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domenica 8 settembre 2019

Martin Eden di Pietro Marcello. 2019

Sconquasso narrativo, fotografia in filigrana e mistificazioni storiche sul il primissimo novecento, il post guerra, gli anni del boom e gli anni ottanta. Basato su un libro noto ma spesso tradito: a cominciare dal raggio d’azione che si sposta dalla California ai vicoli di Napoli, classico nell’impianto ma modernissimo nella realizzazione. Inquadrature veramente efficaci e di rara bellezza. Si apre “ideologicamente” in maniera molto forte: con un filmato di repertorio dell’anarchico Errico Malatesta durante la manifestazione a Savona del 1° maggio 1920 per mettere in risalto le contraddizioni cruciali che hanno accompagnato il secolo scorso: dal ruolo della cultura di massa al rapporto tra individuo e società, tra socialismo e individualismo, fino alla lotta di classe. Martin non è istruito ma vuole arrivare a sapere e conoscere, si innamora di Elena che appartiene ad mondo diverso dal suo: ‘bello e lineare’, di una borghesia pulita. Il successo e il riscatto arriveranno alla fine, ma il tardivo apprezzamento di chi prima lo disprezzava, senza che lui sia cambiato di una virgola, lo farà impazzire di rabbia. Martin ha le spalle larghe e le unghie nere. Appare stralunato, assente, scostante e intenso, incarnando alla perfezione la figura dell'anti-eroe, con la passione per la scrittura quale mezzo di riscatto personale e veicolo necessario per comunicare lo stato d’animo di angoscia esistenziale e denuncia sociale.
Martin Eden, il marinaio che non sa pronunciare il nome di Baudelaire, ma che finirà per tenere lezioni nelle più importanti università incarna il prototipo dell’uomo umile che si eleva dal suo rango con dedizione e resistenza, purconservando un malessere vitale che spesso sfocerà nella delusione e nell' auto-distruzione. E se anche il film non dovesse convincervi gli occhi di Luca Marinelli valgono da soli il prezzo del biglietto!

sabato 29 dicembre 2018

Capri-Revolution di Mario Martone. 2018

Una comune di artisti e giovani -capitanata da un guru bello, biondo e americano che sembra Jesus Christ Superstar- vive tra le montagne di Capri all’alba della prima guerra mondiale. Una pastorella del posto entra in contatto con il sopracitato guru vegetariano/utopista/ecologista/nudista/spiritualista orientale e finisce per scoprire se stessa in quanto donna non più soggetta ai padroni maschi di casa (i due fratelli maggiori) L’aspetto più interessante di Capri-Revolution è il legame con Noi credevamo e Il giovane favoloso, cioè la necessità di riflettere sul Tempo e la Storia. Nel raccontare gli eventi che anticiparono e seguirono il Risorgimento, Noi credevamo tracciava una riflessione sul tradimento della lotta partigiana nella società post-costituente; e Il giovane favoloso oltre a trasformare in immagini la biografia di Giacomo Leopardi, ce lo infiocchetta come se si trattasse di un esponente della cultura punk di fine anni Settanta. Qui, invece, Martone si concentra sul fallimento dell'utopia sessantottina: il pittore Karl Wilhelm Diefenbach creò sul serio una comune a Capri nei primi del Novecento, anticipando gli hippie. Troppa carne al fuoco: Lucia e la sua rivalsa di contadinella analfabeta , il conflitto culturale tra la comune e la cittadinanza, i rivoluzionari russi esuli che stanno preparando il 1917, l'arrivo dell'elettricità sull'isola, il papà di Lucia che si ammala in fabbrica, il pacifismo di Seybu, l’interventismo socialista del medico, la Grande Guerra. Temi rispettabilissimi e degni di nota, ma il regista insiste ossessivamente sulle pratiche naturiste dei membri della comune, che vagano nudi per gli scogli, improvvisando coreografiche. Troppe, estenuanti.
E l'erotismo? La carne? La materia? Questo film non ha pancia, non trema, è didascalico, spiega e suggerisce risposte, esce fuori solo l’innamoramento di Martone per ciò che fa, per come posiziona la macchina da presa, per come crede di esplorare un grande messaggio, ma che poi non arriva mai. Unico dialogo ben scritto lo scambio di vedute tra Seybu e il dottore sul concetto di rivoluzione, in cui vengono messi alla berlina entrambi gli estremismi: il dogmatismo interventista da una parte e quello isolazionista dall’altro. Il film ha tante piccole rivoluzioni inesplose, l'unica miccia che prende fuoco è la storia personale della pastorella Lucia (Marianna Fontana), che imparara a leggere e a parlare in inglese. Incredibile il suo volto estremamente cinematografico e di un bellezza disarmante. Non si riesce a toglierle gli occhi di dosso. D'effetto la chiosa: un'anfora cade, la guerra è cominciata, simbolo di una scossa tellurica che annuncia una nuova epoca, è l'addio a un equilibrio. E bellissime le parole della mamma di Lucia: "ho sempre saputo com'eri Lucia, ti ho sempre sentita scappare di notte. E anche io avrei voluto essere là, con te".

giovedì 20 settembre 2018

Lazzaro felice di Alice Rohrwacher. 2018

Il cinema di Alice Rohrwacher ipnotizza come lei, è libero, surreale, fresco. Pasoliniano. Lazzaro è il Lazzaro dei Vangeli, non solo colui che risorge cioè, ma colui che Dio piange morto e per questo risorge. Il prescelto, il meritevole, la scelta del nome non è casuale. In "Lazzaro felice" gli occhi della regista sono rivolti verso gli ultimi, tutti attori non protagonisti (scelte difficili, ma spesso vincenti). Schiavi, nullatenenti ma con la gioia di vivere, perchè per dirla alla Rousseau è la natura ad essere il modello ideale, la disuguaglianza fu introdotta dalla proprietà privata. Mezzadri quando la mezzadria era stata già bandita per legge, (si faticherà all'inizio, infatti, a dare una collocazione spazio-temporale) servi della marchesa Alfonsina, interpratata da Nicoletta Braschi. Lazzaro (il giovane protagonista) intreccerà un'amicizia vera e sincera proprio con il figlio della marchesa, mettendo in evidenza quanto esistano due medioevo, uno storico, ma anche e soprattutto uno umano: quello di Tancredi (figlio della marchesa) e della società che "libera" i mezzadri.Quello in cui la democrazia trae in salvo gli schiavi per gettarli poi, soli, in un sistema comunque chiuso, e classista.
Il messaggio- devo ammetterlo- è un po'banale, così come anche la scrittura che a tratti regge poco: come si può negli anni Novanta, in piena tecnologia credere che questi contadini non si ribellino e non abbandonino il campo di lavoro? E poi perchè Lazzaro, il buono, è un po' bonaccione? Parla coi lupi, risorge, è una figura un po'messianica, aiuta tutti, non conosce malizia e male. Ma la bontà, per essere tale, ha bisogno davvero di essere acritica e inconsapevole? La ribellione, uno spirito critico non possono appartenere anche ad un "buono"? Il vento è un elemento sonoro ricorrente nel film, magico, da favola. La Rohrwacher non mi convince mai del tutto, però -cazzo- se ha stile.

martedì 3 ottobre 2017

La verità sta in cielo di Roberto Faenza.2016

La verità è raramente pura e non è mai semplice
Era il 22 giugno 1983. Io sarei nata tre giorni dopo, il nome di Emanuela Orlandi ha accompagnato tutta la mia infanzia e giovinezza. E poi ricordo l'intervista di Chi l'ha visto a Sabrina Minardi, l'amante di Renatino in maniera chiara e distinta. Tanto basta per farvi capire quanto io sia appassionata a questa storia. De Pedis è interpretato da Scamarcio: dandy attento a se stesso, alla bella vita senza mai perdere di vista gli affari. L’attore pugliese si cala bene nella parte. I debiti della Chiesa con la Banda della Magliana sono il motore da cui parte e sulla base del quale finisce questa triste vicenda. Sono la massima rappresentazione di quanto il potere, che sia esso politico, mafioso o, peggio ancora, religioso, debba essere coperto e debba rimanere ‘pulito’, illeso, venerato fino all’ultimo. A costo di sacrificare qualche anima. A costo di occultare la verità, la verità sta nella bocca di chi non si vuole sentire. Nelle convinzioni di chi non può avere credito perché tossico. E i tossici, si sa, mentono sempre. Che se mentono per fotterti i soldi e comprarsi la roba, è chiaro che, poi, mentano su tutto. Un po’ come quelli che accolgono le tue confessioni per assolverti. Per comprarsi la tua fiducia e fotterti. Degno di nota: il culo di Greta Scarano.

domenica 19 giugno 2016

To the Wonder di Terrence Malick. 2012

Forse solo David Lynch, negli ultimi venticinque anni, è riuscito a costruire un mondo audiovisivo così denso e originale nel conformismo del cinema americano. Come lui, Malick. “Neonata. Apro gli occhi. Fondo. Nella notte eterna. Una scintilla”: sono le prime parole pronunciate dalla voce interiore di Marina (Olga Kurylenko) Perchè anche qui, come già in The Tree of Life, l’essere umano è caduto nel mondo, gettato nella prigione terrestre, addormentato, ignaro della propria reclusione nella vita mortale e dimentico della scintilla divina che, sopita, dimora in lui. Venire al mondo significa dunque precipitare nell’oscurità della materia, nell’inconsapevolezza della propria origine, nella perdizione. La creazione non è opera della bontà divina, ma il prodotto di una divinità malvagia (Demiurgo): è tenebra, divisione, incompletezza, corruzione. Creazione sta per catastrofe, in una parola. E quindi l’amorosa meraviglia evocata e raffigurata non è che un ininterrotto e seducente catalogo di errori.Neil, ispettore ambientale, incontra Marina, madre single che vive a Parigi con la figlia, Tatiana, dopo che il compagno l'ha lasciata. Quando incontra Neil si innamora perdutamente e decide di lasciare la Francia per gli USA. Qui però la bambina fatica ad ambientarsi e Neil non sembra in grado di amare la donna fino in fondo. Per questo, alla scandenza del permesso di soggiorno, Marina decide di tornare a Parigi, mentre Neil riallaccia il rapporto con una sua amica d'infanzia. Marina, tuttavia, dopo che la figlia torna a vivere con il padre, decide nuovamente di tornare in America per sposare Neil, che dovrà scegliere a chi rivolgere i propri sentimenti. Una storia che in qualche modo si intreccia con quella di Quintana (Javier Bardem), un prete cattolico che di fronte ai mali della società nutre dei dubbi nei confronti della sua vocazione. Credere nell’incorruttibilità della relazione sentimentale, anche quella del sacerdozio, significa consacrarsi alla menzogna, scambiare l’ignoranza per conoscenza, l’apparenza per verità: “Questa certezza è così forte che ti appartengo”, mormora sempre Marina che presto tradirà il marito Neil, scoprendo dentro di sé l’esistenza di nature conflittuali (“Dio mio, che guerra crudele. Ci sono due donne dentro di me. Una piena di amore per te, l’altra mi tira verso la terra”).

lunedì 16 maggio 2016

Un ragazzo d'oro di Pupi Avati. 2014

Dedicato a chi pensa che la narrativa sia solo un sogno inarrivabile. Ad un ragazzo d'oro muore il padre.Sucidio? Distrazione? Oppure peggio, omicidio? I racconti di Davide vengono rifiutati dall’ennesimo editore, il quale gli suggerisce di scrivere un romanzo. Ma lui non ce la fa. E’ un salto troppo in alto. E poi: “Se avessi scritto Sotto il vulcano… non sarei certamente qui”. Scamarcio ha una dizione snob, quella puzza sotto il naso fastidiosa nei confronti del passato da cinematografaro pop del papà, una insistita retorica (“Io ho chiuso con la scrittura!”) e il piacere tipico dei frustrati di naufragare nell’autocommiserazione sfruttando vigliaccamente “quel rapporto orrendo” col papà per giustificare ogni fallimento. Alla morte del padre torna a Roma, nella casa natia, e come in L’inquilino del terzo piano di Polanski perde l'identità per vestire quella del genitore morto, nel vano tentativo di capirlo, finalmente, e riscattarlo. Del tutto inutile la storia con la fidanzata Silvia (la Capotondi) e proprio ridicole alcune scene, e, sorvolando sul penoso doppiaggio della protagonista di Basic instinct, l'impressione generale non si discosta molto da quella di trovarsi dinanzi ad una noiosa puntata di una soap opera.

mercoledì 27 gennaio 2016

La corrispondenza di Giuseppe Tornatore. 2016

«mi piace riaprire gli occhi alla fine di ogni morte»
Amy Ryan è una studentessa fuori corso di astrofisica che nel tempo libero lavora per il cinema e la tv cimentandosi in controfigure acrobatiche, incidenti, salti mortali, impiccagioni. E mentre il suo doppio soccombe tra fiamme e atrocità lei si risveglia nella vita reale, più forte di prima, convinta di aver fatto un passo avanti nell’espiazione di un vecchio senso di colpa che lascia a marcire nella melma del cuore. Ama solo ed esclusivamente il professore Ed Phoerum, il quale a un tratto però sembra essere svanito nel nulla, lasciando attorno a sè solo un anelito di segni che, se da un lato consolano la sua compagna, dall’altro la travolgono in una matassa di incertezze ed enigmi difficile da districare. Scritto malissimo. Bastano i primi 2 minuti per capire che il problema più grosso del nuovo lavoro di Tornatore sono i dialoghi. Peccato…ma proprio nun se pò vedè. TNT ti sostiene sempre, anche dopo la tua dipartita. Ridicolo!! Unica frase che salverei:«mi piace riaprire gli occhi alla fine di ogni morte» e poi le tette e le lacrime di Olga Kurylenko

giovedì 23 aprile 2015

Mia Madre di Nanni Moretti. 2015

“Perché fate sempre quello che dico? Il regista è uno stronzo, a cui voi permettete di fare tutto!”
La storia dell'elaborazione di un lutto vero, la morte della madre, Agata Apicella, professoressa di lettere al ginnasio, scomparsa nel 2010 durante il montaggio di "Habemus Papam". L’attore è a fianco e non dentro il personaggio, così Margherita Buy diventa qui il doppio di Nanni Moretti, lui, nei panni di se stesso è la parte saggia, moderata, calibrata, l'altra femminile è più nevrotica e confusionaria. Margherita è Nanni Moretti, è il Nanni Moretti sofferente che proietta se stesso continuamente in ogni personaggio, ma che profondamente teme se stesso. Ottima Margherita Buy, la sua migliore interpretazione, Moretti è, invece, Giovanni, il fratello pacato di Margherita, ma il film rimane emotivamente privato, è "sua" madre che muore e per quanto sia un taglio al cordone ombelicale per tutti, non si sente la sofferenza personale. Moretti non voleva farci piangere, questo è sicuro, non avrebbe mai puntato su una scleta così banale e facile: il consenso tramite il sentimentalismo, la pornografia dei programmi mediaset. Il dolore vero è laterale, hai troppo pudore per far vedere che ti ha dilaniato il cuore. Ma una bolletta che non si trova diventa quell'escamotage in cui poi dare sfogo alle lacrime, tanto che un appartamento si allaga e i quotidiani (il quotidiano, il ricordo) non assorbono nulla. Tu dirigi un film e tua madre fuori dal set sta morendo, Giovanni lascia il lavoro, lui è un bambino, non si sente affatto "troppo vecchio per trovarne un altro". Il dolore è sottrazione, "mi si nota di più se alla festa non ci vado?" Diversamente dal fratello, Margherita non smette di lavorare, ma, pur avvertendo l'inautenticità del suo film, si limita a piccole insofferenze come quella verso il trucco degli attori, critica il loro aspetto fisico, poco vero. Nel disagio che si avverte sul suo set si sente il cattivo sapore del cattivo cinema, un cinema che non riesce più a cogliere la realtà, né a dire il vero. Lei alla conferenza stampa non sa cosa dire, recita. "A cosa pensi", dice la Buy alla madre, sul letto di morte. "A domani", risponde lei.

sabato 25 gennaio 2014

La giusta distanza di Carlo Mazzacurati. 2007

"La giusta distanza è quella che un giornalista dovrebbe saper tenere tra sé e la notizia: non troppo lontano da sembrare indifferente, ma nemmeno troppo vicino, perchè l’emozione, a volte, può abbagliare".
Il migliore cinema di Mazzacurati. Il suo natio Veneto. Con questo noir padano mi avvicino a uno dei suoi migliori film proprio per rendergli omaggio. "La giusta distanza" è la misura che ci viene richiesta per non alterare il corso degli eventi. Per essere conformi al conformismo, abbracciare un male che sfuggiamo, camuffiamo, ma che è la normalità. Cani uccisi. Trasgressione. In una provincia troppo chiusa. La giusta distanza, alla fine, capirete che non esiste, o almeno, esiste per non essere rispettata. Giovanni, il protagonista, aspira a fare il giornalista, ma non parla della sua maestra ammattita, giornalista si, ma non ad ogni costo. E dalle foci del Po, per lui arriverà Milano. Mara. La supplente della maestra ammattita che prende con sè questi bambini dai sette ai dieci anni, nel paese sono pochissimi. Mara rappresenta il mondo sconosciuto, nuovo, la trentenne "ancora fresca", bellissima, burrosa, dolce, ma fuoriposto tra quelle pianure arcaiche e chiuse.Appostamenti notturni per spiare quella donna così diversa, colei che è immediata con tutti e non conosce la regola della "giusta distanza", ha una relazione con il meccanico tunisino. Un uomo che non ama “… questa nostalgia degli stranieri”, e che "sente la vita dopo tanto tempo" proprio grazie a Mara.Immigrata anche lei, toscana, ma così diversa in quel paesino così chiuso. Grazie Carlo per il tuo essere stato sempre autentico, per il tuo non esserti mai omologato, per l'anima dei tuoi film. Non ti dimenticheremo mai!

giovedì 27 giugno 2013

Quando la notte di Cristina Comencini. 2011

"I figli si fanno per un uomo. Si fa tutto per un uomo."
La fischiatissima pellicola alla mostra di Venezia. La depressione post-parto sembra sia un argomento non amato. Sembra. Ma non è solo quello. Paesaggi di alta montagna, una Claudia Pandolfi con alle prese un infante dalle non ottime condizioni di salute. Filippo Timi è una guida alpina molto schiva, burbera, silenziosa ma che osserva e ascolta. Un passato con le donne molto conflittuale. Marina questa maternità non l'ha mai voluta, la subisce. L'amore è responsabilità, una responsabilità che va scelta e mai imposta sembra suggerire la Comencini, come non essere in pieno accordo con lei? Perchè questi due individui si attraggono così tanto? Molte le inadeguatezze nel film, che è vero, non convince. Timi da storpio corre, anche lui costretto e abbassato a un livello mediocre. La Pandolfi era proprio necessario cantasse? Film insalvabile. Provaci ancora Comencini. E non rivolgerti solo alle donne. Quando la noia.

giovedì 20 giugno 2013

Romanzo di una strage di Marcotullio Giordana. 2012

Io so. Io so i nomi dei responsabili della strage di Milano del 12 dicembre 1969 [...] Io so. Ma non ho le prove. Non ho nemmeno indizi. Io so perché sono un intellettuale, uno scrittore, che cerca di seguire tutto ciò che succede, di conoscere tutto ciò che se ne scrive, di immaginare tutto ciò che non si sa o che si tace; che coordina fatti anche lontani, che mette insieme i pezzi disorganizzati e frammentari di un intero coerente quadro politico, che ristabilisce la logica là dove sembrano regnare l'arbitrarietà, la follia e il mistero (Pier Paolo Pasolini, Corriere della Sera, 14 novembre 1974)
Una verità che esiste. Come non potrebbe esistere? Ma nessuna condanna definitiva c'è mai stata e ogni accusato è stato assolto. E la giustizia? "Insabbiare gli escrementi come fanno i gatti". Questo sembrano fare gli uomini di Stato. Autunno caldo, rivolte studentesche, i lavoratori in tumulto. Così si apre il film. Ricostruita impeccabilmente la storia tragica del compagno Pinelli (un Favino che sbalordisce per la perfezione. Recita perfettamente in qualsiasi dialetto), spiegati con minuzia di particolari i movimenti di Valpreda e del suo sosia Sottosanti. Un connubio tra Stato e terrorismo, con il ruolo vano ma salvifico di Moro. Un'opera didattica in cui manca però la voce sociale di chi all'epoca già capiì perfettamente tutto quello che veniva taciuto. Chi uccise il commissario Calabresi? Il regista descrive, ma non va alla ricerca della verità come invece ci si aspetta da un film di argomento civile. Non aspettatevi dunque una pellicola d'inchiesta (anche io sono rimasta delusa), quella che va in scena è solo la descrizione del dramma. Ruba la scena la magistrale interpretazione della moglie di Pinelli, degna moglie di un uomo del genere, fiera, combattiva. Mi sono molto rivista in lei, è il personaggio che più ha catturato la mia attenzione e affascinato.

giovedì 18 aprile 2013

Il più bel giorno della mia vita di Cristina Comencini. 2001

L'istinto frega, ma la paura è ancora peggio. Irene ha una casa molto grande, ma ai suoi tre figli sta comunque stretta. Sara, Rita e Claudio non hanno avuto un'infanzia felice, ma Irene è sempre stata tenuta fuori dal dolore. E ancora oggi, infatti, non lo comprende. Virna Lisi (Irene) è sempre uno schianto, appanna del tutto la sempre isterica Margherita Buy (la figlia maggiore Sara) che vedova non si è più risposata e stressa il suo unico figlio. Anche Rita (la figlia minore) non è felice per quanto sposata e Claudio è ancora costretto, seppur grande, a nascondere alla madre la sua omosessualità o meglio fingere di essere un eterosessuale. Poi un giorno, finalmente, - e quando stavo per spegnere, data la monotonia del film- un dibattito animato si accende mentre tutti pranzano una domenica e il film diventa da questo momento in poi decisamente più interessante. E dal sentimentalismo comencino si penetra nel vivo, nel corpo, nella carne, il tutto però raccontato dalla più piccola, la giovane Chiara che con toni religiosi da pre.comunione filtra tutto con la purezza dei suoi otto anni. Una Roma barocca da cornice, la perfezione estetica di questi corpi di pietra, come quelli dei protagonisti, immobilizzati, saranno alla fine finalmente posseduti. E amati. Credo sia il fiore all'occhiello della Comencini questa commedia, soprattutto per il cast, che definirei perfetto.

sabato 4 agosto 2012

L'uomo nero di Sergio Rubini. 2009

"Io non voglio essere come mio padre".
San Vito dei Normanni. La mia Puglia. La Puglia di Rubini. Ancora una volta nei panni di regista e attore. Un ospedale e un padre morente e al capezzale Gabriele, tornato al paese dopo anni per occuparsi del genitore, ricorda la sua infanzia: la sua famiglia e l'ossessione del padre per la pittura. Ernesto (Sergio Rubini)è un capostazione- pittore mancato ("...Mio padre non mi volle mandare al liceo artistico e guarda che vita di merda che faccio."). Non ha studiato, non ha "la carta" e quindi viene svilito dalla falsità e dal pregiudizio di certe “caste” culturali di paese che rivendicano la cultura come loro dominio esclusivo. Realizzare la copia perfetta di un Cézanne. Questo l'obiettivo principale. Quello più importante che lo porterà a smascherare chi nella vita è davvero la copia di qualcosa o qualcuno. A discapito della sua famiglia: moglie, figlio...Gabriele, infatti, odia questo padre che è solo un'ombra che incombe cattiva nella sua vita, un uomo nero e si affeziona allo zio materno che vive con loro: Pinuccio (Riccardo Scamarcio)uno scapolone che si gode la vita, ma alla fine anche lui "vittima del sistema". Influenzato dalla madre Franca (Valeria Golino), che parla nei sogni con le buonanime dei suoi genitori, Gabriele comincerà a sviluppare una fervida fantasia messa su pellicola con scene suggestive e bellissime. In un contrasto tra finzione- realtà che è la base su cui prende avvio l'intera vicenda. Le migliori, a mio avviso, le scene in museo in cui gioca con il fantasma del pittore francese Paul Cézanne, che rende questa pellicola-omaggio alla terra natale, in pò come Tornatore con Baaria, una surreale recita teatrale. Però ben riuscita.

domenica 26 settembre 2010

La passione. Carlo Mazzacurati. 2010


Gianni Dubois. Regista digiuno da cinque anni, fuori dall’albero maestro del cinema italiano che conta, senza idee ma con la stella del momento (l'improbabilissima Capotondi) che però vuole fare un film con lui. Ma Dubois, per quanto si sforzi, l'idea brillante non riesce a partorirla. Fin quando la sua abitazione a Firenze danneggia un prezioso affresco del Cinquecento.Per riparare il danno sarà costretto ad organizzare la messa in scena itinerante della Passione del Venerdì Santo, in soli cinque giorni.
La passione, in realtà, è quella del regista, martoriato e tradito dalla sua creatività e dopo il calvario la tanto agognata e attesa Ispirazione arriverà?
Gli intenti del film sono lodevoli, ma dispersivi, il risultato è comunque una pellicola molto divertente, grazie soprattutto al grottesco Guzzanti, meteorologo/attore cane con look alla Renato Zero (la parte più riuscita, la prima prova de L'ultima cena, quando legge da un copione scritto a mano da alcuni scolaretti, perché tutte le fotocopiatrici in città erano "rotte")."Prima che il gatto cantiiiii" saranno le conseguenze.
Una parodia sul cinema e sul teatro italiano, di cui allo stesso tempo si analizzano le falle:"La gommapiuma ha ucciso il teatro italiano", Guzzanti si crede Shakespeariano e urla per tutto il tempo.I produttori senza cuore e senza anima, a cui del cinema interessa poco e niente e la presa in giro spetta anche agli stessi registi, che giocano per una vita a fare gli intellettuali e poi si ritrovano dimenticati e disperati. (Forse è questo il punto cardine che scatena l'arresto della cratività di Dubois). E poi la canzonatura a tutte le nuove attrici e i nuovi attori creati dalla televisione che vogliono sono la parte giusta per diventare ancora più celebri e ricchi. Tutto ormai si regge sui "favori di scambio", do ut des, la trama da cui il film prende spunto è un fatto vero, accaduto al regista che per avere il permesso di restaurare una sua casa in campagna accettò di guidare una sacra rappresentazione.
Il tutto con alle spalle una produzione importante: Rai e Fandango, canali privilegiati del cinema italiano “di qualità”. Del resto si sa,...siamo pur sempre in Italia "questo è il paese più ingrato del mondo: Garibaldi è andato in esilio, Dante pure.Roberto Baggio l'hanno fatto giocare due anni nel Brescia". Inutile pretendere di più
Kasia Smutniak, la barista polacca che interpreta Maria Maddalena, chiude questa simpatica farsa, lanciando un ultimo messaggio sottinteso, il valore profetico che una buona pellicola può portare con sè: le lacrime calde che bagnano le sue guance sotto la croce di Cristo morente come presagio del suo vero dramma. Quello personale e privato.

domenica 11 aprile 2010

L'uomo nell'ombra. Roman Polanski. 2010

Eccolo il nuovo film di Roman Polanski. Protagonista uno scrittore chiamato a fare il ghost writer (giuro prima non sapevo nemmeno cosa potesse significare questa parola) dell’ex primo ministro britannico Adam Lang, che vive, insieme alla moglie, la segretaria e le guardie del corpo, su un’isola sulla costa orientale degli Stati Uniti. Lo scrittore va a sostituire il precedente ghost writer che è morto cadendo da un traghetto in circostanze misteriose (questa la scena di apertura del film). Scrivere una biografia non è così semplice, come apparentemente possa sembrare, lo scrittore diventerà il suo segugio, trasferendosi nella sua abitazione in riva al mare in cui si svolge buona parte del film. Lang verrà accusato di avere, nel corso del suo mandato, consentito la tortura di prigionieri sospettati di terrorismo e di avere pericolosi legami con la CIA. Il tempo è sempre plumbeo e ventoso e gli uomini a servizio del primo ministro sullo sfondo continuano imperterriti a mettere a posto le foglie anche se il vento le scompiglia. Più che il film, ti soffermi sui particolari intorno al film, che ritornano ad immortalare la cornice di questa pellicola, più avvincenti del film stesso.
Un film senza sole, giocato sui diversi toni del grigio. Impeccabile, mai nessun gesto lasciato al caso. Nulla di superfluo, banale, da sottovalutare. Secco, diretto, brutale. Ma fantastico, con un finale da premio Oscar. Misteri e suspense alla Hitchcock su una storia di fantapolitica molto realistica. Lang, infatti, mi ha ricordato molto Tony Blair, molto british, molto sorridente, molto filoamericano, anche per le ombre mai svelate del suo mandato. (Somiglianza casuale?) Propongo un ghost writer anche per Blair!
Ottima la fotografia, il ticchettio incessante della pioggia. Ottima la sceneggiatura. I dialoghi. Impeccabile la regia. Fatico a trovarci un difetto o qualcosa che non mi sia piaciuta. Perfetto!

domenica 28 marzo 2010

Happy family. Gabriele Salvatores. 2010

Uno scrittore, Ezio (Fabio De Luigi), fa "lo scrittore" grazie ad una rendita familiare solida alle spalle: suo padre ha inventato le palline che contengono il detersivo nelle lavatrici ("ogni volta che ne acquistate una contribuite al mio benessere"). Unica sua preoccupazione quindi, quella di scrivere una buona sceneggiatura. "Mi chiamo Ezio Colazzi, ho 38 anni e non ho mai fatto niente in vita mia... Voglio scrivere un film, meglio, un film d'autore che però incassi! Mancherebbe l'dea ma... fa niente!" Le sue parole divengono immediatamente immagini, catapultate subito in scena. Il film è, infatti, cio'che lo scrittore sta scrivendo (o almeno credo), interrotto da sue personali pause, come quella divertentissima del massaggio. Le scene più divertenti accadono proprio durante queste pause, perchè i personaggi stanchi di stare in stand.by escono dallo schermo del suo pc e gli parlano, incalzandolo a proseguire. Un plot difficile, salvato dall'ottimo umorismo, dai costumi, dagli ambienti. Bellissimi anche i colori, che mutano a seconda delle fasi in cui è il racconto: o tutto è rosso. O verde. La scena finale è bianca. Gli arredamenti, le tappezzerie, i muri delle case. Tutto è abbinato con stati d'animo e umori. Particolarissimo. Irreale. Come il sole onnipresente di Milano. Ma non si dice che sia spesso grigia? Un elogio alle varie paure dell'umanità, diverse paure costruite su diverse personalità caratteriali che le rappresentano. Siamo nell'era della paura, dell'insicurezza. Non ci sono punti fermi. Questo l'ho trovato particolarmente veritiero. Forse solo questo.
Bello. Bello perchè non lineare, non canonico. Salvatores ha di sicuro il pregio di non essere mai banale e di saper stupire con le sue bizzarrerie. Ricordate Amnesia? Se no, recuperatelo!
La domanda marzulliana di fondo rimane e ve la giro, sia mai che qualcuno sul serio poi alla fine ci capisca qualcosa: è la commedia che racconta la vita come se fosse un film o è un film che racconta la vita come se fosse una commedia? Il cinema si mescola e fonde al teatro, con l' aprirsi e chiudersi simbolico del sipario, nella prima e nell’ultima scena. Meta-teatro, molto simile ai sei personaggi pirandelliani in cerca d'autore. Ed echi anche Alleniani, Ezio è uno dei suoi personaggi, interagisce con loro: Caterina, la ragazza di cui si innamora anche nella sceneggiatura, è , in realtà la sua vicina di casa. ("Caterina: Ma sei Ezio! Quello dell'incidente? Che sfiga che hai avuto!- Ezio: Che figa che sei...) Finzione nella finzione, con un falso finale: "Potrei andare avanti a raccontare questa storia, ma preferisco chiudere qui". Tutto si fa nero ed appare l'happy end, non alzatevi per andar via. Ciack! Si ricomincia! “Mi sa che ci siamo già visti in Marocco io e te”, dice allusivamente Abatantuono, padre della ragazza che vuole sposare il figlio (gay) di Fabrizio Bentivoglio. Gia'si son visti pero' in un altro film: Marrakesh Express. I due capifamiglia son molto diversi, ma uno troverà nell'altro un vero amico, tra i due c'è feeling, improvvisazione, si nota l'amicizia anche fuori dal cast, le scene tra i due sono, infatti, le più riuscite e le più divertenti. Bellissimo anche l'omaggio a “I Soliti ignoti” e le immagine in bianco e nero sulla Milano notturna. Tante le citazioni ed i dettagli. Originale e divertente. Merita, merita. Ve lo consiglio!

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