendenti, scrutatrice di realtà quotidiane in continuo mutamento. Il pianto incessante della ragazza sta tutto nel dramma del tradimento del marito, del senso di colpa per la perdita di un figlio, concepito fuori dal matrimonio. Il tradimento produce perdita di consapevolezza, confusione, avvilimento: una vera e propria involuzione, che passa dalla realtà al sogno, dal film originale al remake. Costruisce quindi un alter ego: l’attrice Nikki Grace, plasmabile e mutevole, come solo le grandi attrici sanno essere, che comincerà un viaggio nelle pieghe del senso di colpa, rivivendo l’adulterio, la morte e l’abiezione della prostituzione, sino a ricongiungersi alla protagonista in un bacio impossibile, attraverso lo schermo. Ah, e se vi chiedete cosa diavolo siano quei conigli antropomorfi che ogni tanto compaiono, la risposta la sapete già, in fondo: quei conigli siamo noi.

venerdì 12 agosto 2016

The Counselor - Il procuratore di Ridley Scott. 2013

“Io amo le donne intelligenti, ma sono un hobby costoso”
A Juarez. desolata località al confine col Messico tra pick-up e moto in preda ad eccessi di velocità, tra le lenzuola del procuratore del titolo di cui non sapremo mai il nome, Michael Fassbender intrecciato alle sinuose curve di Penelope Cruz, le pratica un cunnilingus (invidia pura) Il suo problema principale è però la liquidità e l’impossibilità di mantenere il suo stile da viveur a cui è abituato. L’occasione giusta si presenta sotto forma di un unico, redditizio affare con il Cartello messicano. Il film sembra suggerire che questo tipi di compromessi sono innati negli uomini. Anche l’amore più puro, così come il diamante scevro da imperfezioni, è pura utopia in questo universo immorale e si declina piuttosto in una ossessione per il sesso ampiamente distorta. Memorabile la scena che mi ha eccitata tantissimo: una perfetta controfigura di Cameron Diaz, in tenuta leopardata, usa il parabrezza di una gialla Ferrari, strusciandosi smutandata e depilata di fronte all’attonito Bardem nell’abitacolo.

venerdì 23 ottobre 2015

Prisoners di Denis Villeneuve. 2013

I bambini rapiti da più di una settimana hanno la metà delle probabilità di essere ritrovati e dopo un mese, quasi nessuno di loro viene ritrovato vivo. Perciò perdonami se faccio quello che posso"
Un freddo e nuvoloso Giorno del Ringraziamento in un modesto sobborgo della Pennsylvania due bambini scompaiono nel nulla. Forse quindi le prigioniere del titolo sono loro? O il prigioniero è forse il ragazzo del camper, principale sospettato, che uno dei padri sequestra e tortura fino a che non avrà le risposte che cerca?O forse il prigioniero è proprio il buon padre di famiglia, prigioniero dei suoi istinti e della sua disperazione. I prigionieri siamo tutti, ci suggerisce Denis Villeneuve. Siamo prigionieri del nostro lato oscuro, delle nostre paure e di noi stessi. Nell'ultima inquadratura, un primo piano attonito di Jake Gyllenhaal entra in relazione con un suono proveniente dal fuoricampo, da un anfratto che solo lo spettatore conosce. Un suono articolato per mezzo di uno strumento più volte evocato in precedenza. Può essere la salvezza che lo spettatore, per il gioco identificativo operato, auspica ardentemente. Il detective sente il suono, ma ne percepisce la reale natura? Impeccabile la chiosa. Chapeau.

giovedì 17 ottobre 2013

L'imbalsamatore di Matteo Garrone. 2002

Peppino Profeta è un nano di mezza età che imbalsama animali, con l'aggiunta di qualche "lavoretto sporco" per la camorra, per avere dei soldi per i suoi "vizi", uno in particolare su cui ruota l'intera vicenda del film. Valerio è un ragazzo prestante, pettorali scolpiti, sguardo accattivante. Un po' troppo giovane per i miei gusti, ma da dieci e lode comunque il ragazzo. Peppino gli offre lavoro come aiutante nella sua bottega, insegnandogli tutti i trucchi del mestiere e averlo vicino. Sa come attrarre il ragazzo: stipendio raddoppiato rispetto a quello da cameriere, vita mondana con annesse donne e festini privati. Fino addirittura ad ospitarlo, quando il fratello si lamenta dei suoi orari. Peppino segue un copione per allontanare il ragazzo da parenti e fidanzata. Tutta questa amicizia comincerà a puzzarvi e dopo un po', insieme a Valerio, e forse anche dopo, capirete le reali intenzioni di Peppino. A rompere l'equilibrio la svampita ragazza dalle labbra rifatte, per la quale Valerio prova una forte passione, tanto da convincere Peppino ad ospitarla sotto il loro tetto e scatenando la sua gelosia. Difenderà ad ogni costo il suo pupillo. Mai si capirà se in realtà la relazione tra i due si consumi, nonostante la ragazza di Valerio costantemente lo chieda. Qualcosa vi lascerà presagire che la fine sarà tragica. Esisteva veramente "un nanetto della Stazione Termini", Peppino qui romanza il tutto e con estrema bravura direi, un uomo dai tratti di showman che ben si presta alla personalità richiesta dal personaggio. Tutto è sottotono, ma affascinante e intrigante. Degno di nota l'inconsueto punto di vista del tacchino chiuso in gabbia allo zoo che assiste all'adescaggio di Peppino nei confronti di Valerio, attutito sia nella vista che nell'udito. Geniale. Primi piano improbabili, frequente alzarsi e abbassarsi della telecamera per seguire il nano Peppino e il gigante Valerio, stacchi improvvisi nella ripresa. Dialetto campano. Va verso questa strada il cinema italiano contemporaneo. Improvvisazione, realtà. Mi piace.

mercoledì 8 maggio 2013

Una vita tranquilla di Claudio Cupellini. 2010

"Domani parti, se tutto va bene avrai una vita tranquilla". Malavita napoletana ma con accento tedesco.Un notevole Toni Servillo. La sua vita tranquilla. La sua nuova vita. Fin quando due giovani provenienti dal suo passato la sconvolgono. Due killer. Si, proprio di quelli che sparano, uccidono senza pietà. Non rivelo nulla di eclatante se svelo che uno dei due è ovviamente il figlio di Rosario, lo capirete subito. Smaltimento dei rifiuti made in Naple. Qualcuno deve essere fatto fuori. Rosario è costretto a ricambiare vita. Il fu Rosario comincia quindi verso la fine del film la sua terza esistenza. Magistrale la scena della cena che precede l'omicidio di Rosario, qualcosa di unico, un gioiellino. chapeau.La paternità negata che rende Diego così fragile dona ancora più fascino al suo personaggio. Ansia, dolore, turbamento. Un film che trasmette. Tanto.

domenica 1 gennaio 2012

La Femme d'à côté di François Truffaut, 1981

Né con te, né senza di te

L'anno si è chiuso e questo è l'ultimo film che ho scelto di guardare nel 2011. Il 27 dicembre Depardie ha spento le sue candeline. Qui più biondo e smagrito, vive serenamente con la giovane moglie Arlette e il loro bambino Thomas in una villa sperduta in una campagna francese; tranquillo e felice, fin quando non arrivano i loro nuovi vicini di casa, Philippe, ma soprattutto "la donna" Mathilde. Ben presto si scoprirà che Bernard e Mathilde, in realtà, non sono sconosciuti l'un per l'altra, in passato erano stati amanti. E'davvero così casuale che diventino vicini di casa? La passione si riaccende. E con vigore.
E' questo il penultimo film della carriera di François Truffaut, qui concentrato nel tema dell’amour fou, dell’incontrollabilità della passione amorosa e del potere (auto)distruttivo dell’Eros che danza con Thanathos. Fanny Ardant qui debutta sul grande schermo e all’epoca era la compagna di Truffaut anche nella vita, una passione che bruciava nelle sue vene e che quindi ben conosceva.
L’intera storia del film è raccontata in flashback attraverso la voce narrante di uno dei personaggi chiave della pellicola, madame Jouve, la confidente e proprietaria di un club di tennis, testimone impotente degli eventi riguardanti i due protagonisti. Una voce narrante che però ben conosce l'assoluta dedizione alla persona amata, quella forza prorompetente e autodistruttiva, che preannuncia la tragedia che vivranno i due amanti protagonisti.
Lei dapprima finirà ricoverata in un clinica psichiatrica, poi lo ammazzerà a colpi di pistola e ammazzerà se stessa. Come già Ovidio, Catullo e Marziale avevano scritto, molti secoli fa, il fine si conclude con una chiara sentenza: “Nec sine te nec tecum vivere possum”, un tema conosciuto e abbondante trattato quindi, ma Truffaut evita sia il punto di vista del narratore impersonale, sia il racconto interno ad un protagonista, sceglie di non farci parteggiare per alcuno evitando così di poter non comprendere il dramma che quasi tutti i protagonisti si trovano a vivere per colpa o grazie all'amore: sceglie quindi lo sguardo di Odile. Una sopravvissuta, si è infatti gettata dalla finestra per un amore non natoe anche lei, la narratrice diventa attrice: verrà, infatti, raggiunta dal suo amante d’un tempo che vuole rivederla. Partirà per Parigi per non incontralo, lui non sa del suo folle gesto, ha perso l'uso di una gamba, come giustificarlo?
Inquadrature strettissime, per un'attenzione sempre concentrata sugli sguardi dei protagonisti e su altri oggetti e rumori apparentemente banali che fanno da cornice a questo dramma: si sentono di notte i terribili versi dei gatti: "fanno l’amore come dei selvaggi”. Poetica fino all'eccesso la scena in cui i due amanti si cercano più volte simultaneamente al telefono e ovviamente lo trovano entrambi occupato, metafora dell'incomunicabilità verbale del loro amore, di una felicità irraggiungibile proprio perché cercata troppo razionalmente.
La voce di un medico che stila il loro referto di morte chiude questa storia, raccontandola in maniera asettica, come se non fosse stata la dirompente forza dell'amore ad uccidere, quell'estremo tentativo di avere l'altro per sempre e fermare l'attimo in cui i due erano una sola cosa.Je me retrouve cômme Edith Piaf,Vous savez ?! Rien de rien, je ne regrette rien!

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