“Mi accorgevo di avere la pelle d’oca. Senza una ragione, dato che non avevo freddo. Era forse passato un fantasma su di noi? No, era stata la poesia. Una scintilla si era staccata dal poeta e mi aveva dato una scossa gelida. Avevo voglia di piangere; mi sentivo molto strana.Avevo scoperto un nuovo modo di essere felice.” (Sylvia Plath)
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martedì 26 marzo 2019
Momenti di trascurabile felicità di Daniele Luccetti 2019.
Non basta Pif - che non è un attore e si vede lontano un miglio- a renedere Momenti di Trascurabile Felicità (dal romanzo di Francesco Piccolo) un buon prodotto, nè le sue domande non-sense: perché lo strumento frangi vetro da utilizzare in caso di emergenza sul tram è custodito dentro una membrana di vetro? come possiamo essere certi che la luce del frigorifero si spenga quando chiudiamo il frigo? Perché il primo taxi disponibile non è mai il primo della coda, ma quasi sempre l'ultimo?
Questo panegirico che non fa ridere, dopo dieci minuti stanca.
E anche le sue idiosincrasie, non supportate da un impianto visivo all'altezza o almeno coerente. Insomma, sono tutte frasi che sentiamo dire al protagonista, ma che non ci convincono, non risuonano nella nostra testa e che speriamo si concludano presto.
Poi lo scontro - unica scena degna di nota- davvero impressionante per il realismo sconcertante, seguita da una visione dal basso di un abisso, o di una estranea dimensione, rivolta verso l'alto, una scena alla Nolan, molto forte e straniante, per nulla scontata in un contesto sin troppo tipico da commedia italiana leggera e malinconica.
Paolo, il protagonista, è piuttosto narcisista e spesso incurante degli effetti delle proprie azioni, il quale si rende conto solo di fronte all'ineluttabile (la manovra azzardata all'incrocio) di cosa vuol dire eseguire una manovra sbagliata.
L'unica parte onesta, sincera è il resoconto della storia d'amore dei protagonisti, normale, fatta di tradimenti, ripensamenti, scelte sbagliate, concreta. L'apologia del padre e marito assente che si pente non funziona, o almeno oscura il resto, non ci si rivede, non ci si commuove. Non c'è proiezione. Troppa insistita tenerezza, ruffianeria nel rendere un ritratto assolutorio del peggior uomo medio. E nient'altro.
Bocciato completamente il finale, banale, scontato.
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domenica 3 febbraio 2019
The lobster di Yorgos Lanthimos. 2015
Non un è mondo fantastico, piuttosto un universo kafkiano, dove non è la realtà ad essere assurda, ma è l’assurdo che diviene reale. Nella società di The lobster la solitudine non è ammessa, per una strana legge, infatti, chi è single viene arrestato: le persone che non amano vengono condotte in un albergo, dove hanno qualche settimana per poter trovare l'anima gemella e tornare nel mondo, se questo non avviene verranno trasformati in un animale a loro scelta.
Colin Farrel sceglie l'aragosta (the lobster) perchè è fertile e sopravvive al secolo di vita."Bene - gli viene risposto - di norma tutti pensano ai cani, ed è per questo che ce ne sono così tanti. Pochi pensano agli animali esotici, ed è per questo che rischiano l'estinzione".
Una voce over racconta il banale, ciò che già va in scena e non ha bisogno di essere riproposto, ma copre l'essenziale, anticipa gli eventi, li segue, vi si sovrappone.
Non vi sono ammesse vie di mezzo: sei eterosessuale o omosessuale, solo o in coppia, perchè - sembra suggerire il regista- in una società commerciale e normativa come la nostra definire bene le categorie è assolutamente necessario, schedare gli altri, renderli prodotti. Non esiste il vero amore, non esiste il vero affetto, i sentimenti sono ricondotti all’avere cose in comune ed esserne razionalmente consapevoli. Tutti i personaggi di Lanthimos sono noncuranti, privi di personalità e slanci di vita, espropriati del più minimo barlume di intelligenza, semplici automi, individualisti, completamente anaffettivi: c’è chi prova a sedurre puntando esclusivamente sull’abilità sessuale, chi rinuncia ad accoppiarsi perché non ha mai trovato un compagno con i capelli belli come i suoi, c’è chi simula lo stesso disturbo fisico per fare colpo sulla futura partner.
David allora fugge e si rifugia fra i “solitari”, ribelli al sistema che rifiutano l’accoppiamento, si impongono anzi di non avere legami. Vivono nel bosco circostante l’albergo come guerriglieri. Ma se diverso è il credo, altrettanto rigide e castranti sono le regole. E il protagonista sceglie, contro ogni regola, in cambio di un prezzo altissimo, l’amore, unico mezzo per giungere alla libertà.
La conclusione - in pieno stile Lanthimos- sarà nichilista: scegliere il cuore, anteporlo alla ragione, porterà inevitabilmente ad un mondo senza luce.
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Olanda | 2015
sabato 29 settembre 2018
Battle of the Sexes di Jonathan Dayton, Valerie Faris. 2017
Ho adorato Little Miss Sunshine, così ho recuperato La battaglia dei sessi (degli stessi registi), che ha avuto l'ambizioso compito di riportare alla luce la celebre partita di tennis avvenuta il 20 settembre 1973 tra Bobby Riggs e Billie Jean King
Il film ricostruisce l'atmosfera tagliente di quegli anni in campo sportivo, scandendone tutte le tappe, fino ad arrivare al famoso match conclusivo: novanta milioni di telespettatori sintonizzati davanti alla tv per vedere un cinquantenne ex campione di tennis, autodefinitosi 'porco maschilista', sfidare una 29enne campionessa in attività, da mesi in guerra con la federazione tennistica americana per riconoscere a lei e alle sue colleghe un compenso pari a quello maschile.
Billie Jean in seguito, infatti, ruppe con la federazione tennistica per fondare la Women’s Tennis Association, inizialmente considerata illegale, diventando la prima tennista a guadagnare oltre 100,000 dollari all’anno.
Negli anni settanta erano già nati negli Stati Uniti, sull'onda del famoso 68' europeo e mondiale, il movimento femminista e la rivoluzione sessuale. In questo contesto nacque negli anni settanta nell'ambiente tennistico statunitense l'idea di fronteggiare queste richieste per avere una retribuzione equa tra uomo e donna ed i movimenti femministi correlati con delle sfide dimostrative sul campo da tennis .
Settantatre. Anno epocale per noi femministe: venne approvato il Titolo IX della Costituzione, che ratificò la parità dei diritti fra uomo e donna, e la Corte Suprema emise una storica sentenza sul diritto all’aborto.
Il resto è storia, il resto è Billie Jean King. Femminista convinta, lesbica, vorace sportiva, interpretata da un'ineccepibile Emma Stone. Contro l'egocentrico e narciso Bobby Riggs, uno scommettitore seriale mantenuto dalla ricca moglie, che attacca le tenniste, perchè "umorali e inadatte a reggere emotivamente una gara contro un uomo" e che sfida col fine di dichiarare la sua presunta superiorità ( ma a fior di sponsor ovviamente)
Entrambi indossano una maschera di fronte al mondo e agli altri, che calano solo quando scendono con una racchetta in mano nel rettangolo da gioco. Lì, in quell’istante, sono liberi, e si rivelano per ciò che sono: in fondo un po'uguali. Entrambi incostanti nei rapporti umani, soli perché incapaci di legarsi veramente a qualcuno.
Impossibile non pensarre a Serena Williams e all'unicità delle tenniste, icone assolute di femminismo.
Vi adoro.
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mercoledì 7 marzo 2018
Lady Bird di Greta Gerwig. 2017
Come François Truffaut nei suoi “I 400 colpi”, o come Bergman che ha realizzato film che erano diari della sua esistenza, anche Greta Gerwig esordice in questo suo primissimo lavoro con una storia autobiografica, tornando nella natia Sacramento, dove racconta la storia di una ragazza (se stessa) di 18 anni, ambientandola nel 2002 (quando appunto la regista aveva 18 anni). "Chiunque parli dell’edonismo della California non ha mai passato un Natale a Sacramento”. L’incipit del film già ci dice tutto, preannunciando quella voglia di fuga che tutti conosciamo nei nostri paesi natii, il tutto accompagnato dalle note avvolgenti di Jon Brion.
Lady Bird è Christine,sedicenne che ha bisogno di spiccare il volo, di uscire dai confini della periferia di Sacramento; la sua priorità è quella di sprovincializzarsi e frequentare un college della East Coast.
Vi innamorerete follemente di lei: è ormonale, scostante e sognatrice. In equilibrio precario. Come quando, in una delle scene più riuscite, quella iniziale in macchina con la madre, apre lo sportello e si lancia dall'auto in corsa, esibendo poi quindi nella prima parte del film un gesso rosa shock.
In bilico tra ciò che è e ciò che, invece, la società impone, cercherà quella vena un po'cool che però non le appartiene, sia in amiciia, sia in amore. Timothy Chalamet è il personaggio più riuscito in questa sua ricerca: sofferto adolescente borghese, con idee complottiste e anti-governative, naif anche lui, ma nel senso più profondo, senza via di scampo, già annoiato dalla vita.
Lady Bird è cinema indie a 360° gradi, dove si parla della scoperta della sessualità, di omosessualità e depressione con un linguaggio esplicito e diretto. Se questo è il film d’esordio di questa reista che mi è coetanea, non vedo l'ora di vedere i prossimi.
martedì 26 settembre 2017
L'ultima ruota del carro di Giovanni Veronesi. 2013
Quando Veronesi ha deciso di abbandonare i film commerciali di DeLaurentis ha fatto la scelta giusta.In "L'ultima ruota del carro" si è affidato alla Fandango di Domenico Procacci, il più delle volte sinonimo di qualità, e alla Warner Bros, non solo in ambito distributivo ma anche partner produttivo.
Il prodotto risulta, a mio avviso, troppo "televisivo", alto, ma pur sempre televisivo.
La storia è quella del suo autista: Ernesto, nel cuore di una Roma santa e un po' puttana, politicamente corrotta e calcisticamente esaltata dalle prodezze sulla fascia di Bruno Conti.
Affidatosi alle verità sviscerate dal 'vero' Ernesto, Veronesi ha provato a ripercorrere un pezzo di storia recente del nostro Paese: dai brigatisti anni 70 devastati dal ritrovamento di Aldo Moro passando per il mondiale del 1982, la Tangentopoli di inizio anni 90 e la discesa in campo del Cavaliere nel 1994 con Forza Italia, fino agli anni della crisi di questi giorni.
Ok, la storia è banale, ma è tutto molto semplice e umano. E a volte, va bene così.
martedì 29 agosto 2017
La sedia della felicità di Carlo Mazzacurati. 2014
L'intellettuale e colto Carlo Mazzacurati ci manca molto.
E dopo un mese di vacanze estive, torno ad aggiornare il blog con il suo ultimo film.
c'è un tesoro, accuratamente nascosto nell'imbottitura di un'orrenda sedia zebrata dalla galeotta madre di un celebre bandito , la morente Katia Ricciarelli. La vecchia signora, infatti, non gode di buona salute e infatti spira in carcere, con le unghie smaltate a mezzo e tra le braccia di un'estetista, non senza averle rivelato in punto di morte l'insolita ubicazione del malloppo. Inutile dire quanto il bottino farebbe comodo alla donzella, vessata com'è dalle pressanti richieste di un buzzurro creditore, interpretato dal mitico Natalino Balasso, a capo di una squadra di pignoramento rumena e sempre sul piede di guerra - "Bucarest 1, irruzione!"
Peccato che un'asta giudiziaria abbia disperso per il Veneto i beni della defunta, costringendo l'intraprendente estetista, soccorsa dallo spelacchiato tatuatore del negozio di fronte, cui l'umanesimo sincero e sottilmente comico di Valerio Mastandrea dona straordinaria autenticità, a una vera e propria caccia al tesoro on the road, complicata dall'irrompere in scena di un insolito pretaccio interpretato da Giuseppe Battiston, dai nobili ideali (forse), ma dalle ambizioni più che terrene.la felicità forse non si nasconde in uno scrigno colmo di gioielli: più probabilmente sta negli affetti, nella solidarietà, nell’amicizia, nell’amore. Possiamo passare dai capodogli dell'Oceano agli orsi delle Dolomiti e trovarla improvvisamente nel silenzio più vicino al cielo,avere fiducia nella vita proprio mentre la sua se ne sta andando. Radici russe per una fiaba veneta che mette a valore la sua ironia, la sua voglia di allegria, il suo colto umorismo. Restituendoci l’aria più pulita del nordest ci suggerisce che se esiste un Paradiso degli Orsi è lì che, se vorremo, potremo andare a trovarlo.
mercoledì 14 giugno 2017
Perduto amor di Franco Battiato
"mi piacciono le scelte radicali, la morte consapevole che si autoimpose Socrate, e la scomparsa misteriosa ed unica di Majorana, la vita cinica ed interessante di Landolfi, opposto ma vicino a un monaco birmano, e la misantropia celeste in Benedetti Michelangeli "
sprazzi di poesia, citazioni colte, momenti di (voluta?) ingenuità. appagante, la sensazione di aver ascoltato/visto qualcosa di personale, valido e genuinamente “artistico”.Con la scusa di raccontare l'infanzia siciliana di Ettore, a metà tra gli anni Cinquanta e Sessanta, i rapporti con la madre (la sorprendente Donatella Finocchiaro), donna di grande fascino poco amata da un marito distratto e fedifrago e a seguire la sua adolescenza fino a giungere nella Milano del boom economico, per distaccarsi dall'adorata Sicilia e iniziare un percorso di conoscenza di se stesso e della sua vocazione di scrittore, in buona sostanza, Battiato ci parla delle cose che interessano l'artista-persona: il mare, la musica, la filosofia, gli studi esoterici, la religione
venerdì 3 marzo 2017
Beata ignoranza di Massimiliano Bruno. 2017
L'ennesimo film contro i social network, solo molto più noioso.
Storia banale, priva sia di tempi comici apprezzabili, sia di stratagemmi per creare una forte empatia con il pubblico. Non diverte, non emoziona, insomma una barca che fa acqua da tutte le parti dalla quale non si salvano neanche gli interpreti i quali, pur bravi e talentuosi, non riescono a dar consistenza ai loro ruoli e offrono prestazioni anonime e deludenti.
Ok, siamo facebookdipendenti. E allora?
Beata Ignoranza, in conclusione, rappresenta un enorme e significativo passo indietro per Massimiliano Bruno.
Non andate a vedere questo film.
giovedì 5 gennaio 2017
Vicky Cristina Barcelona di Woody Allen. 2008
"Scarlett è una donna incredibilmente attraente. È bellissima, è sexy in un modo tutto suo e l’obiettivo la adora. Se lei fosse qui, uno penserebbe: 'Carina, dal vivo'. Ma in fotografia la bellezza diventa ancora più evidente. Penélope è diversa. Sullo schermo è incredibilmente bella - una delle donne più belle della terra. Ma quando la incontri dal vivo, è ancora più bella. Da non crederci... Quando ho incontrato Penélope per la prima volta - l’avevo vista nel film Volver pensando fosse bellissima - non potevo credere quanto fosse stupenda... era come... celestiale, come se fosse scesa da Marte o Giove.”
Woody Allen, 2008
Trentanovesimo film di Allen, il primo girato in Spagna, il terzo con Scarlett Johansson, ultima delle sue muse ispiratrici.
L'amore secondo Allen. Punto. Solo lui ne sa davvero parlare, ed è per quanto che quando ho voglia di passione, follia, violenza e gelosia tutte insieme, riguardo i suoi film, l'amore è romantico solo se inappagato fa dire ad uno dei sui protagonisti.
La chiave è questa. Non sono clichè. E poi bicchieri di vino lungo tutto l'arco della pellicola, la solare Barcelona e le labbra della Johansson e un'accigliata, con i capelli arruffati Cruz.Comunque una domanda rimane: possiamo trovare tutto in un solo oggetto d’amore? E questo oggetto può mancare di qualcosa che siamo condannati a inseguire, nella realtà e nella fantasia, per tutta la vita?
mercoledì 4 gennaio 2017
Burn After Reading - A prova di spia di Joel & Ethan Coen. 2008
l'analista dei servizi segreti Osborne Cox (John Malkovich) riceve il benservito nell'ufficio dei suoi superiori: beve troppo, è inaffidabile, sta diventando una grana.
Allora, steso sul divano, incide le sue memorie su un registratore, che la moglie fedifraga Katie (Tilda Swinton) scarica su cd per farne un'arma in vista dell'imminente divorzio. Ma il disco viene perso dalla segretaria dello studio legale cui Katie si è rivolta e finisce in mani sbagliate: una coppia di istruttori di una palestra. Linda e Chad, che cominciano a ricattare Cox.
Il maniaco delle corsette e degli amplessi fugaci Harry Pfarrer (George Clooney) salta fra la moglie dell'agente segreto e la bionda Linda, che è in cerca di soldi per restaurare un fisico che «è arrivato al capolinea».
Chiusura di film bellissima: alla Cia fanno il riassunto di cosa è successo, del sangue versato, dei rischi corsi; la conclusione è che non si è capito il perché tutto sia successo.
Una dark comedy, con una spy story demenziale che fa il verso non solo ai grandi classici del passato, ma anche ai più recenti action movies, con ambientazione in Virginia. Difficile non pensare a Bush, tutti i personaggi sono ossessionati dall’idea della sicurezza e vivono con il perenne terrore di essere spiati.
venerdì 26 agosto 2016
Shortbus – Dove tutto è permesso di John Cameron Mitchell. 2006
In una New York post 11 settembre uomini e donne si ritrovano allo Shortbus, locale underground nel quale inibizioni e vergogna lasciano posto a sesso, libertà, amore e piacere.
inno anarchico sulla libertà fisica ed emozionale, apologo sfrenato al sesso e alle sue variazioni (e deviazioni, tutte apparentemente giustificate e giustificabili). Un approccio giocoso, spensierato ed esplicito ma mai volgare.
film compulsivo intimamente. Un indie corale, spesso incoerente, ma affascinante proprio per questo.Presentato fuori concorso, con inaspettato successo, al Festival di Cannes.
la storia racconta la vita di alcuni personaggi che frequentano lo Shortbus, locale underground di NY, nel quale le inibizioni non sono ammesse e il sesso e la libertà di espressione fanno da padrone.
So che sembrerò eccesiva, ma se ogni 16enne, perchè no, anche a scuola, vedesse questo capolavoro di pellicola: il sessismo, l’omofobia, l’ignoranza, e il puritanesimo che stagna nella cultura (soprattutto italiana) della gente di oggi sarebbero annientati.
Un amico mi ha informata del fatto che gli attori sono semisconosciuti, splendida colonna sonora ed eccezionale montaggio. Un piccolo capolavoro intimista e umanista, probabilmente il film del secolo, da vedere e diffondere. Perchè non è la bellezza che ci salverà, ma il sesso.
(Non segnalatemi, grazie)
domenica 31 luglio 2016
Lost in translation, Sofia Coppola. 2003
La maschera malinconica e beffarda di Bill Murray cattura e innamora.
Il film, opera seconda di Sofia Coppola, racconta l'incontro di due americani al Park Hyatt Hotel di Tokyo: lui è Bob Harris, un maturo attore hollywoodiano, avviato sul viale del tramonto, che è nella capitale nipponica per girare uno spot pubblicitario e per partecipare ad una trasmissione televisiva.Lei è Charlotte, una giovanissima neolaureata in filosofia, al seguito del marito John, fotografo di moda.
Entrambi si ritrovano spaesati e annoiati negli spazi vuoti dell'hotel, a contatto con una cultura aliena, fatta di soffocante gentilezza e formalismo, karaoke, videogiochi e voglia di emulazione di modelli occidentali un po' triti.Nel silenzio delle notti insonni, i due finiscono per incontrarsi negli ascensori, in piscina, nei corridoi e al bar.
La moglie di Bob gli invia in Giappone i campioni della nuova moquette e lo chiama nel cuore della notte, dimentica del fuso orario, per uno scambio di pareri, intervallato dai silenzi e dai ritardi della comunicazione intercontinentale.L'ambientazione in un paese straniero, straniero per tutti, ha del geniale, non c'è lingua che si comprenda, non c'è gesto che risulti familiare a nessuno dei due, il Giappone come specchio della propria vita: solitudine, estraneità, necessità di una guida, di conforto, di affetto. E poi una chiamata, eccomi, eccoti, un saluto, un abbraccio in mezzo alle luci, una voglia di fare l'amore che si farà attendere ancora a lungo e che poi non vedremo.
Struggente la scena finale, mi sono commossa: non si percepisce cosa lui le sussurri all'orecchio, ma lei smette di piangere.penso il messaggio della Coppola sia che siamo tutti persi. Perchè abbiamo perso la capacità di tradurre ciò che abbiamo dentro, e le ragioni del cuore, sostiene Pereira
lunedì 27 giugno 2016
Smetto quando voglio di Sydney Sibilia. 2014
Una via di mezzo tra un "Breaking Bad" e un "Boris" ambientato alla Sapienza invece che alla Rai. Funziona l'idea di dare alla commedia la parvenza di un film d'azione, tre quarti della storia sono in flashback, la presentazione dei ricercatori per brevi spezzoni via via che vengono arruolati e l'antagonista sfregiato (Neri Marcorè!)
Montaggio, inquadrature e velocità sono adrenaliniche. Se siete sul divano in preda alla voglia di fare qualcosa pari a zero per via del caldo, questo film vi darà ritmo. Tono azzeccato tra il fumetto e l'allucinato, sullo stile del Danny Boyle degli anni d'oro, rispetto alle luci piatte della commedia italiana, un risveglio per gli occhi.
martedì 21 giugno 2016
Ho Ucciso Napoleone di Giorgia farina.2015
«tutte le volte che esco con un uomo penso se è lui il padre con cui voglio che i miei figli trascorrano due weekend al mese»
Il primo film di Giorgia Farina è Amiche da morire, ed è un piccolo gioiello di scrittura di Fabio Bonifacci. Ho Ucciso Napoleone ,invece, è una sceneggiatura scritta dalla stessa Giorgia Farina (aiutata da Federica Pontremoli) molto più nonsense.
Una commedia pulp, dall'umorismo inglese, che, porta Anita (addetta alle risorse umane in una casa farmaeutica) a ritrovarsi, seduta sull'altalena di un parco giochi, licenziata in tronco e incinta del suo capo Paride alias Adriano Giannini, sposato padre di famiglia di cui è amante clandestina, ma anche che la conduce con glaciale freddezza a pretendere che tutto torni come prima, inclusa la libertà di non impegnata sentimentalmente senza figli.
Non male la prima parte, meno la seconda chesconfina troppo nel surreale, per poi arrivare ad una salomonica conclusione con Anita riassunta in azienda e (apparentemente) di nuovo legata al suo capo. Biagio, una volta scoperte le sue malefatte, fugge all’estero e riesce a farsi assumere a Parigi da un’altra azienda (ignara della sua vera personalità).
Il titolo riprende un’azione compiuta da Anita nel corso del film: non sapendo cosa farsene, uccide Napoleone, il pesce rosso che le è stato temporaneamente affidato da una bambina che vive con la propria famiglia nell’appartamento accanto al suo.
venerdì 19 febbraio 2016
Perfetti sconosciuti di Paolo Genovese. 2016
Un’inquadratura ad uccello isola l’appartamento di Rocco ed Eva, quartiere borghese della Roma agiata, a due passi dal Tevere, l’intero film è girato entro il ristretto spazio della sala da pranzo dei coniugi.Da circa 4 anni, ovvero da quando Alexandre de La Patellière e Matthieu Delaporte portarono in sala Cena tra amici, si è diffusa la tendenza ad alimentare commedie 'casalinghe', tutte giocate su un crescendo di risate e isteria. Giocando con la tutt'altro che velata metafora dell'eclissi lunare, Genovese ha illuminato quel 'Dark Side of the Moon' che chiunque di noi, nel suo privato, protegge con inevitabile attenzione. Perfetti Sconosciuti è un film di scrittura, tutto concentrato sui dialoghi, sui rapporti tra i suoi protagonisti e sui colpi di scena che 'trillo' dopo 'trillo' andranno a smontar loro ogni tipo di certezza.
giovedì 4 febbraio 2016
Joy di David O. Russell. 2016
David O. Russell fa un cinema popolare che racconta le vite difficili di statunitensi normali. A raccontare la storia è la nonna di Joy, l'unica della sua famiglia a credere in lei.
Ha una sorellastra approfittatrice che parla male di lei ai suoi figli e poi tante, troppe bollette da pagare.Ma la storia di un personaggio che sfida convenzioni sociali e ambiente ostile per realizzarsi è stata raccontata milioni di volte.La vera Joy Mangano è nota per un mocio, un trolley a scomparti, delle grucce salvaspazio, delle barrette cattura odori e un asciugabiancheria da viaggio. Sarebbe bastato un documentario, un film drammatico è troppo.
Non c'è storia. Sceneggiatura schematica e banale.salverei solo l'idea di rappresentare una società vorace, incapace di aspettare, insensibile e refrattaria nei confronti del talento.
ma a febbraio non c'è nulla di meglio in sala.
giovedì 31 dicembre 2015
Birdman (o l'imprevedibile virtù dell'ignoranza) di Alejandro González Iñárritu. 2014
"Perché non ho nessun rispetto per me stessa?"
"Sei un'attrice, tesoro"
Un'ascetica meditazione in mutande con un uomo di spalle e sospeso in aria. La scena iniziale riassume tutto il film: un bilico continuo tra assurdo e sberleffo.
Il film, che racconta la storia della morte del protagonista, apriva la 71esima Mostra del Cinema di Venezia. Ormai sessantenne,infatti, l'attore vuole un riscatto per scrollarsi di dosso il pesante ricordo dell'eroe piumato.Decide, così, di allestire a Broadway il rifacimento di "Di cosa parliamo quando parliamo d'amore" di Raymond Carver.
Non esiste un'unica trama: esistono almeno tre storie che si intrecciano tra di loro in un sapiente puzzle che rimanda al gusto del racconto corale presente in altre precedenti opere, come in "Babel". Qui però tutto è amalgamato con la vicenda di Thompson, che diventa un viaggio nella mente dell'attore, nelle sue ossessioni, nei deliri di onnipotenza.
Inàrritu gira con un unico piano sequenza, corretto dal digitale che gli permette di cambiare spazio e tempo con estrema fluidità.
La colonna sonora è di sola batteria, dove anche lo stesso batterista viene "impallato" dal movimento di macchina. Preparatevi a un labirinto di cunicoli e corridoi, quinte e soppalchi teatrali in cui i protagonisti si inseguono, si prendono e si lasciano continuamente.Riggan ormai incapace di distinguere anche lui scena e vita, sceglie di non simulare il colpo di pistola finale da suicida con cui la piéce si conclude e finisce, vivo per miracolo, all’ospedale. Il pubblico però è in delirio: i giornali parlano solo di lui, i social media esplodono e la stessa arcigna critica del ‘New York Times’ ha cambiato bandiera e lo elogia a spada tratta.
Memorabili la scena della conferenza stampa tenuta nel camerino con annessa satira della superficialità di molta critica e quella della corsa in mutande in Time Square. Ad assediare i protagonisti, proprio fuori dalle mura del teatro, una società che Iñárritu descrive nelle sue assurdità: ammalata di socialnetwork e tecnologia, capace ormai di osservare e vivere la vita solo attraverso lo schermo di un cellulare.
mercoledì 30 dicembre 2015
Magic in the Moonlight di Woody Allen. 2014
“Non ti posso perdonare, solo Dio può” – “Ma hai appena detto che Dio non esiste” – “Appunto”.
Siamo nel sud della Francia, circondati da suggestivi vigneti dal colpo d'occhio decisamente romantico, alla fine degli anni venti. Atmosfera vintage. Il grande illusionista Stanley Crawford smaschera finti medium e viene assunto per scoprire i trucchi della sorprendente sensitiva Sophie. Sappiamo tutti che Allen cura se stesso con il cinema, la sua razionalità si mitiga e gli dà tregua solo grazie alla magia del ciack.
Stanley è, come lui, un razionalista duro e puro, uno scienziato, poco incline a farsi illudere, a credere in una realtà altra rispetto a quella sensibile e logicamente comprensibile: Stanley è convinto che ogni fenomeno abbia una spiegazione qui e ora, e pazienza se l’infelicità personale ne è logica conseguenza.E' nevrotico, agnostico, che vede il mondo esclusivamente da un punto di vista razionale e, pertanto, si dimostra poco incline a far entrare nella sua vita sia il mondo spirituale che quello dell’occulto.
Ma l’ambiguità delle visioni di Sophie mantiene ottimamente durante lo svolgimento - grazie anche ad un’inaspettata interpretazione di Emma Stone, che sembra nata per stare davanti alla macchina da presa di Woody Allen. Non aiuta affatto l’interpretazione di Colin Firth, privo di quell’arroganza comica alla Oscar Wilde di cui il personaggio avrebbe bisogno. Certo manca il guizzo di novità, l’ispirazione e la volontà di raccontare il nuovo, ma ormai lo sappiamo, Woody Allen è una tradizione, per gli argomenti che racconta, per i personaggi e le nevrosi che mette in scena. Ma chi ha detto che la tradizione sia per forza una brutta cosa?
Darius Khondji. Genio della luce.
venerdì 4 dicembre 2015
Domicile conjugal di François Truffaut. 1969
Il film si apre con una insistenza quasi voyeristica sulle gambe di Claude Jade (ai tempi, la compagna di Truffaut) che recita la parte di Christine Darbon/Léaud. La ragazza ha un violino in mano perchè si scoprirà poi essere una musicista, e corregge i suoi interlocutori che la chiamano "mademoiselle", perché lei è sposata "No, pas mademoiselle, madame".
Antoine, il novello marito, per lavoro tinge fiori e li vende nel suo negozio, nel cortile del caseggiato in cui vive con la moglie, aiutandola con clienti insolventi. Le tinture di Antoine a volte non riescono, così il ragazzo decide di cambiare lavoro. Viene assunto per un malinteso (uno scambio di lettera di presentazione) in una grande impresa americana, non sarebbe mai stato assunto, si cerca uno che conosca bene l'inglese, mentre il suo inglese è piuttosto maldestro, proprio come ai tempi di "I 400 colpi" quando René non riusciva a pronunciare "Where is the father".
Il suo nuovo lavoro consiste nel manovrare battelli in miniatura che galleggiano in una vasca del parco (come un gioco per bambini). Nasce il primo figlio della coppia. Christine vuole chiamarlo Ghislain, ma Antoine lo registra come Alphonse. (da cui: prime liti).
L'oggetto del desiderio, per essere tale, deve necessariamente essere "altrove" e s'innamora di una giapponese, tradito ancora una volta dai fiori, nei quali la sua amante aveva incastrato messaggi d'amore che fuoriescono dai fiori quando questi si schiudono, Doinel è scoperto dalla moglie e si separano. Deve così abbandonare il domicilio coniugale, ma Antoine si stanca presto dell'avventura esotica, così torna dalla moglie.
sabato 21 novembre 2015
La classe di Laurent Cantet. 2009
“professore, io penso di non aver imparato nulla quest’anno: perché non capisco perchè studiamo quel che studiamo”.
Palma d'Oro al 61° Festival di Cannes (la prima francese 21 anni dopo “Sotto il sole di Satana” di Maurice Pialat), questa pellicola mette in scena la realtà del melting pot francese. Tra le mura della scuola si arriva con la propria rabbia, le proprie frustazioni, la propria storia. Ma di nessuno dei ragazzi -quasi- si sa nulla. E nemmeno dei professori. Soprattutto del protagonista, interpretato dallo stesso François Bégaudeau che ha scritto il libro da cui il film è tratto e ne ha anche scritto la sceneggiatura. François Bégaudeau recita il suo modo di insegnare, in cui ogni frase, ogni termine, ogni forma verbale è oggetto di confronto e discussione, ma in cui, in un’impostazione pedagogica ultrademocratica, Bégaudeau impone delle regole: l’alzarsi in piedi all’arrivo del professore, il dargli del lei, l’atteggiamento composto… tutte regole di disciplina necessarie per poter stabilire chiaramente, senza confusioni, i ruoli e per poter lavorare – anche se faticosamente.
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