“Mi accorgevo di avere la pelle d’oca. Senza una ragione, dato che non avevo freddo. Era forse passato un fantasma su di noi? No, era stata la poesia. Una scintilla si era staccata dal poeta e mi aveva dato una scossa gelida. Avevo voglia di piangere; mi sentivo molto strana.Avevo scoperto un nuovo modo di essere felice.” (Sylvia Plath)
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giovedì 2 febbraio 2017
Te doy mis ojos di Iciar Bollain. 2003
Per le donne tra i 15 e i 44 anni la violenza è la prima causa di morte e di invalidità. Te doy mis ojos di Iciar Bollain analizza questa situazione attraverso Pilar e Antonio e le persone che li circondano: una madre che giustifica la situazione, una sorella che non capisce fino in fondo, ed un figlio che vede tutto ma non dice niente.
Quando l'amore si trasforma in paura, controllo e potere in un inverno spagnolo che ricopre con un manto freddo e intimo le membra gelate di un passato funestato dalla violenza.
Pilar scappa, ma continua a fare l’amore con lui, in un'unione solo fisica dai cuori asincroni.
Scoperto il nascondiglio della moglie Antonio inizierà una pressante opera di riconquista, corteggiandola e riempiendola di pensieri affettuosi e regali per riportarla sotto il tetto coniugale, iscrivendosi anche ad un gruppo di terapia collettiva rivolto a uomini che maltrattano le proprie donne e cercando così di dare concretezza alle sue promesse di cambiamento.
Un film onesto che mette in luce tanti meccanismi viziosi della violenza domestica: la tendenza all’ereditarietà del rapporto umiliante, con la madre di Pilar che invita la figlia a tornare comunque da Antonio per sopportare ogni prevaricazione come lei ha fatto con il defunto marito.
Laia Marull è eccezionale, il suo sgaurdo è quelle delle donne umiliate, che amano nonostante tutto il loro carnefice. Il mostro che anche se lasciato rimetterà in scena gli stessi meccanismi con la prossima donna che incontrerà.
Grazie per questa testimonianza. Lo dico da donna.
lunedì 19 settembre 2016
Primo amore di Matteo Garrone. 2003
"Bisogna togliere tutto, finché si arriva al cuore delle cose"
un orafo costringe la sua fidanzata a dimagrire in maniera progressiva e instancabile, fino a renderla quasi uno scheletro umano.
Girato a Vicenza con qualche location nel veronese, come l’antica vasca termale di Caldiero (struggente) la storia racconta molto più di un’ossessiva e patologica storia d’amore.
magistrale da Vitaliano Trevisan (anche sceneggiatore), sono rimasta del tutto affascinata dalle sue pause e strascinamenti sonori, il suo italiano affaticato. Nelle pause e nei silenzi Trevisan sa infilare tutta l’austera solitudine di un uomo/testimone di un laborioso popolo che oscilla tra generose aperture multiculturali e chiusure indipendentiste, confuso tra un timido, ma impellente bisogno di necessaria condivisione affettiva e un impoverimento simbolico per eccesso di materialismo, oscillante tra la salubre apertura amorosa ed erotica all’altro da sé e la rigidità patologica del “paron a casa mia” che tutto e tutti controlla.Anche qui, come già ne L'imbalsamatore, ci si rifà ad una storia reale. La vicenda reale risale al ’97 ed e’, come molte tragedie di follia moderna, raccapricciante; la racconta il suo stesso autore, Marco Mariolini, in un libro-diario edito da Gruppo Edicom, "Il cacciatore di anoressiche" (ripreso in seguito anche dal programma di Rai3, ‘Storie maledette’).Il Mariolini, antiquario quarantenne del bresciano, ossessionato da quella che lui stesso definiva "una vera e propria perversione", non riusciva a concepire una relazione se non con una ragazza che fosse magrissima, e che finiva con l’indurre lentamente e subdolamente all’anoressia. Sulle prime, infatti, Sonia non piace a Vittorio: "ti facevo piu’ magra", ma la storia ha comunque inzio.Sonia non perde solo chili; perde via via identita’, proprieta’ della sua persona, affetti e luoghi identitari (il fratello, gli amici, il lavoro le diventano estranei). Il film mostra, secondo questa chiave di lettura, come una relazione anonimizzante e improntata al sadismo porti al totale sopruso dell’uno sull’altro, ma senza via di uscita ne’ vera vittoria per nessuno dei due.
giovedì 4 agosto 2016
Elephant di Gus Van Sant. 2003
Una highschool americana, in un mattino qualsiasi, pochi minuti prima che passasse alla storia ospitando la sua sanguinosa strage."Questa deve essere una giornata divertente"; così dice, più o meno, uno dei due ragazzi che di lì a poco farà una strage nel liceo Colombine.
Si passa in rassegna il quotidiano degli studenti, immersi nel vuoto del proprio habitat naturale.La macchina segue i ragazzi di spalle, sono attori non professionisti e li lascia improvvisare.
Il tempo della narrazione è stagnante: come un disco inceppato, viene continuamente ripercorso, seguendo le tracce dei diversi personaggi che in comune hanno solo la propria incomunicabilità. Il racconto li abbandona momentaneamente per ritrovarli dove li ha lasciati e per farli procedere di pochi passi alla volta. Al fianco di studenti disinvolti ce ne sono altri con evidenti problemi di autostima. Nel loro abbigliamento da ginnastica accollato e dietro un paio di occhiali concentrati sulla gestione dei libri della biblioteca, alberga la goffaggine, la paura del proprio odore, l'inno prematuramente accelerato al pudore, in modo da tener celata la vergogna nel mostrare la fisicità.
L'elefante del titolo è quello "della sala da pranzo"che gli americani non si accorgono di avere, impegnati come sono a espandere e celebrare la propria cultura.In quella scuola sono morte 15 persone, altre 28 sono rimaste ferite. Perché?
Il documentario di Michael Moore ha vinto l'Oscar in America, questo film di Gus Van Sant la Palma d'Oro a Cannes, ma una ragione a questo massacro ancora non si è trovata.
domenica 31 luglio 2016
Lost in translation, Sofia Coppola. 2003
La maschera malinconica e beffarda di Bill Murray cattura e innamora.
Il film, opera seconda di Sofia Coppola, racconta l'incontro di due americani al Park Hyatt Hotel di Tokyo: lui è Bob Harris, un maturo attore hollywoodiano, avviato sul viale del tramonto, che è nella capitale nipponica per girare uno spot pubblicitario e per partecipare ad una trasmissione televisiva.Lei è Charlotte, una giovanissima neolaureata in filosofia, al seguito del marito John, fotografo di moda.
Entrambi si ritrovano spaesati e annoiati negli spazi vuoti dell'hotel, a contatto con una cultura aliena, fatta di soffocante gentilezza e formalismo, karaoke, videogiochi e voglia di emulazione di modelli occidentali un po' triti.Nel silenzio delle notti insonni, i due finiscono per incontrarsi negli ascensori, in piscina, nei corridoi e al bar.
La moglie di Bob gli invia in Giappone i campioni della nuova moquette e lo chiama nel cuore della notte, dimentica del fuso orario, per uno scambio di pareri, intervallato dai silenzi e dai ritardi della comunicazione intercontinentale.L'ambientazione in un paese straniero, straniero per tutti, ha del geniale, non c'è lingua che si comprenda, non c'è gesto che risulti familiare a nessuno dei due, il Giappone come specchio della propria vita: solitudine, estraneità, necessità di una guida, di conforto, di affetto. E poi una chiamata, eccomi, eccoti, un saluto, un abbraccio in mezzo alle luci, una voglia di fare l'amore che si farà attendere ancora a lungo e che poi non vedremo.
Struggente la scena finale, mi sono commossa: non si percepisce cosa lui le sussurri all'orecchio, ma lei smette di piangere.penso il messaggio della Coppola sia che siamo tutti persi. Perchè abbiamo perso la capacità di tradurre ciò che abbiamo dentro, e le ragioni del cuore, sostiene Pereira
martedì 27 ottobre 2015
The life of David Gale di Alan Parker. 2003
La pellicola, co-prodotta da Nicolas Cage, è un film di eroi perdenti che s'inginocchiano fra le lacrime e sacrifici umani che raccontano il falso; si attua la difesa di un'idea forte, si uccide oppure no, si muore oppure no: perché le memorie rimangono incise nella ghigliottina come sull'acqua, negli inferi di un crimine statale che si ripete.
L’unica che crede in David, professore universitario su cui incombe una condanna di strupro da parte di una sua studentessa, ed aiuta a farlo ripartire è Constance, David si butta sull’alcol e cerca di fare dei lavoretti come uomo delle consegne, ma la sua vita rimane rovinata nonostante questi tentativi di normalizzarla e anche l’associazione Deathwatch lo allontana per non rovinarsi la reputazione.Constance viene di lì a poco trovata morta, stuprata e soffocata con un sacchetto di plastica, lo sperma di David è nel suo corpo, le sue impronte sono sul sacchetto, uno più due fa tre, perciò David Gale è condannato a morte per l’omicidio di Constance, proprio lui che aveva sempre lottato contro la pena di morte.
mercoledì 24 dicembre 2014
La spettatrice di Paolo Franchi. 2003
"Il regalo è una miseria, ma tu mi amerai per il prezioso regalo che non c'è."
Una traduttrice simultanea è ossessionata dal suo sconosciuto dirimpettaio tanto da arrivare a seguirlo nei suoi trasferimenti professionali. Ho scelto questo film per la Vigilia, perchè trasmette inquietudine, un po'come il periodo natalizio. E'freddo al punto giusto: una gelida Torino di finestre e fermate d'autobus. Di sciarpe che ti coprono il viso. E poi silenzi, parole soffocate, pedinamenti, inseguimenti del cuore. E'l'esordio alla regia di Paolo Franchi: aspro, ruvido, minimale, dominato da una messa in scena molto potente (la panoramica sul molo di Trieste che annega tra i capelli di Valeria sferzati dalla bora è un piccolo gioiello da stringere al cuore).
Il professionista ha una compagna matura, Valeria ne diventa collaboratrice editoriale. Penetra, pian piano, fra le pieghe del loro rapporto incrinandone il precario equilibrio.
Ma Valeria poi scappa, come se il suo compito fosse concluso, in preda ai fantasmi di sé. Roma impressionista: riflessi opachi, vetrate, diagonali strette, angoli acuti. Perchè attraverso le lenti della propria solitudine si finisce spesso per guardare il mondo da spettatore, osservando gli altri ingegnarsi per cambiare il corso della propria vita, di prendere decisioni e fare scelte. Ma rimanendo fermi.
Stupenda e misera città,
che m’hai insegnato ciò che allegri
e feroci gli uomini imparano bambini, […]
come andare duri e pronti nella ressa
delle strade, rivolgersi a un altro uomo senza tremare […]
Scriveva Pier Paolo Pasolini che amava Roma come si ama una donna, tanto da aver l’ardire di “lasciarci pure la pellaccia”, lui che veniva dal nord ma che cercava il mistero del vivere al Sud, quello dei profondi affetti, del profondo dolore, del profondo sentire.
Ma che nasconde: “Ti invidio perché sai stare da sola” - dice l’amica bionda mentre la musica del locale da ballo dove è ambientata la scena prende il sopravvento sulle sue parole e inghiotte avida il corpo magro della silenziosa e tormentata protagonista.
venerdì 19 ottobre 2012
Primavera, estate, autunno, inverno... e ancora primavera di Kim Ki-Duk. 2003
“Finché dura lo spazio, finché permangono gli esseri senzienti, che io possa vivere per scacciare la sofferenza dal mondo”
Un monaco buddista e il suo giovane discepolo vivono in una casetta galleggiante su un lago in Corea, simbolo del distacco dal mondo. Il film è diviso nella rappresentazione delle quattro stagioni, più una che rappresentano l'iniziazione alla vita e all'illuminazione. Fin quando l'arrivo di una ragazza scombina i sentimenti del discepolo..."Il desiderio crea dipendenza, e la dipendenza porta pensieri di morte”, dichiara, infatti, il maestro al suo giovane allievo innamorato in uno dei pochissimi dialoghi della pellicola. Il mondo esterno ha fatto dei desideri la sua unica ragione di vita. Questa la critica del maestro. Ma "non è colpa tua" consola la voce del maestro, ogni stagione ha le sue tentazioni ed è umano cedervi, compito del maestro sarà proprio mostrare al suo allievo ogni volta la strada per la redenzione, tramite anche il dialogo con cui accoglie il ragazzo appena tornato: “Dunque sei tornato. Sembri sconvolto, per quale motivo?” – “Io la odio, quella puttana!!! Ha detto di amare solo me, e poi ha trovato un altro uomo!!!” – “E tu che diritto hai di considerarla tua? Non può forse qualcun altro provare per lei quello che provi tu? La vita è trovare, e imparare a rinunciare a ciò che si è trovato.”
Fin quando il lago si ghiaccia e arriva l'inverno. La poesia delle porte che dividono ambienti già aperti: non esistono infatti pareti. Il bello di Kim Ki-Duk che piace e convince anche quando non lo si capisce. Anche quando è semimuto come in questo caso. Perchè è bello.
Il primo quadro è la Primavera, l'età della scoperta, dell'innocenza, che nel caso dell'allievo è però crudele: lega con un sasso un pesce, una rana e un serpente. Il monaco lo segue ed osserva e il mattino dopo lega a sua volta un sasso alla schiena del ragazzo, per liberarsene dovrà ripercorrere a ritroso il cammino fatto nel giorno precedente e liberare gli animali, avrà la libertà quando l'avrà restituita: “Se anche una delle creature che hai torturato muore, porterai nel cuore un peso per tutta la vita”. Sarà questa la sua prima lezione in assoluto. Poi verrà l'Estate con il tormento della carne: l'adolescenza. Una ragazza giunge al monastero perchè malata: “Quando la sua anima raggiungerà la pace, solo allora il suo fisico ritroverà la vita”. E la ritrova tra le braccia del giovane che poi la seguirà quando lei una volta guarita andrà via. E quel microcosmo protettivo che aveva fino a quel momento fatto da casa all'allievo verrà oltrepassato. L'autunno sarà la stagione della violenza: “Non sapevi che fosse così?” sembra rimproverarlo il monaco che per espiare le sue colpe lo percuote, lo lega e lo obbliga ad incidere sul pontile del tempio il Sutra, seguendo i suoi gesti: scrive a sua volta utilizzando la coda di un gatto. Fin quando non sopraggiungono i due poliziotti per arrestarlo ma finiranno per colorare le incisioni del giovane che intanto continua a scrivere per tutta la notte. L'allievo verrà condotto via. E sopraggiunge così l'Inverno, stagione dell'espiazione, stagione in cui una giovane madre si recherà al tempio per lasciare il suo giovane figlio lì e far si che il ciclo della vita si ri.compia, per questo "sarà di nuovo Primavera": un nuovo bambino sarà pronto ad affrontare il percorso.
“Finché dura lo spazio, finché permangono gli esseri senzienti, che io possa vivere per scacciare la sofferenza dal mondo”
venerdì 5 ottobre 2012
21 grammi di Alejandro González Iñárritu. 2003
Quante vite viviamo... quante volte si muore? Si dice che nel preciso istante della morte tutti perdiamo 21 grammi di peso, nessuno escluso. Ma quanto c'è in 21 grammi? Quanto va perduto? Quando li perdiamo quei 21 grammi? Quanto se ne va con loro? Quanto si guadagna? Quanto si guadagna? 21 grammi... il peso di 5 nichelini uno sull'altro... il peso di un colibrì, di una barretta di cioccolato... Quanto valgono 21 grammi?
21 grammi. Il peso che il nostro corpo perde al momento della morte.21 grammi la misura dell'anima, della vita. Uno splendido Sean Penn nella prova migliore della sua carriera, è qui un cardiopatico in attesa di un trapianto di cuore che possa salvargli la vita e ridare la speranza a lui e alla moglie. Una coppia in crisi. Che spera di risollevarsi anche grazie ad una gravidanza, che la donna vuole ad ogni costo, nonostante stia per perdere il marito e il loro amore ancor prima della vita. Non si amano, ma continuano a prendersi cura l'un dell'altro. Christina è invece una moglie e madre modello dopo un passato da ex tossica. Terzo personaggio di questa intricata storia: Jack ( Benicio del Toro) ex galeotto che pare aver trovato la via delle redenzione attraverso il fanatismo religioso.
Proprio lui, Jack investirà ed ucciderà marito e bambine di Christina, e l'uomo morente donerà il suo cuore a Sean Penn. La vita di tutti e tre da quel momento muterà profondamente. Jack sarà divorato dai rimorsi di coscienza e si costituirà, sordo al grido di dolore della moglie che non vuole togliere un padre ai suoi figli. Christina si ritroverà nuovamente nell'abisso della disperazione e della solitudine, mentre Paul col suo cuore nuovo di zecca, tenterà di ricominciare a vivere normalmente, innamorandosi della fragile Christina.
Una storia smontata, frammentata e costruita senza un ordine pezzo per pezzo. narrandola per grandi temi: il capitolo dell'amore, della morte, della disperazione.
domenica 2 ottobre 2011
Good bye, Lenin di Wolfgang Becker. 2003
Ottobre 1989, data storica per la riunificazione della Germania. La DDR crolla dopo la caduta del muro di Berlino e non è certo il momento migliore per entrare in coma, come accade però invece a Christiane Kerner, orgogliosamente socialista e membro attivo del partito comunista. Quando si risveglia, il figlio Alex trasforma l'appartamento di famiglia in una specie di mausoleo dell'ex DDR e convince parenti ed amici a far finta che nulla sia cambiato...
Christiane Kerner (interpretata dalla bravissima Katrin Sass)è la madre di due figli. Subisce un trauma in seguito alla fuga del marito nella Germania dell'Ovest e reagisce decidendo di diventare un'attivista politica del partito socialista filosovietico. Una donna combattiva ma fragilissima, tanto che entrerà in coma proprio mentre la Germania si riunisce sotto una stessa bandiera. Cosa troverà quando si risveglierà dopo otto mesi?
In realtà il racconto è tutto vissuto dal punto di vista del figlio Alex nel suo passaggio dall'adolescenza alla maturità.Ma ad andare in scena sono una serie di trapassi: il trapasso storico (il muro di Berlino che nell'89 cade), il trapasso individuale (la madre si risveglia dal coma) e il trapasso cosmico (il cosmonauta scopre che oltre agli spazi in cui noi ci muoviamo esiste uno spazio infinito).
Alex per il grande amore che nutre verso la mamma la proteggerà dall'illusione di un socialismo che non sarebbe mai finito, e che invece senza la sua guida, mentre lei è in coma cessa di esistere. Quello che Alex vive tramite le lotte della madre è un socialismo però umano e non politico, infatti ad un certo punto c'è una mirabile allegoria di un Lenin di bronzo che vola verso il "sole dell'avvenire", una delle scene in assoluto più belle.
Alex è un ragazzo di circa ventanni, dalla faccia pulita, che vive con la madre e la sorella Arianne e una nipote, nel socialismo reale di un classico palazzone sovietico. Trova lavoro come tecnico in una Cooperativa di riparazioni elettriche ed ammira Siegmund Jähn, il primo astronauta tedesco ad aver viaggiato nello spazio.
Quando un giorno Christiane, che si sta recando ad una festa per ritirare un premio ufficiale conferitole dallo Stato socialista, scorge da lontano il figlio arrestato per aver preso parte alle manifestazioni pacifiche dell'Ottobre, per lo shock cade a terra, colpita da infarto, ed entra in coma. Alex viene rilasciato ma il socialismo della "sua" Germania, che lei credeva potesse rendere migliore il mondo, crolla sotto l'avanzata del capitalismo. Nè è simbolo l'astronauta-eroe, ora costretto a fare il tassista, perchè è come se d'improvviso tutti dovessero fare i conti con la realtà e chiudere per sempre nel cassetto i propri sogni. La stanza in cui è rintanata la madre diventa allora quel microglobo in cui tornare a sperare. Non ci si riconosce più in quel mondo: "Ah, guarda qui cosa ci siamo ridotti a fare", esclama continuamente a mho di cantilena un vicino di casa che, da un giorno all'altro, si ritrova costretto a rovistare nei cassonetti della spazzatura. E il sogno della madre grazie ad Alex comincia a prendere vita, grazie anche all'aiuto di Lara, la fidanzata venuta dall'Unione Sovietica e di Denis, un amico che sogna di fare il regista ma che invece monta con lui antenne paraboliche.
Paga dei bambini perchè si esibiscano in canzoni e spettacoli comunisti, recupera vecchi barattoli in cui travasare i famosi cetriolini che ora arrivano dall'Olanda e monta con l'aiuto di Denis finti telegiornali della Aktuelle Kamera che parlano della DDR e dei successi del compagno Honeker.
Il messaggio del film che a me è arrivato e ha commosso è stato quello della possibilità che la storia sia fatta dalle persone, tant'è che Alex "inventa" per la madre una storia che non c'è più, costruendo una prospettiva che è quella che tutti avrebbero desiderato: un mondo dove ognuno aiuti l'altro, solo perché ognuno è uguale all'altro. (Che poi è anche il mio sogno)
Un socialismo dell'anima, del cuore. Che magari prima o poi si realizzerà.Goodbye Lenin ma noi ti aspettiamo.
Christiane Kerner (interpretata dalla bravissima Katrin Sass)è la madre di due figli. Subisce un trauma in seguito alla fuga del marito nella Germania dell'Ovest e reagisce decidendo di diventare un'attivista politica del partito socialista filosovietico. Una donna combattiva ma fragilissima, tanto che entrerà in coma proprio mentre la Germania si riunisce sotto una stessa bandiera. Cosa troverà quando si risveglierà dopo otto mesi?
In realtà il racconto è tutto vissuto dal punto di vista del figlio Alex nel suo passaggio dall'adolescenza alla maturità.Ma ad andare in scena sono una serie di trapassi: il trapasso storico (il muro di Berlino che nell'89 cade), il trapasso individuale (la madre si risveglia dal coma) e il trapasso cosmico (il cosmonauta scopre che oltre agli spazi in cui noi ci muoviamo esiste uno spazio infinito).
Alex per il grande amore che nutre verso la mamma la proteggerà dall'illusione di un socialismo che non sarebbe mai finito, e che invece senza la sua guida, mentre lei è in coma cessa di esistere. Quello che Alex vive tramite le lotte della madre è un socialismo però umano e non politico, infatti ad un certo punto c'è una mirabile allegoria di un Lenin di bronzo che vola verso il "sole dell'avvenire", una delle scene in assoluto più belle.
Alex è un ragazzo di circa ventanni, dalla faccia pulita, che vive con la madre e la sorella Arianne e una nipote, nel socialismo reale di un classico palazzone sovietico. Trova lavoro come tecnico in una Cooperativa di riparazioni elettriche ed ammira Siegmund Jähn, il primo astronauta tedesco ad aver viaggiato nello spazio.
Quando un giorno Christiane, che si sta recando ad una festa per ritirare un premio ufficiale conferitole dallo Stato socialista, scorge da lontano il figlio arrestato per aver preso parte alle manifestazioni pacifiche dell'Ottobre, per lo shock cade a terra, colpita da infarto, ed entra in coma. Alex viene rilasciato ma il socialismo della "sua" Germania, che lei credeva potesse rendere migliore il mondo, crolla sotto l'avanzata del capitalismo. Nè è simbolo l'astronauta-eroe, ora costretto a fare il tassista, perchè è come se d'improvviso tutti dovessero fare i conti con la realtà e chiudere per sempre nel cassetto i propri sogni. La stanza in cui è rintanata la madre diventa allora quel microglobo in cui tornare a sperare. Non ci si riconosce più in quel mondo: "Ah, guarda qui cosa ci siamo ridotti a fare", esclama continuamente a mho di cantilena un vicino di casa che, da un giorno all'altro, si ritrova costretto a rovistare nei cassonetti della spazzatura. E il sogno della madre grazie ad Alex comincia a prendere vita, grazie anche all'aiuto di Lara, la fidanzata venuta dall'Unione Sovietica e di Denis, un amico che sogna di fare il regista ma che invece monta con lui antenne paraboliche.
Paga dei bambini perchè si esibiscano in canzoni e spettacoli comunisti, recupera vecchi barattoli in cui travasare i famosi cetriolini che ora arrivano dall'Olanda e monta con l'aiuto di Denis finti telegiornali della Aktuelle Kamera che parlano della DDR e dei successi del compagno Honeker.
Il messaggio del film che a me è arrivato e ha commosso è stato quello della possibilità che la storia sia fatta dalle persone, tant'è che Alex "inventa" per la madre una storia che non c'è più, costruendo una prospettiva che è quella che tutti avrebbero desiderato: un mondo dove ognuno aiuti l'altro, solo perché ognuno è uguale all'altro. (Che poi è anche il mio sogno)
Un socialismo dell'anima, del cuore. Che magari prima o poi si realizzerà.Goodbye Lenin ma noi ti aspettiamo.
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