“Mi accorgevo di avere la pelle d’oca. Senza una ragione, dato che non avevo freddo. Era forse passato un fantasma su di noi? No, era stata la poesia. Una scintilla si era staccata dal poeta e mi aveva dato una scossa gelida. Avevo voglia di piangere; mi sentivo molto strana.Avevo scoperto un nuovo modo di essere felice.” (Sylvia Plath)
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lunedì 30 dicembre 2019
The Meyerowitz Stories di Noah Baumbach. 2017
Ora posso affermarlo con certezza: dopo Allen, Baumbach scrive i migliori dialoghi dell’attuale cinema americano, acuti, umani, dinamici, folgoranti.
Memorabile in tal senso la scena in cui Danny (tra i tre figli l'unico aspirante musicista e anche il membro della famiglia che ha avuto meno successo) recita, al padre che sta abbandonando, le formule imparate all’ospedale per riconciliarsi coi morenti. Danny zoppica vistosamente, acciacco cronico da cui non si vuole liberare, somatizzazione simbolica della sua condizione di subalternità, da cui non riesce a liberarsi.
Le storie della famiglia Meyerowitz riguardano poi Matthew (Ben Stiller) un ricco e impegnatissimo uomo d’affari che comunica con il figlio solo via smartphone e Jean, alla ricerca della sua femminilità. Le loro storie erompono frammentate in episodi intervallati da quadri alla Wes Anderson.
I tre Meyerowitz – ognuno emblema di nevrosi metropolitane tipicamente americane – hanno scelto vite diverse, ma nessuno dei tre è felice.
Il padre, perno su cui tutto si muove, è Harold (che ha avuto i due fratelli con due donne diverse) interpretato da Dustin Hoffman, scultore molto eccentrico che non è riuscito a diventare famoso quanto avrebbe voluto e che quindi spera nel successo dei figli.
La trama anche qui è semplice, lineare: una famiglia che non comunica e che avrebbe bisogno di varie sedute di psicanalisi.
In The Meyerowitz Stories non succede nulla e succede tutto, come in ogni film di Baumbach.
C'è il bisogno di sentirsi accettati -verrebbe, infatti, da dire che non c’è niente di male ad essere mediocri, il tentativo continuo di annullarsi per diventare ciò che l’altro vuole;
le conversazioni tra i personaggi sono in realtà monologhi in cui i capricci di uno trovano risposta nello scarso interesse dell’altro. La resa di questo aspetto caratteristico, presente in tutto il film è davvero fenomenale: spesso le scene vengono interrotte bruscamente da uno stacco di montaggio perchè non c'è l'interesse e la pazienza di ascoltarsi.
E funziona, perchè dannatamente reale.
giovedì 14 febbraio 2019
Green Book, di Peter Farrelly. 2019
"Tu eri l’unico a poter scegliere se stare fuori o dentro”
Probabilmente non vincerà gli Oscar giusti, forse non esistono le categorie adatte, perchè il grande merito di Green Book è di saper creare un’alchimia rara e di farla vivere attraverso i due protagonisti, i due outsider, i due pesci fuori d’acqua, quelle persone di cui il giorno di San Valentino senti la mancanza.
Le persone giuste, quelle speciali. Quelle che non ti mollano, che non ti tradiscono, che ci sono sempre per te. Don Shirley è un uomo di grande cultura e riservatezza, quasi (e forse senza quasi) snob; Tony è il tipico macho di strada, estroverso, chiassoso, duro, di pancia che a volte vorresti strozzare. Ma anche abbracciare.
Il Negro Motorist Green Book è una sorta di guida turistica pubblicata annualmente dal 1936 al 1966, che elencava le strutture che ammettevano e servivano clienti di colore. "African-American friendly”, in modo tale da proteggere il più possibile coloro che decidevano di mettersi sulla strada in posti estremamente razzisti.
In questo viaggio non c’è bisogno di scavare per ottenere una morale; è sempre presente, nelle battute, in quelle amare, in quelle apparentemente leggere, intrinseca nella sceneggiatura e nelle interpretazioni dei personaggi.
Si trova nel razzista Sud del Paese, in un road movie consapevole di territori non facili per un uomo con la pelle scura.
Lontano dal voler a tutti i costi catalogarsi come film d'autore, ma di leggera ed elegante (e quindi pungente il doppio) denuncia sociale.
C'è tutto. Mahershala_Ali bellissimo e portentoso, un automobile, un pianoforte e la musica.
Irresistibile.
Questo film fa stare bene. Consigliato sotto ogni punto di vista.
venerdì 4 gennaio 2019
The Master di Paul Thomas Anderson. 2012
Ho riguardato The Master perchè ha una fotografia eccelsa, ricca di luce calda che sfiora il viso dei personaggi. E'girato interamente con una macchina da presa da 65/70mm e questo lo rende un'esperienza visiva irripetibile e contemporanea.
Ho guardato questa pellicola più volte negli anni per poterla apprezzare e comprendere, penso di non essere ancora giunta ad una comprensione totale. Ma la consiglio, perchè nella vita ciò che disturba ha senso.
Viene descritta un'America violenta e contraddittoria, nascosta da grandi abiti ed acconciature, arredi e canzoni anni Cinquanta. L'atmosfera c'è da subito, dalla prima visione, le onde delle acconciature femminili sono psichedeiche, ossessive, catturano. La musica è di Jonny Greenwood con i suoi pizzicati e le sue "stonature", a sottolineare un continuo mood denso, sensuale e vagamente teso. Tutto ruota attorno alla relazione tra Freddie e Lancaster (i due protagonsti): al primo serve un punto di riferimento (reduce dalla seconda guerra mondiale alcolista e un po'psicotico) e al secondo serve una "cavia" (il Maestro, fondatore di Scientology, Ron Hubbard).
Nella penultima scena il Maestro gli chiede di restare, o sparire per sempre, gli rivela di aver ricordato della loro amicizia in una vita precedente; poi improvvisamente smette di parlare e canta una canzone d’amore: «Vorrei portarti su una barca in Cina, tutto per me, portarti e tenerti tra le braccia». Sembrerebbe e credo sia una scena d'amore, insieme quasi si identificano, bestie selvagge che vogliono addomesticarsi. Metafora, i protagonisti, di una società incapace di crescere ed evolversi, di rendersi libera senza la presenza di un maestro, dalla coscienza soggetta all’archetipo della guida, del modello, impossibilitata a dimenticare i peccati del passato, le colpe dei padri.
Immenso, ma anche vuoto. Il bersaglio per me è mancato. O posso riprovarci con la terza visione.
lunedì 3 settembre 2018
Nocturnal Animals di Tom Ford. 2016
Ho guardato Animali notturni perchè in molti me lo avete consigliato, forse come tentativo di sabotaggio alla mia già precaria serenità mentale.
Di Tom Ford avevo già visto- ben sette anni fa- Single Man. Come il suo film di esordio, anche questo è un film teso e complesso, ambientato per buona parte nell'oscura e minacciosa frontiera del sud del Texas, che si trova quasi in mezzo al nulla, una pianura selvaggia che si estende senza confini.
Susan, la protagonista, è l’animale notturno, quella che non riesce a dormire, quella che si chiede chi mai avesse comprato il manifesto con su scritto "Revenge", per sentirsi rispondere che era stata lei stessa a volerlo. Verso di lei si snocciola la vendetta che è alla base del film.
La pellicola si apre con l’inaugurazione di una mostra, dove sono esposte delle donne obese vestite da majorette, nell’ambiente magro, mondano e sterile di una galleria d’arte contemporanea californiana. Il contrasto tra la società bella e impassibile che la protagonista ha scelto di frequentare e quella brutta, ma viva, che ha rifiutato è la parte viva del film. Le immagini del mondo di milionari che frequenta Susan sembrano artificiali, come artificiale è la felicità che la sua famiglia ha apparecchiato per lei. Al contrario il mondo sporco di terra e pieno di sterpaglie dove si svolge la vicenda del romanzo è vero, ma anche spietato e profondamente ingiusto.
Di forte impatto estetico, ipnotico, ambiguo, affascinante. Come lo sguardo di Susan. Notevole la scena in cui si prepara per incontrare l'ex marito.
Perfetta la scelta del suo vestito verde e il rossetto appena steso e ripulito a lasciar intendere la voglia di intimità come preludio all'incontro.
Quanto amiamo questi piccoli dettagli di Ford.
giovedì 8 marzo 2018
La signora dello zoo di Varsavia di Niki Caro. 2017
Il film che ho scelto per l'8 marzo è scritto e diretto da donne, interpretato dalla seducente Jessica Chastain prima tra tutte, racconta la storia di un’eroina poco nota alla grande storia durante la brutale invasione nazista della Polonia nel 1939 a Varsavia.
La signora dello zoo di Varsavia nasce però, in realtà, da un’affiatata collaborazione tutta al femminile: nel 2007 la produttrice Diane Miller Levin legge il libro di Diane Ackerman, The Zookeeper's Wife, che riporta i diari di Antonina Żabińska e rimane così affascinata dalla vera e poco nota storia di questa eroina da coinvolgere la collega Robbie Rowe Tollin per farne un adattamento cinematografico.
La produzione ha coinvolto anche la figlia di Antonina e Jan, Teresa Żabińska, (che vedremo nel film piccolissima di appena un anno)ed è grazie a lei che si è potuta delineare così approfonditamente la figura di Antonina, l'importanza per la cultura e la musica, con cui poteva curare e alleviare i traumi psicologici do quel periodo.
Ogni mattina Antonina attraversa il suo zoo in stile liberty in bicicletta, salutando affettuosamente gli animali presenti.Siamo nel 1939 e a breve nella stessa città, migliaia di persone innocenti verranno rinchiuse in un ghetto, intrappolate come animali in uno zoo, ma in condizioni di vita pietose, con poche speranze di sopravvivenza. Un arca di Noè su cui saliranno e verranno portati in salvo ben 300 ebrei.Antonina Zabinski. Una donna complessa e in anticipo sui tempi: moglie, madre, lavoratrice, studiosa, musicista appassionata d’arte, dotata di una straordinaria sensibilità per gli animali, come per le persone
Antonina suona il piano e se ne serve per suonare il segnale d’allarme in caso di pericolo, l'ho trovato un importante richiamo al valore salvifico dell'arte:il brano è quello di un’operetta di Offenbach, avviso in codice nel momento in cui tutti gli ospiti dovevano tornare nei loro nascondigli.
Nella pellicola emerge inoltre la volontà dello zoologo di riportare in vita bestie ormai estinte, in un sempre ambiguo oscillare tra l’amore per gli animali e il disprezzo per la vita umana. Possibile che uno scienziato amante degli animali possa essere anche un attivo esecutore dello sterminio nazista? Il dubbio e (la rabbia) rimangono.
Buon 8 Marzo
mercoledì 7 marzo 2018
Lady Bird di Greta Gerwig. 2017
Come François Truffaut nei suoi “I 400 colpi”, o come Bergman che ha realizzato film che erano diari della sua esistenza, anche Greta Gerwig esordice in questo suo primissimo lavoro con una storia autobiografica, tornando nella natia Sacramento, dove racconta la storia di una ragazza (se stessa) di 18 anni, ambientandola nel 2002 (quando appunto la regista aveva 18 anni). "Chiunque parli dell’edonismo della California non ha mai passato un Natale a Sacramento”. L’incipit del film già ci dice tutto, preannunciando quella voglia di fuga che tutti conosciamo nei nostri paesi natii, il tutto accompagnato dalle note avvolgenti di Jon Brion.
Lady Bird è Christine,sedicenne che ha bisogno di spiccare il volo, di uscire dai confini della periferia di Sacramento; la sua priorità è quella di sprovincializzarsi e frequentare un college della East Coast.
Vi innamorerete follemente di lei: è ormonale, scostante e sognatrice. In equilibrio precario. Come quando, in una delle scene più riuscite, quella iniziale in macchina con la madre, apre lo sportello e si lancia dall'auto in corsa, esibendo poi quindi nella prima parte del film un gesso rosa shock.
In bilico tra ciò che è e ciò che, invece, la società impone, cercherà quella vena un po'cool che però non le appartiene, sia in amiciia, sia in amore. Timothy Chalamet è il personaggio più riuscito in questa sua ricerca: sofferto adolescente borghese, con idee complottiste e anti-governative, naif anche lui, ma nel senso più profondo, senza via di scampo, già annoiato dalla vita.
Lady Bird è cinema indie a 360° gradi, dove si parla della scoperta della sessualità, di omosessualità e depressione con un linguaggio esplicito e diretto. Se questo è il film d’esordio di questa reista che mi è coetanea, non vedo l'ora di vedere i prossimi.
giovedì 22 febbraio 2018
The Shape of Water di Guillermo del Toro. 2017
Film politico e femminista. Vi avviso. Quindi adatto a me.
Baltimora. Anni Sessanta, durante la Guerra fredda,un uomo-pesce viene portato in un segretissimo laboratorio governativo guidato dal cattivo di turno.
La protagonista è una donna delle pulizie muta che si innamora dell’uomo-pesce, tenuto prigioniero. Qui gli scienziati americani stanno ricercando nuove forme di tecnologia per portare i propri astronauti nello spazio prima di ricevere ulteriori umiliazioni dai sovietici.
Elisa piace subito, è semplice,mangia uova sode e si masturba ogni mattina nella vasca da bagno.
Bizzarro, ma in assoluto il film più poetico guardato in questa stagione. Una favola gotica che il 4 marzo concorrerà a ben tredici nomination, ed è importante per i temi trattati: il razzismo segregazionista verso le persone di colore, la sottomissione della donna e la repressione dell’omosessualità.
Ad andare in scena personaggi incompleti: Elisa è zitella oltre che muta- viene definita bruttina,ma ditemi voi se guardarete i suoi tanti nudi integrali se non abbia un corpo perfetto, ricorda Charlotte Gainsbourg- la collega Zelda è vessata da un marito che la schiavizza e il vicino di casa Giles è un artista brillante col difetto di essere gay quando ancora non si poteva.
Ipnotizzante la malinconia proprio di questo vicino paterno disegnatore di locandine che vede la sua arte messa in secondo piano dall’avvento dei poster fotografici, un sognatore amante dei vecchi musical in tv che si riempie la casa di torte che non gli piacciono solo perché segretamente innamorato del commesso del negozio di dolci. Il personaggio in assoluto più complesso e affascinante.
Un grande talento visionario questo regista. E un cuore tenero, in almeno un paio di scene mi sono commossa. Faccio il tifo per lui.
venerdì 29 dicembre 2017
Wonder Wheel di Woody Allen. 2017
Woody Allen ci aspetta, ogni anno, al varco di dicembre. Non si può che chiudere l'anno con lui e quindi sono salita sulla sua "ruota delle meraviglie". Vi diranno che questo regista ormai è vecchio, stanco e non ha più nulla da dire. Non credeteci!
Campo lungo sulla spiaggia di Coney Island, con la ruota panoramica e le insegne colorate dei negozi, la folla di bagnanti e gli ombrelloni.
Ma è Justin Timberlake?! - mi chiedo ad un certo punto- Si! Lui.
Guarda in camera dall’alto della sua postazione da bagnino anni ‘40 e introduce il film parlando con gli spettatori, illustra i personaggi di questa tragedia greca che andrà in scena. Metateatro.
Inevitabile non pensare al tributo a Douglas Sirk, dove un’aspirante attrice con una figlia e senza marito, incontra una domestica di colore, anche lei con una figlia a carico, insieme alla quale avrebbe formato una strana famiglia di quattro donne. Anche Allen sceglie una ex attrice di teatro fallita, Ginny, madre di un ragazzino problematico e sposata in seconde nozze con un uomo che non ama; un ex alcolizzato, riciclatosi come giostraio.
L'uomo ha una figlia di primo letto: Carolina, antagonista di Ginny perchè giovane e bellissima, fuggita dal marito gangster e riappacificatasi col padre; e poi c'è Mickey, aspirante drammaturgo che per mantenersi d’estate fa il bagnino a Coney Island. Va prima a letto con Ginny e poi innamorandosi di Carolina, scatena la gelosia dell’ex amante.
Tutti hanno una gabbia sociale ben definita, tranne il giovane figlio della donna: Richie, che è il particolare che sfugge. Appicca incendi e nessuno ne capisce il motivo. Perchè la salvezza è fuori dal controllo razionale. Questo ci suggerisce Allen. "io non sono una cameriera, sto solo recitando una parte" dice spesso Ginny per sopravvivere.
E così nel finale Allen ci regala la scena madre, recitata dalla strepitosa Winslet tra vecchi vestiti di scena riesumati (solo questa scena vale tutto il film), Mickey esce per sempre dalla sua vita e di scena e la donna resta sola finché non rientra il povero marito.
La fotografia ipersaturata che segue gli stati d'animo della donna, si fa improvvisamente realistica, dalla wonder wheel non penetra più nessun riverbero. Il cinema spegne i riflettori e il reale continua.
sabato 21 ottobre 2017
Drive di Nicolas Winding Refn. 2011
Nonostante il titolo tragga in inganno le corse e le rapine sono la parte minore in Drive, che racconta di un uomo doppio, che di giorno fa la controfigura per le scene di auto nei film e di notte è un autista freelance per rapinatori.
Si innamora della donna sbagliata per la quale farà tutta una serie di cose sbagliate. Uno virile scemo o ingenuo (non ho ben capito) che parla pochissimo e che utilizza come unico linguaggio la forza e la determinazione, ma che lo ingoierà in una spirale senza via di uscita.
Cos'ha di unico questa pellicola? Le immagini. Dopo una delle tante sparatorie presenti, nel motel in cui si rifugia il protagonista compare sporco di sangue e poi riscompare nel buio. Inquadrature perfette, riprese dinamiche che proiettano emotivamente lo spettatore dentro la storia e lo deliziano con angolazioni che vanno a creare sorprendenti composizioni visive e con altri brillanti movimenti di macchina.
L'equilibrio tra violenza e sentimenti è perfetto: dolcezza e freddezza, azione ed emozione crea un contrasto dialettico tra Eros e Thanatos, che ha il suo punto d'arrivo nella celeberrima “scena dell’ascensore”, che assume le sembianze di un film nel film.
Consiglio la visione di Drive? Sì, ma in un momento di tranquillità. Non è un film frenetico, e neanche pieno d’azione. E’ un film particolare che ha bisogno di attenzione e pazienza. Refn ha decisamente svolto un egregio lavoro, non per niente, ha vinto il premio come “Miglior Regista” al festival di Cannes del 2011 con questo film!
Arte vera!
mercoledì 18 ottobre 2017
Grindhouse di Quentin Tarantino, Robert Rodriguez. 2007
"Grindhouse" è un omaggio al cinema di genere anni 70, quando in America con un solo biglietto si potevano vedere due film horror o action all’interno della suggestiva cornice di un drive-in, o in quella nostalgica di una matinèe.
La pellicola è graffiata, l'audio gracchia e vi sono perfino immagini in bianco e nero ed evidenti mancanze di fotogrammi.
E poi Stuntman Mike, psicopatico interpretato da un cicatrizzato Kurt Russell con tanto di basette a punta, se ne va in giro per le polverose strade del Texas in cerca di libidinose fanciulle da torturare ed uccidere tramite l'uso esclusivo del suo possente e rovente bolide, munito di cofano con sopra disegnato un teschio bianco.Stuntman Mike è a tutti gli effetti uno stupratore, solo che usa la sua Chevrolet al posto del pene. Il terrificante frontale a cui assisteremo a metà film (una vera e propria sequenza capolavoro!) non è altro che un derivato dell'atto sessuale.
sangue, erotismo, ironia e citazioni sparse al cinema di genere anni '70.
Anarcoide e dispettoso. Ma che figata!
martedì 17 ottobre 2017
Atomic Blonde di David Leitch. 2017
Charlize Theron immersa in una vasca da bagno piena di cubetti di ghiaccio a significare la rigidità del suo animo. Comincia così Atomica bionda.
Il concetto di freddo è la tematica principale, infatti: sia per le temperature climatiche degli spazi in cui è ambientato sia, soprattutto, per la stasi totale che si respira nel contesto storico di riferimento e nel cuore dei personaggi. Siamo nella Berlino del 1989, quando i fermenti mondiali stanno giungendo al culmine, poco prima del crollo del Muro. Occidente e Oriente sono ancora in conflitto e lo spionaggio è attivo in quella che ancora per poco sarà chiamata guerra fredda. L’MI6 spedisce a Berlino Charlize Theron, cioè Lorraine Broughton, la spia più spaccaculi che sia mai esistita, per recuperare una lista contenente le identità di tutti gli agenti segreti occidentali sotto copertura
L'estetica è fumettistica, anche un po'kitsch: neon e colori ipersaturati.Il punto di riferimento, stilistico e iconografico, sono ovviamente gli anni 80, o almeno una loro versione idealizzata e stilizzata, dove tutti i giovani sono punk, si ascoltano solo hit della New Wave, ogni cosa è illuminata coi neon e Berlino pare una città fantasma solo perché la gente è TUTTA nei club.
E comunque si capisce perché, anche da quelle parti, gli uomini preferiscano le bionde. E le donne pure.
lunedì 17 luglio 2017
The Hours di Stephen Daldry. 2002
"Non si può trovare la pace sottraendosi alla vita.
Virginia Woolf / Nicole Kidman"
Profonda solitudine dell'animo e ricerca di felicità. Per questi motivi Virginia Woolf è la mia scrittrice preferita
La trama si sviluppa attorno a tre storie: quella di Virginia Woolf intenta a scrivere il suo famoso romanzo, Miss Dalloway, quella di Laura Brown, una casalinga infelice del 1951 che vive con il marito e il figlio piccolo e, infine, quella di Clarissa Vaughan, un’editrice lesbica che sta preparando una festa per il suo ex amante Richard malato di Aids.
La drammaticità e impotenza di fronte ad alcuni accadimenti della vita della Woolf, ritorna in Miss Dalloway, libro che viene letto sia da Laura Brown che da Clarissa. E così, ritorna anche in questi due personaggi femminili, la prima incastrata in una vita che la rende infelice e la seconda in un’amicizia complicata che la pone di fronte ai suoi più grandi demoni del passato.Ci sono fiori da comprare e da regalare, visitatori in anticipo da accogliere, suicidi desiderati e realizzati, languidi baci tra donne a scandire le identiche ore di queste vite legate indissolubilmente nella ricerca del significato della propria esistenza.
Il regista sfrutta abilmente i punti di contatto tra le vite delle tre, per effettuare i passaggi d’epoca necessari alla storia, emblematica la sequenza d’apertura: attraverso il montaggio, si spezza il diverso flusso temporale di tre accadimenti successivi, rimescolando i momenti in un unicum narrativo di grande compattezza e tensione emotiva (la Woolf scrive la lettera di addio al marito, la scrittrice tenta il suicidio buttandosi nel fiume, il marito rincasa e trova la lettera).
Un inno alla vita, che dimostra che la strada - anche estrema- c'è. un film che mostra le diverse decisioni che una persona può prendere, alcune molto drastiche ed estreme, altre invece rigeneranti e nel momento in cui le donne nel film hanno la loro epifania e si rigenerano, lo può fare anche lo spettatore credendo davvero che ci possa essere sempre una speranza per cambiare la propria storia.
lunedì 15 maggio 2017
The Light Between Oceans di Derek Cianfrance. 2017
"Lei è nostra, non facciamo niente di sbagliato"
Già coppia nella vita reale, Michael Fassbender e Alicia Vikander si innamorano di nuovo nel terzo lungometraggio del regista/sceneggiatore Derek Cianfrance.
L’isola di Janus, dove il guardiano del faro Tom (Michael Fassbender) prova a costruirsi una vita decente dopo aver servito il suo paese nella prima guerra mondiale, fa parte di una civilizzatissima comunità di cui il faro è una specie di fiore all’occhiello, una luce che guida l’umanità fuori dalle tenebre. Tom sposa Isabel (Alicia Vikander) e se la porta a Janus dove vivono una specie di idillio, finché la povera Isabel perde non uno, ma due figli in gravidanza. Un giorno trovano una barca, portata dalle onde. Dentro c’è un uomo (morto) e una neonata avvolta in un maglione.Può fare tanto il desiderio di un figlio? L’amore di un marito per la moglie arriva a rompere il senso di dovere di un uomo onesto?La coscienza è meno facile da convincere della gente. La bambina crescerà come loro figlia. Decidono di chiamarla Lucy, in onore della loro vita al faro. L’amore che provano per quella bambina non ha niente di diverso da quello che potrebbero provare per un figlio naturale, con una sola differenza: sono tormentati dal pensiero che possa esistere una mamma che piange credendola morta in mare, o almeno ne è tormentato Tom.Lui che si sente in colpa di essere tornato integro dalla guerra, di non aver potuto salvare tutti i suoi uomini rivive la possibilità di salvare qualcuno ogni volta che accende il faro.
Chi non lo vorrebbe un figlio da Fassbender?!
Ho guardato il film solo per lui.
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mercoledì 1 marzo 2017
Oculus - Il riflesso del male di Mike Flanagan. 2013
Tim viene dimesso da un manicomio criminale, dove era recluso per l’omicidio del padre. La sorella Kaylie vuole dimostrare la sua innocenza, provando che un antico specchio con poteri paranormali porta chi lo possiede alla follia e all’omicidio.
Lo specchio verrà osservato da delle telecamere, come se un altro sguardo inorganico potesse disinnescarne e rivelarne la malvagità. L’idea buona potrebbe essere che i figli, in realtà, siano stati loro, in qualche modo, a compiere il massacro, e sublimano ogni cosa incolpando lo specchio delle loro azioni. Lo spettatore quindi rimarrebbe con il fiato sospeso a vedere questi due che si dannano per dimostrare una cosa, per poi alla fine scoprire che la colpa è solo loro. Ma invece, no. Il finale è deludentissimo.
Il piano di Karen consiste nel preparare un marchingegno temporizzato che fa calare una pesantissima ancora sullo specchio se non viene resettato ogni ora. In pratica se lei muore lo specchio si “suicida”.
Alla fine del film, il fratello, credendo Karen salva, fa calare l’ancora. In realtà Karen è di fronte allo specchio e viene uccisa salvando lo specchio.Il fratello di Karen viene portato via dalla polizia perché accusato dell’omicidio della sorella e vede le anime dei genitori e di Karen dietro una finestra della casa in cui stanno.
L'unica scena degna di nota è quando Karen morde una lampadina e la mastica, il resto del film è composto da flash back che poi vanno a mischiarsi con gli eventi contemporanei per svelare un mistero che non esiste, essendo palesato fin da subito.Non guardo horror, ma non ne guarderò più.
giovedì 5 gennaio 2017
Vicky Cristina Barcelona di Woody Allen. 2008
"Scarlett è una donna incredibilmente attraente. È bellissima, è sexy in un modo tutto suo e l’obiettivo la adora. Se lei fosse qui, uno penserebbe: 'Carina, dal vivo'. Ma in fotografia la bellezza diventa ancora più evidente. Penélope è diversa. Sullo schermo è incredibilmente bella - una delle donne più belle della terra. Ma quando la incontri dal vivo, è ancora più bella. Da non crederci... Quando ho incontrato Penélope per la prima volta - l’avevo vista nel film Volver pensando fosse bellissima - non potevo credere quanto fosse stupenda... era come... celestiale, come se fosse scesa da Marte o Giove.”
Woody Allen, 2008
Trentanovesimo film di Allen, il primo girato in Spagna, il terzo con Scarlett Johansson, ultima delle sue muse ispiratrici.
L'amore secondo Allen. Punto. Solo lui ne sa davvero parlare, ed è per quanto che quando ho voglia di passione, follia, violenza e gelosia tutte insieme, riguardo i suoi film, l'amore è romantico solo se inappagato fa dire ad uno dei sui protagonisti.
La chiave è questa. Non sono clichè. E poi bicchieri di vino lungo tutto l'arco della pellicola, la solare Barcelona e le labbra della Johansson e un'accigliata, con i capelli arruffati Cruz.Comunque una domanda rimane: possiamo trovare tutto in un solo oggetto d’amore? E questo oggetto può mancare di qualcosa che siamo condannati a inseguire, nella realtà e nella fantasia, per tutta la vita?
mercoledì 4 gennaio 2017
Burn After Reading - A prova di spia di Joel & Ethan Coen. 2008
l'analista dei servizi segreti Osborne Cox (John Malkovich) riceve il benservito nell'ufficio dei suoi superiori: beve troppo, è inaffidabile, sta diventando una grana.
Allora, steso sul divano, incide le sue memorie su un registratore, che la moglie fedifraga Katie (Tilda Swinton) scarica su cd per farne un'arma in vista dell'imminente divorzio. Ma il disco viene perso dalla segretaria dello studio legale cui Katie si è rivolta e finisce in mani sbagliate: una coppia di istruttori di una palestra. Linda e Chad, che cominciano a ricattare Cox.
Il maniaco delle corsette e degli amplessi fugaci Harry Pfarrer (George Clooney) salta fra la moglie dell'agente segreto e la bionda Linda, che è in cerca di soldi per restaurare un fisico che «è arrivato al capolinea».
Chiusura di film bellissima: alla Cia fanno il riassunto di cosa è successo, del sangue versato, dei rischi corsi; la conclusione è che non si è capito il perché tutto sia successo.
Una dark comedy, con una spy story demenziale che fa il verso non solo ai grandi classici del passato, ma anche ai più recenti action movies, con ambientazione in Virginia. Difficile non pensare a Bush, tutti i personaggi sono ossessionati dall’idea della sicurezza e vivono con il perenne terrore di essere spiati.
giovedì 22 dicembre 2016
INLAND EMPIRE - L'impero della mente di David Lynch. 2006
“Supponete di trovarvi in ufficio. Avete duellato o scritto tutto il giorno e siete troppo stanco per continuare a duellare o scrivere. Ve ne rimanete seduto, guardando nel vuoto, intontito, come capita a tutti qualche volta. Una graziosa stenografa che già conoscete entra nella stanza… voi la guardate…apatico. Lei non vi vede, benché le siate molto vicino. Si sfila i guanti, apre la borsetta e vi rovescia il contenuto su un tavolino…'
Stahr si alzò, gettando sulla scrivania il mazzo delle chiavi.
'Ha due monetine d'argento, un nichelino… e una scatoletta di svedesi. Lascia il nichelino sul tavolo, rimette le monetine nella borsetta, prende i guanti neri, si avvicina alla stufa, l'apre e vi mette i guanti. Nella scatoletta c'è un solo fiammifero e lei fa per accenderlo inginocchiata accanto alla stufa. Voi notate che la finestra aperta lascia passare una forte corrente d'aria… ma proprio in quel momento suona il telefono. La ragazza prende il ricevitore, dice pronto… ascolta… poi in tono reciso dice - non ho mai posseduto un paio di guanti neri in vita mia - Riattacca, si inginocchia di nuovo accanto alla stufa, e proprio mentre accende il fiammifero voi vi voltate di colpo, e vedete che nell'ufficio c'è un altro uomo…'
Stahr tacque. Prese le chiavi e se le mise in tasca.
'Avanti' disse Boxley, sorridendo 'cosa succede adesso?'
'Non lo so' rispose Stahr 'stavo soltanto facendo del cinema.'”
Francis Scott Fitzgerald, Gli ultimi fuochi, Milano, Mondadori, 1974
“Il mio film è chiarissimo”
David Lynch, 2006
A Inland Empire, un quartiere residenziale alle porte di Los Angeles, una donna è nei guai. C'è un film maledetto, un marito geloso e un amore pericoloso. C'è un mistero che si dipana tra sogno e realtà.
Laura Dern si guadagna la parte da protagonista di un film-remake maledetto e mai realizzato, un'agghiacciante famigliola di conigli ad altezza d'uomo, un quadro di Magritte, con squallida gentaglia polacca, un cacciavite trapiantato nello stomaco. Una discesa infernale nelle strade di Hollywood, con balletti e baci alla camera.
Ma quanta poesia nei discorsi tra puttane, sulla griglia del barbecue, nelle lacrime amare consumate davanti alla tv e nelle sfrenate passioni amorose, nei banali e terribili dialoghi tra una barbona nera e una tossicodipendente asiatica.
E poi il digitale, arma tanto cara ai filmaker indipendenti, scrutatrice di realtà quotidiane in continuo mutamento.
Il pianto incessante della ragazza sta tutto nel dramma del tradimento del marito, del senso di colpa per la perdita di un figlio, concepito fuori dal matrimonio.
Il tradimento produce perdita di consapevolezza, confusione, avvilimento: una vera e propria involuzione, che passa dalla realtà al sogno, dal film originale al remake.
Costruisce quindi un alter ego: l’attrice Nikki Grace, plasmabile e mutevole, come solo le grandi attrici sanno essere, che comincerà un viaggio nelle pieghe del senso di colpa, rivivendo l’adulterio, la morte e l’abiezione della prostituzione, sino a ricongiungersi alla protagonista in un bacio impossibile, attraverso lo schermo.
Ah, e se vi chiedete cosa diavolo siano quei conigli antropomorfi che ogni tanto compaiono, la risposta la sapete già, in fondo: quei conigli siamo noi.
mercoledì 21 dicembre 2016
Mulholland Drive di David Lynch. 2001
"Mulholland Drive" è il nome della strada che percorre le colline di Hollywood, nella quale si svolgono due scene cruciali del film
Sensuale, enigmatico, delirante, visionario, oscuro, ambiguo e onirico.
Le prime inquadrature del film mostrano coppie di ballerini danzare il Jitterbug. E'un sogno? Un incidente e poi un uomo, in un bar, racconta spaventato i suoi incubi; un regista di nome Adam Kesher è costretto a scegliere una sconosciuta per un suo film. Tutto apparentemente slegato.In una delle scene più suggestive, Mulholland Drive si rileva anche un esempio di metacinema. Le due protagoniste assistono ad uno spettacolo dove tutto è finzione, illusione, le voci e i suoni sono registrati su un nastro e persino la lacrima sul viso di una cantante è disegnata. Vere sono solamente le reazioni e le emozioni di Rita e Betty.Poi viene aperta una scatola blu e Betty diviene Diane e Rita diviene Camilla.
giovedì 15 dicembre 2016
Maria full of grace di Joshua Marston. 2004
Catalina Sandino Moreno è composta e precisa. (oltre che una gran figa)
Il Sud America è di gran lunga cinematograficamente più interessante dei polpettoni Usa che ci sorbiamo. Un film girato con pochi soldi ma con molte cose da dire, una sorta di neorealismo girato con ritmi più attuali. la sequanza del viaggio in aereo, 20 minuti di assoluta tensione creata da poche frasi, molti sguardi e azioni ridotte all'osso con un accompagnamento sonoro mai invadente è quanto di meglio io abbia mai visto.
I numerosi elementi religiosi sono sempre accostati all'elemento del peccato in un gioco che salta dal sacro al profano: la droga che si depone a fianco del feto, le capsule di droga ingerite come un'ostia, la salvezza dalla legge dovuta alla gravidanza, nonchè il titolo e la copertina.
Qualità elevata
venerdì 7 ottobre 2016
Hard Candy di David Slade. 2005
-Questo è quello che dicono tutti-
-Chi?-
-Chi? I pedofili. Lei era così sexy, lo voleva. Tecnicamente era una ragazzina, ma si comportava come una donna. E’ così facile incolpare un bambino. Solo perchè una ragazzina sa come imitare una donna, non implica che lei sia pronta a fare quello che fa una donna. Tu sei quello cresciuto qui. Se un bambino dice qualcosa di malizioso, lo ignori. Non lo incoraggi.
La parola chiave di “Hard Candy” è sovversione. Prima di tutto sovversione dei ruoli.
Jeff è un trentenne oltremodo affascinante, con il sorriso lucente.
E’ un fotografo professionista, ma i suoi soggetti preferiti sono le ragazze adolescenti.
Hailey, se così davvero si chiama, è una 14enne impavida interpretata da una sorprendente ed inquietante Ellen Page. Sexy e intelligente.Hailey si lascia sedurre in chat da Jeff ed organizza un incontro, accettando persino di farsi ospitare a casa sua.Palesemente sociopatica e bugiarda, in chat ha ingannato Jeff conoscendo bene le dinamiche del dating online (per esempio, effettuo una piccola ricerca su Google ed in 30 secondi ottengo tutte le informazioni sul gruppo musicale preferito dell’altra persona, potendo così fingere di conoscerlo).E poi come ha potuto avere accesso al profilo psichiatrico dell’aggressore di una delle vittime di Jeff?
Perchè è in possesso di un taser?
E’ un’esca della polizia superbamente addestrata?
O è solo una vendicatrice perfettamente organizzata? Vestita come una moderna Cappuccetto Rosso, si allontanerà nel bosco verso una nuova meta, forse a stanare un altro lupo cattivo, tra le malinconiche note dei Blonde Redhead.
“Hard Candy” descrive in modo compiuto proprio l’impossibilità di trovare una soluzione equilibrata, civile, sensata e scevra di emotività al problema della pedofilia. In questa favola non c'è morale
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