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sabato 4 gennaio 2020

Sorry We Missed You di Ken Loach.2020

«Sorry we missed you». Come campeggia in alto sull'avviso che i corrieri a domicilio lasciano quando non trovano i clienti cui cosegnare il loro ordine. “Non pensare, guida” recita un foglio affisso alle pareti dell’azienda. Un corriere. Ovvero un lavoratore -in questo caso- autonomo, che non può ammalarsi, fermarsi o pagherebbe pegno perchè costantememte sotto controllo elettronico. Che non ha finito di pagare il furgone, che paga a rate impegnando l'auto della moglie ( unico mezzo con cui era solita recarsi al lavoro), in costante gara con se stesso, con i suoi ritmi, con i suoi affetti, con la sua umanità: a che cosa giornalmente è disposto a rinunciare per ben 14 ore consecutive? Al tempo da dedicare al figlio maggiore, writer scontroso in piena crisi di crescita, alla minore di undici anni che si organizza sulle indicazioni che la mamma le detta al cellulare tra un bus e l'altro mentre si reca a fare assistenza domiciliare.
Flm altamente ansiogeno, ma fottutamente credibile, autentico. Nessuno tra cento anni potrà non capire, grazie ai film denuncia di Loach, come il lavoro sia ad un certo punto dell'esistenza umana diventato un ingranaggio distruttivo. Come la comodità dell'acquistare sempre tutto online con un clic, un tap abbiano annebbiato il resto: lo sfruttamento, la denuncia, il mondo oscuto dell'e-commerce. Propositi per il 2020: migliorare il mio inglese. Sono convinta che questo film vada assolutamente più di altri guardato in lingua originale. Snobbare per una vita intera le grandi platee e i compromessi per raggiungerle: solo Ken Loach, avercene sant’Iddio!

giovedì 9 maggio 2019

Stanlio e Ollio, di Jon S. Baird. 2019

Questa è la storia di una parabola discendente, incentrata, infatti, sulla fase crepuscolare della carriera del duo comico. È un giovane bigliettaio inglese a rendere chiare le strade che il film desidera esplorare: quando un’anziana signora gli chiederà “chi interpreta Stanlio e Ollio in questo teatro?”, lui risponderà: “loro interpretano se stessi!” Tratto dal libro di A.J. Marriot sull’ultima tournée inglese e ambientato quasi interamente nel 1953. Il successo è un ricordo lontano e i due vecchi re della commedia hollywoodiana sono stati soppiantati da altri comici. Accettano di esibirsi in teatri semivuoti e di alloggiare in hotel fatiscenti.
Di vita vera dei due non c’è moltissimo, tranne la debolezza di Ollio riguardo le donne, il noto fattaccio del tentativo di diventare indipendenti sul quale non erano affatto concordi e che ha accelerato la fine della loro carriera. Di tanta gente che li ama, ma non capisce o ricorda le loro battute, eppure continua a ridere per quel che fanno. Di grande impatto le ferite personali del più riflessivo Stanlio, costantemente insoddisfatto, creatore infaticabile, che cattura e paralizza smorfie di tristezza, perfettamente complementari a quelle più rozze del frettoloso e approssimativo Ollio. Eppure mentre ballano e si esibiscono vivono sulla scena come un corpo solo. Storia di un'amicizia ma anche di una vera storia d'amore con un'acuta disamina del processo creativo e un' ode malinconica a un tipo di cinema che non esisterà più. Magia. Tanta magia.

giovedì 18 aprile 2019

Capharnaüm di Nadine Labaki. 2019

Premio speciale della Giuria al 71° Festival di Cannes. Cafarnao. Nella tradizione cristiana Caphernaum è il villaggio della Galilea dove Cristo ha compiuto i suoi miracoli. Zaim ha 12 anni e di miracoli non sa compierne. Sa solo sopravvvere, fin quando non si ribella ai suoi genitori scappando di casa, dopo che questi hanno costretto la sorella a sposarsi pur essendo ancora una bambina. Macchina a spalla e finto approccio documentaristico su Beirut, spesso vista dall'alto, dalla ruota di un luna-park. Il film inizia con il piccolo Zain che denuncia i suoi genitori per "averlo messo al mondo", costringendolo ad un'esistenza di stenti e dolore.
Zain sa tutto della vita, anche che quel sangue che ha perso per la prima volta la sorella significa l'inizio della fine, significa che da da quel momento in poi lei può finire in sposa secondo le inumane leggi del suo Paese, che rendono possibile sposare una bimba di 11 anni. In una scena terribile e bellissima -la migliore di una lunga serie- proverà in tutti i modi a farla andare via per salvarla a quel destino. Lotta come un leone insieme a lei, lei che grida "non farmi andare!" La sua storia incontra quella di Rahil, una ragazza etiope che lavora in un ristorante e nasconde il suo bambino piccolissimo per non essere espulsa. Quando verrà messa in carcere, sarà Zain a prendersi cura del suo piccolo Yonas,in una casa di lamiera, mangiando del ghiaccio e zucchero, l'unico cibo ormai rimasto. I detrattori non hanno risparmiato la regista dalle critiche- che nel film si ritaglia il ruolo dell'avvocatessa che assiste il protagonista- accusandola di avere spettacolarizzato la miseria delle famiglie spesso provenienti dalla vicina Siria, ma il coinvolgimento emotivo non è forse necessario perchè il messaggio di denuncia venga recepito? L'impegno della regista è più etico che emotivo. Zain (Zain al-Rafeea) è davvero un profugo siriano che all’età di 12 anni si è rifugiato in Libano, a Beirut. E appena l’anno scorso è riuscito a trasferirsi stabilmente con la sua famiglia in Norvegia, dove ora gode del diritto d’asilo e frequenta la prima scuola della sua vita. Nella chiosa Zain, finalmente, sorriderà. Per la foto della carta d'identità, della libertà, del sentirsi finalmente "esistente", del sentirsi finalmente vivo. Una vera bomba emotiva.

martedì 22 gennaio 2019

Moonlight di Barry Jenkins. 2017

Moonlight ha vinto tre Oscar, tra cui il premio come miglior film, era necessario recuperarlo. Ambiemtato in uno dei luoghi di subalternità più eclatanti degli Stati Uniti contemporanei: i ghetti urbani abitati da afro-americani e ispanici, pieni di case popolari, con un fiorente mercato di droga e armi. Il quartiere di Liberty City a Miami in particolare (dove è nato e cresciuto il regista) La trama è divisa in tre atti, ognuno dei quali corrispondenti a una diversa fase della vita del protagonista: infanzia, adolescenza ed età adulta. La locandina originale di Moonlight, infatti, è dominata da una faccia tripartita: una per ogni attore che interpreta le diverse fasi della vita del protagonista. Da ragazzino lo chiamano Little, Chiron, “Black”, la preside lo chiama “boy” (“I ain't boy” le risponde lui) si trova a combattere con una madre tossicodipendente, compagni di scuola bulli che lo picchiano perchè è diverso, perchè non è conforme alla società. Barry Jenkins è tra i registi su cui contare.

domenica 13 gennaio 2019

Il sacrificio del cervo sacro, di Yorgos Lanthimos. 2018

Ma la colpa è del chirurgo o dell’anestesista? Per cercare la risposta occorre immergersi in esplorazioni kubrickiane di corridoi labirintici infiniti attraverso vellutati movimenti di macchina, zoom lentissimi, recitazione fredda, controllata e magnetica. L'assaggio lo abbiamo già durante le immagini di apertura: un cuore pulsante, accompagnato dallo Stabat Mater di Schubert, e cioè una preghiera in cui il fedele chiede alla Vergine Maria di renderlo partecipe delle pene del figlio crocifisso. Un cardiochirurgo e la sua bella famiglia, con due figli. Una casa elegante, grande, luminosa. Il letto a baldacchino della stanza matriomoniale è quello de L’esorcista, teatro di anemia affettiva, attraverso il quale un rapporto sessuale diventava una performance da sala operatoria. "Anestesia totale"?- chiede la Kidman (la moglie) prima di offrirsi sessualmente al marito ( lo straordinario Colin Farrell) con prostrazione cadaverica. Martin (un ragazzo che incontra spesso il chirurgo, a cui due anni prima è venuto a mancare il padre, durante un operazione) è apparentemente tranquillo e in cerca di una figura paterna, fin quando profetizza la lenta e progressiva morte di tutti i membri della famiglia, senza che se ne capisca il senso. E' la divinità che fissa le regole del gioco. E'il regista che spiega agli altri personaggi -che rappresentano lo spettatore- come deve interpretare ciò che sta succedendo.
Il film è la rivisitazione in chiave contemporanea della vicenda mitologica di Ifigenia, viene, infatti riprodotta la struttura della tragedia classica: prologo, tre atti, epilogo. A scanso di equivoci, durante un colloquio tra il padre e il preside della scuola dove studiano i suoi figli, quest’ultimo fa riferimento ad un ottimo saggio della figlia maggiore sulla Tragedia di Ifigenia. Nel mito- Agamennone uccide per divertimento un cervo (da qui il titolo) e per punizione viene costretto a sacrificare la propria figlia Ifigenia all’altare. Questo è anche il motivo per cui vengono menzionate spesso le prime mestruazioni della ragazza: il passaggio tra l’infanzia e l’età adulta, scopo metaforico del sacrificio nel mondo greco. Ma qui gli eroi dove sono? Si capirà che il cardiochirugro, molto probabilmente ubriaco, ha ucciso il padre di Martin durante l’operazione. Dovrà quindi compiere un sacrificio, ma è un uomo completamente inetto, incapace non solo di agire, ma anche di subire il suo destino. La tragedia non può compiersi. E noi rimaniamo sbigottiti e con tante domande Grottesco e cattivo. Ma soprattutto ansiogeno.

domenica 6 gennaio 2019

Cold war di Paweł Pawlikowski. 2018

Andiamo dall’altra parte, la vista è migliore da lì”. Con la dedica finale di Pawlikowski, “ai miei genitori” capiamo che i due protagonisti non condividono solo il nome di battesimo (Wiktor, pianista e arrangiatore colto e malinconico e Zula, la sua allieva) dei genitori del regista, ma che ad essere narrata è proprio loro storia, un tentativo di riportarli in vita per farli tornare a suonare, cantare e danzare quell’amore così travolgente e impossibile, tra una Berlino divisa in due, la Jugoslavia e la Parigi bohémien. In una Polonia devastata dalla guerra c’è chi pensa che la ricostruzione passi pure dall’Arte, cioè il“Mazowsze”, corpo di ballo e canti popolari nato per volontà del governo filosovietico, esportato in tutto il blocco orientale nell’arco degli anni ’50, su cui il governo mette gli occhi, trasformandolo in uno strumento di propaganda comunista. Il musicista e direttore della compagnia s'innamora della misteriosa allieva Zula. Arrivati a Berlino Est per un’esibizione, Wiktor organizza la fuga dall’altra parte del blocco per vivere finalmente in libertà quella storia d’amore. Ma Zula, contro ogni previsione, non si presenta all’appuntamento concordato. Non ha rimostranze contro il comunismo e anzi teme la libertà del blocco occidentale, che percepisce come un ostacolo che evidenzia la distanza culturale con il suo amato. La vita da esuli, pur ricca di successi artistici e musicali, li consuma, li priva della loro identità e li rende deboli. Lei annega nell'alcol, lui in una debolezza cronica e priva di carattere. Zula, infatti, dirà ad un certo punto al suo uomo: «non sei più lo stesso che eri in Polonia».
C'è per tutto il film un apparente freddezza emotiva, la passione di Zula e Viktor racchiude, infatti, e diventa l'emblema dello spirito polacco, quello di un popolo oppresso da nazisti e comunisti. Ma l’amore è una ragazza che ti volta le spalle e se ne va per sempre: poi esita, si ferma, torna indietro correndo e ti bacia. Grazie per quel brivido. E per tutta la sensualità del montaggio, per l'importanza data alla musica, dove ciò che viene cantato è importante più di ciò che viene detto. Magnetica Joanna Kulig

martedì 25 settembre 2018

A Bigger Splash di Luca Guadagnino. 2015

Che Luca Guadagnino sia un egocentrico ce lo dicono i suoi film, soprattutto "A bigger splash". Potrei annoverare questa sua pellicola tra le peggiori del regista, il difetto è soprattutto della sceneggiatura di David Kajganich, rarefatta, troppo inconcludente, troppo grossolana, con battute veramente infantili ("siamo tutti osceni"). Il film deve il suo titolo ad un quadro di David Hockney, che raffigura appunto uno spruzzo in piscina, dovuto ad un tuffo appena avvenuto, un gesto impetuoso. Ed è questa la chiave della storia: gesti impetuosi, di pancia, istintivi. La trama è ispirata, invece, ad un film piuttosto simile, ma qualitativamente migliore: “La piscina”, film francese del 1969 firmato da Jacques Deray e interpretato da Alain Delon, Romy Schneider, Maurice Ronet e Jane Birkin. Una processione religiosa, in cucina del cibo di voluttuosa bellezza. Questo è quello che funziona. Per il resto c'è una piscina, un morto e quattro snob: una cantante rock famosissima, il suo ragazzo fotografo toyboy, il suo produttore e la figlia di questo (l’unica che risulta convincente, Dakota Johnson nei panni di una Lolita con un’indole fragile e sensibile) in una villa a Pantelleria in estate.
L’intesa erotica tra la protagonista Marianne e il fidanzato è fortissima: passano le intere giornate praticamente nudi nel giardino della loro villetta, presi da un sano e dolce far niente. Riesce a far peggio il maresciallo Guzzanti. Quando Marianne, la rockstar protagonista, gli fa intendere: forse l'autore del delitto è uno dei clandestini dell'isola, lui le risponde "li abbiamo già offesi molto, questo non potrà offenderli di più", goffo tentativo di voler strizzare miseramente l'occhio alla problematica "clandestini". Ma non bastano questi accenni per fare di te un intellettuale impegnato, caro Guadagnino. Regia mediocre, patinata e finta

giovedì 26 aprile 2018

Jackie di Pablo Larrain. 2016

Chi è davvero la ex signora Kennedy?Jackie non è una Kennedy, lo è solo in maniera acquisita. E morto suo marito rimane quindi "soltanto" una donna senza più nulla, se non i propri figli. Quanta ipocrisia c'è in Jackie? Quanto vero dolore? Quanto narcisismo? Il regista risponde con una lunga intervista. Una donna a cui guardiamo con diffidenza, come il giornalista che la intervista a una settimana esatta dal "fattaccio". Affranta, afferma che il marito a volte andava "nel deserto per essere tentato" ma poi "tornava sempre dalla sua amata famiglia", trasfigurando biblicamente i tradimenti del marito, pur essendo ben consapevole dell'ipocrisia intrinseca a questa visione delle cose. "E io non fumo", dice con la sigaretta alla mano. Perchè la tragedia di Jackie è proprio questa: la consapevolezza -che la straordinaria Portman rende con i tantissimi primi piani- del dover ogni giorno raccontare una favola. Al sacerdote che officerà le esequie del marito (John de Maria nella sua ultima apparizione sullo schermo) rivela: "Tutto quello che ho fatto per il funerale non è per lui, né per il suo lascito, ma per me". Per non essere dimenticata - emblematica la scena in cui guarda dei manichini con la sua stessa pettinatura-
vorrebbe gli stessi funerali che furono di Lincoln, presidente assassinato anch'egli durante il proprio mandato. Jackie mira a ricreare una seconda Camelot, la mitologica reggia di Re Artù, perchè ormai è sola e l'unica risposta è procedere all'edificazione del mito: raccontare al mondo una favola per coprire le ombre, facendosi in definitiva attrice della stessa grande ipocrisia che ha messo lei sotto scacco. Fenomenale la sceneggiatura di Noah Oppenheim (premiata a Venezia) accompagnata dai toni bassi e distorti delle notevoli musiche di Mica Levi

venerdì 29 dicembre 2017

Wonder Wheel di Woody Allen. 2017

Woody Allen ci aspetta, ogni anno, al varco di dicembre. Non si può che chiudere l'anno con lui e quindi sono salita sulla sua "ruota delle meraviglie". Vi diranno che questo regista ormai è vecchio, stanco e non ha più nulla da dire. Non credeteci! Campo lungo sulla spiaggia di Coney Island, con la ruota panoramica e le insegne colorate dei negozi, la folla di bagnanti e gli ombrelloni.
Ma è Justin Timberlake?! - mi chiedo ad un certo punto- Si! Lui. Guarda in camera dall’alto della sua postazione da bagnino anni ‘40 e introduce il film parlando con gli spettatori, illustra i personaggi di questa tragedia greca che andrà in scena. Metateatro. Inevitabile non pensare al tributo a Douglas Sirk, dove un’aspirante attrice con una figlia e senza marito, incontra una domestica di colore, anche lei con una figlia a carico, insieme alla quale avrebbe formato una strana famiglia di quattro donne. Anche Allen sceglie una ex attrice di teatro fallita, Ginny, madre di un ragazzino problematico e sposata in seconde nozze con un uomo che non ama; un ex alcolizzato, riciclatosi come giostraio. L'uomo ha una figlia di primo letto: Carolina, antagonista di Ginny perchè giovane e bellissima, fuggita dal marito gangster e riappacificatasi col padre; e poi c'è Mickey, aspirante drammaturgo che per mantenersi d’estate fa il bagnino a Coney Island. Va prima a letto con Ginny e poi innamorandosi di Carolina, scatena la gelosia dell’ex amante. Tutti hanno una gabbia sociale ben definita, tranne il giovane figlio della donna: Richie, che è il particolare che sfugge. Appicca incendi e nessuno ne capisce il motivo. Perchè la salvezza è fuori dal controllo razionale. Questo ci suggerisce Allen. "io non sono una cameriera, sto solo recitando una parte" dice spesso Ginny per sopravvivere. E così nel finale Allen ci regala la scena madre, recitata dalla strepitosa Winslet tra vecchi vestiti di scena riesumati (solo questa scena vale tutto il film), Mickey esce per sempre dalla sua vita e di scena e la donna resta sola finché non rientra il povero marito. La fotografia ipersaturata che segue gli stati d'animo della donna, si fa improvvisamente realistica, dalla wonder wheel non penetra più nessun riverbero. Il cinema spegne i riflettori e il reale continua.

venerdì 23 dicembre 2016

Brotherhood – Fratellanza di Nicolo Donato. 2009

Squallido ambiente ultradestra. Lars deluso da un mancato avanzamento di carriera, decide di lasciare l'esercito per poi scoprirsi attratto dal movimento neo-nazista e da Jimmy, membro del gruppo. riprese ravvicinate di particolari fisici: mani, schiene, nuche rasate, tatuaggi, fino alla straordinaria sequenza del concerto nazirock, un magmatico groviglio di corpi maschili sudati, in cui l’aggressività diviene abbraccio, tenerezza, violenza e desiderio.
Poca introspezione, perchè un omosessuale diventa una testa rasata? La flebile spiegazione al "cuor non si comanda" non ci basta. Quanta tenerezza però nel contrasto tra Lars e Jimmy quando sono soli e la violenza del linguaggio del gruppo che nega assolutamente che un nazista possa essere gay.

lunedì 9 maggio 2016

Nebraska di Alexander Payne. 2014

Un road-movie per avvicinarsi a quel padre un po'distante per trovare una comprensione e conoscenza reciproca. Per resitituirsi dignità a vicenda. La cornice è il Midwest con i suoi tipi silenziosi e buffi, camicia a scacchi e pantaloni sdruciti, personificati da un eccellente frastornato e claudicante Bruce Dern. "Ha l'Alzheimer?", chiedono di lui. "Crede a ciò che gli dicono", risponde secco il figlio. Mi ha affascinato non poco il surrealsimo della famiglia che guarda la tv, la frontalità astratta, sospesa, di certe immagini.

venerdì 14 febbraio 2014

A proposito di Davis di Joel ed Ethan Coen. 2013

Se non è nuova e non invecchia mai allora è una canzone folk
Una trama troppo semplice. Ma si, diciamolo pure senza paura del fatto che si tratti di un film dei leggendari fratelli Coen, Insulsa. Noiosa. Piatta. Llewin Davis è il monoespressivo protagonista cantante folk squattrinato e sfigato. Elemosina divani su cui dormire e palcoscenici su cui esibirsi. Un gatto compagno di viaggio, simbolo della libertà e dell'indipendenza tanto cercata dal protagonista. Sarà un capolavoro incompreso forse, ma i film senza trama mi annoiano, e mi annoia anche scriverne. Buon San Valentino lettori.

venerdì 1 novembre 2013

La vita di Adele di Abdellatif Kechiche. 2013

Ho l’impressione di fare finta, di fare finta su tutto: a me manca qualcosa.”
Dopo il primo matrimonio gay in Francia, la pellicola ha meritatamente vinto la Palma d'oro al Festival di Cannes 2013. Adele è la protagonista, una liceale che non ha mai mangiato le ostriche, carnale e femminile oltre ogni modo possibile. Ha i capelli sempre legati, in disordine. Si veste senza cura. Mangia voracemente: kebab, spaghetti e si cerca in tutto ciò che fa. E come l'Albachiara di Vasco nel suo letto si tocca. Emma, invece, è più svezzata, sa già chi è, ha i capelli blu e frequenta bar gay. Adele ha un'ducazione borghese, vuole fare la maestra, aspira ad una sicurezza economica, Emma è uno spirito libero e con le mani crea donne dipingendole. Un racconto intimissimo, fatto di soli primissimi piani, s'indugia tanto sulla bocca semiaperta di Adele, sul suo essere sempre altrove con gli occhi e con la testa, le colano lacrime, muchi, ma lei non li asciuga mai, stampandosi sul volto quell'eterna fanciullezza che tanto dà tenerezza Emma, ma che non le consente di amare Adele in quanto donna. Adele nell'ultima scena indossa un vestito blu. Ma Emma ha ormai da tempo cambiato look, decide il ritmo dei loro amplessi e decide di non tornare indietro quando arriva la parola fine. Non un amore tra persone delle stesso sesso, ma tra due persone completamente diverse: Adele non capisce l'arte, Emma vuole che Adele scriva, coltivi una passione, è un'artista, un'intellettuale. Tiresia che visse sette anni nelle sembianze di una donna disse che Se il piacere sessuale potesse dividersi in dieci parti, alla donna ne toccherebbero nove e all'uomo soltanto una. Il film ne mostra almeno nove. Nelle scene di sesso bellissime guardavo in sala: i settantacinquenni al mio fianco guardavano impassibili e ho sorriso contenta. L'autentico svelarsi del piacere femminile è puro estetismo, mai visto nulla di più bello, mi scendevano spesso le lacrime. E sono emozionata anche a scriverne. Tanto trasporto negli occhi emozionati delle due ragazze, tutte le volte che scorgevo le loro emozioni a me sembravano autentiche e mi emozionavo tanto anche io. Bellissima la scena al parco, quando le due stanno per baciarsi, ma la saggia Emma punta per la guancia. L'attesa del piacere. E poi gli intrecci perfetti dei corpi nudi, selvaggi e teneri allo stesso tempo. Il regista non ha mai fretta - tre ore di film- le ragazze si esprimono e scoppiano in attimi di estasi indugiando per lunghissimi minuti. Interezza e naturalezza. Tutto è senza filtri: lacrime, pulsioni. Film da far conoscere soprattutto in quei 78 paesi del mondo in cui l'omosessualità è considerata un reato e nella mia Italia, dove le leggi sulle unioni civili tra persone dello stesso sesso sono un ancora un miraggio. Maestoso ed autentico, di quell'autenticità rara. Tanto che le tre ore per me sono volate e mi hanno lasciato l'amaro in bocca.

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