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martedì 29 agosto 2017

La sedia della felicità di Carlo Mazzacurati. 2014

L'intellettuale e colto Carlo Mazzacurati ci manca molto. E dopo un mese di vacanze estive, torno ad aggiornare il blog con il suo ultimo film.
c'è un tesoro, accuratamente nascosto nell'imbottitura di un'orrenda sedia zebrata dalla galeotta madre di un celebre bandito , la morente Katia Ricciarelli. La vecchia signora, infatti, non gode di buona salute e infatti spira in carcere, con le unghie smaltate a mezzo e tra le braccia di un'estetista, non senza averle rivelato in punto di morte l'insolita ubicazione del malloppo. Inutile dire quanto il bottino farebbe comodo alla donzella, vessata com'è dalle pressanti richieste di un buzzurro creditore, interpretato dal mitico Natalino Balasso, a capo di una squadra di pignoramento rumena e sempre sul piede di guerra - "Bucarest 1, irruzione!" Peccato che un'asta giudiziaria abbia disperso per il Veneto i beni della defunta, costringendo l'intraprendente estetista, soccorsa dallo spelacchiato tatuatore del negozio di fronte, cui l'umanesimo sincero e sottilmente comico di Valerio Mastandrea dona straordinaria autenticità, a una vera e propria caccia al tesoro on the road, complicata dall'irrompere in scena di un insolito pretaccio interpretato da Giuseppe Battiston, dai nobili ideali (forse), ma dalle ambizioni più che terrene.la felicità forse non si nasconde in uno scrigno colmo di gioielli: più probabilmente sta negli affetti, nella solidarietà, nell’amicizia, nell’amore. Possiamo passare dai capodogli dell'Oceano agli orsi delle Dolomiti e trovarla improvvisamente nel silenzio più vicino al cielo,avere fiducia nella vita proprio mentre la sua se ne sta andando. Radici russe per una fiaba veneta che mette a valore la sua ironia, la sua voglia di allegria, il suo colto umorismo. Restituendoci l’aria più pulita del nordest ci suggerisce che se esiste un Paradiso degli Orsi è lì che, se vorremo, potremo andare a trovarlo.

venerdì 3 febbraio 2017

La isla minima di Alberto Rodríguez. 2014

Alle foci del fiume Guadalquivir, nel profondo sud spagnolo, scompaiono due giovani sorelle. Sono gli anno 80. la Spagna è in pieno periodo di transizione politica dalla dittatura dopo la morte di Francisco Franco nel 1975, l'adozione di una costituzione democratica e da lì a poco (nel 1981) il tentativo di colpo di stato da parte dell'esercito bloccato dalla fermezza del re Juan Carlos che si schierò senza esitazione a fianco del Parlamento eletto democraticamente e della Costituzione. Il villaggio, infatti, è nella palude: metafora di un paese impantanato che con grande difficoltà cerca di uscirne fuori, i braccianti scioperano, si rifiutano di raccogliere il riso e lottano per un salario migliore contro il caudillo locale;spesso in tv e in radio si accenna a questi disordini.
Il giovane poliziotto Pedro, sposato e con un bambino piccolo, a causa di una lettera contro un superiore ancora collegato al regime franchista, viene sballottato in provincia, rappresentante della nuova Spagna (quando lui e il collega entrano nella camera del piccolo albergo, e vedono un crocifisso appeso sul muro con incollate le foto di Hitler e Franco, lui lo prende con freddezza e lo chiude in un cassetto del comò significativo del disprezzo nei confronti di quel passato). Mentre il suo collega più anziano è un vecchio scapolo, godereccio, a cui piace bere e mangiare, intuitivo, violento e del resto è un sopravvissuto della vecchia polizia franchista.Faceva parte della Brigata Sociale e Politica sotto la dittatura (una specie di Gestapo, e come svela il giornalista locale a Pedro era conosciuto come "il corvo" esperto torturatore e colpevole di aver assassinato parecchi oppositori al vecchio regime, tra cui una giovane studentessa durante una manifestazione politica). Delle ragazze scomparse si dice che sono facili, si ammicca più che dire, il repertorio del “machismo” più bieco si fermerà solo davanti ai cadaveri nudi, orribilmente seviziati. Negativi fotografici sbruciacchiati con scene di sesso finiscono nelle mani dei due detective e aprono la strada verso scenari di abuso, violenza e prostituzione. Il miraggio di un lavoro in città è ogni volta agitato davanti agli occhi di ragazze troppo ingenue e troppo amareggiate dalla loro vita reclusa, e il giovane ruffiano sa come ottenere quel che vuole per portarle nel casolare isolato. Crudo, ma immagini (spesso dall'alto o a tutto campo) da togliere il fiato

venerdì 23 dicembre 2016

Storie pazzesche di Damiàn Szifron. 2014

Una serie di corti girati magistralmente. Ho adorato persino i titoli di testa in stile anni '70 con foto di animali selvaggi che si susseguono. Ritratto di una società capitalista occidentale che riduce la nostra sensibilità e distorce i nostri legami con gli altri. Il transfert è inevitabile: multe che piovono senza senso, un tradimento il giorno del matrimonio. E i protagonisti invece di deprimersi, ingranano la marcia. Non siamo dalle parti del capolavoro, ma di un intelligente, ben costruito e anche divertente viaggio in bilico tra realtà insopportabile e sogno non esattamente salvifico.
Cose da tenere a mente: - se in aereo incontri qualcuno con un amico in comune potrebbe non essere una coincidenza - non c'è una data di scadenza per il veleno per topi -mai fare un dito medio ad un guidatore se non sei su una strada molto trafficata - Non prendere il cellulare del tuo fidanzato il giorno del tuo matrimonio

domenica 4 settembre 2016

Second Chance di Susanne Bier. 2014

E' un errore guardarlo a settembre, quando il tempo anvcora permette una passeggiata. E'un mattone, ma una menzione speciale va fatta alla coppia di tossicodipendenti interpretati da Nikolaj Lie Kaas (Tristan) e Lykke May Andersen (Sanne), quest’ultima, modella al suo debutto cinematografico, è stata selezionata dalla Bier senza provino. La madre aveva dall'inizio uno sguardo da pazza e poi: serve fare un giro in macchina ad un neonato per addormentarlo?

domenica 21 agosto 2016

Viviane di Romit e Shlomi Elkabetz. 2014

Viviane vuole il divorzio: da mesi ha lasciato il tetto coniugale ed è andata a vivere da un fratello sposato; fa la parrucchiera, non vuole soldi, desidera solo divorziare da dieci anni, da cinque si è decisa a chiederlo. Ma vive in Israele, nazione democratica dove però matrimonio e divorzio sono solo religiosi (anche in Italia sino al 1970, esisteva solo l'annullamento ecclesiastico, difficilissimo da ottenere).
Solo l'uomo può ottenere o concedere un divorzio, facendole cadere nella mani il Gett, il foglio con il suo consenso, pronunciando la frase "da adesso sei permessa a qualunque uomo", come un oggetto senza valore che può passare da un padrone all'altro. Bellissima la scena in cui Viviane, con dei meravigliosi capelli neri, che la religione considera un'arma di seduzione scandalosa, raccolti sulla nuca, in un momento di stanchezza e sfiducia li scioglie e accarezza le ciocche, un gesto sfrontato davanti ai rabbini che la richiamano immediatamente. I rabbini la chiamano donna, mai per nome, vogliono sapere se è stata pura durante la separazione, accusano il suo avvocato di amarla: un testimone dice "questa donna non è retta, l'ho vista in un caffè con un uomo che non era un parente".Un viaggio nella cultura dell’ebraismo mediterraneo, quello sefardita e quello dei mizrahi, degli ebrei impiantati nei paesi arabi – dal Marocco fino all’Iraq – da quasi duemila anni, fino alla fuga ed emigrazione di massa verso lo stato di Israele, o nei paesi europei, negli anni Cinquanta e Sessanta del secolo scorso. Prezioso. da vedere.

sabato 23 luglio 2016

The German Doctor - Wakolda di Lucía Puenzo. 2014

Patagonia, anni Sessanta. Una famiglia argentina conosce un elegante medico tedesco, che non stenta a rivelare un singolare interesse per il corpo fin troppo esile della giovane figlia della coppia, Lilith. curiosità scientifica per la sproporzione tra l'età dichiarata dalla fanciulla e il suo fisico minuto e per la madre, incinta di due gemelli. Poco efficace dal punto di vista drammatico (e fin troppo allusivo nel delineare il contesto storico - al punto che rimane marginale la complicità dell'America Latina nel proteggere i nazisti latitanti oltre i sorrisi e l'educata reticenza del perbenismo borghese), il film cresce nei momenti in cui instaura un dialogo più stretto con i temi prediletti della Puenzo, tra cui spicca la diversità fisica che era già al centro del suo buon esordio "XXY". Assolutamente suggestivi i paesaggi Argentini che di fatto sono parte integrante della storia di Lucìa Puenzo che si interroga sul perché il suo paese abbia ospitato di buon grado tanti nazisti e sul perché molte famiglie argentine diventarono complici di questi uomini.

lunedì 27 giugno 2016

Smetto quando voglio di Sydney Sibilia. 2014

Una via di mezzo tra un "Breaking Bad" e un "Boris" ambientato alla Sapienza invece che alla Rai. Funziona l'idea di dare alla commedia la parvenza di un film d'azione, tre quarti della storia sono in flashback, la presentazione dei ricercatori per brevi spezzoni via via che vengono arruolati e l'antagonista sfregiato (Neri Marcorè!) Montaggio, inquadrature e velocità sono adrenaliniche. Se siete sul divano in preda alla voglia di fare qualcosa pari a zero per via del caldo, questo film vi darà ritmo. Tono azzeccato tra il fumetto e l'allucinato, sullo stile del Danny Boyle degli anni d'oro, rispetto alle luci piatte della commedia italiana, un risveglio per gli occhi.

lunedì 16 maggio 2016

Un ragazzo d'oro di Pupi Avati. 2014

Dedicato a chi pensa che la narrativa sia solo un sogno inarrivabile. Ad un ragazzo d'oro muore il padre.Sucidio? Distrazione? Oppure peggio, omicidio? I racconti di Davide vengono rifiutati dall’ennesimo editore, il quale gli suggerisce di scrivere un romanzo. Ma lui non ce la fa. E’ un salto troppo in alto. E poi: “Se avessi scritto Sotto il vulcano… non sarei certamente qui”. Scamarcio ha una dizione snob, quella puzza sotto il naso fastidiosa nei confronti del passato da cinematografaro pop del papà, una insistita retorica (“Io ho chiuso con la scrittura!”) e il piacere tipico dei frustrati di naufragare nell’autocommiserazione sfruttando vigliaccamente “quel rapporto orrendo” col papà per giustificare ogni fallimento. Alla morte del padre torna a Roma, nella casa natia, e come in L’inquilino del terzo piano di Polanski perde l'identità per vestire quella del genitore morto, nel vano tentativo di capirlo, finalmente, e riscattarlo. Del tutto inutile la storia con la fidanzata Silvia (la Capotondi) e proprio ridicole alcune scene, e, sorvolando sul penoso doppiaggio della protagonista di Basic instinct, l'impressione generale non si discosta molto da quella di trovarsi dinanzi ad una noiosa puntata di una soap opera.

domenica 28 febbraio 2016

Mommy di Xavier Dolan. 2014

Sovraeccitazione narrativa quasi isterica e schermo a un quadrato: una dimensione 1:1 invece di un 4:3 o di un 16:9, due barre di nero al lato, dunque, placcando i protagonisti e non dandogli possibilità di repsiro, mai. Grandangolari, volti come fossero fototessere, campi e controcampi e la fotografia di André Turpin, saturatissima: verde, giallo ocra, rosso, dorato, blu elettrico. E poi questo amore edipico, possessivo di una madre e di un figlio "difficile": emblematica la scena in cui Steve accompagna la madre a un appuntamento con un uomo in un locale dove fanno il karaoke e Steve decide di cantare Bocelli, Vivo per lei, mentre una gelosia bruta, terminale, distruttiva se lo divora nota dopo nota. Ho avuto i brividi, Dolan (il regista) stava facendo una richiesta precisa, in quel momento voleva che lo amassimo con rabbia e passione.L'irruenza di Steve dipende da un deficit comportamentale, l'iperattività, che gli impedisce qualsiasi tipo di autocontrollo. Diane è una mamma sola e senza lavoro, tenta in tutti i modi di accudirlo con le proprie limitate risorse. In suo aiuto, interviene una timida e balbuziente vicina di casa, professoressa in aspettativa, che con fare missionario impartisce qualche lezione a Steve, mentre Diane si barcamena alla ricerca di un'occupazione. E poi la dura realtà, in un Canada dove una legge fittizia permette ai genitori di scaricare i figli ingestibili in istituti di recupero. Un film sociale,in cui la crisi economica delle famiglie dal reddito basso, in cui i disagi sociali vengono oggi farmacologizzati possa in un futuro prossimo evolvere. Tutte le famiglie infelici finiscono per assomigliarsi, con le stesse prescrizioni terapeutiche.

giovedì 31 dicembre 2015

Birdman (o l'imprevedibile virtù dell'ignoranza) di Alejandro González Iñárritu. 2014

"Perché non ho nessun rispetto per me stessa?" "Sei un'attrice, tesoro"
Un'ascetica meditazione in mutande con un uomo di spalle e sospeso in aria. La scena iniziale riassume tutto il film: un bilico continuo tra assurdo e sberleffo. Il film, che racconta la storia della morte del protagonista, apriva la 71esima Mostra del Cinema di Venezia. Ormai sessantenne,infatti, l'attore vuole un riscatto per scrollarsi di dosso il pesante ricordo dell'eroe piumato.Decide, così, di allestire a Broadway il rifacimento di "Di cosa parliamo quando parliamo d'amore" di Raymond Carver. Non esiste un'unica trama: esistono almeno tre storie che si intrecciano tra di loro in un sapiente puzzle che rimanda al gusto del racconto corale presente in altre precedenti opere, come in "Babel". Qui però tutto è amalgamato con la vicenda di Thompson, che diventa un viaggio nella mente dell'attore, nelle sue ossessioni, nei deliri di onnipotenza. Inàrritu gira con un unico piano sequenza, corretto dal digitale che gli permette di cambiare spazio e tempo con estrema fluidità. La colonna sonora è di sola batteria, dove anche lo stesso batterista viene "impallato" dal movimento di macchina. Preparatevi a un labirinto di cunicoli e corridoi, quinte e soppalchi teatrali in cui i protagonisti si inseguono, si prendono e si lasciano continuamente.Riggan ormai incapace di distinguere anche lui scena e vita, sceglie di non simulare il colpo di pistola finale da suicida con cui la piéce si conclude e finisce, vivo per miracolo, all’ospedale. Il pubblico però è in delirio: i giornali parlano solo di lui, i social media esplodono e la stessa arcigna critica del ‘New York Times’ ha cambiato bandiera e lo elogia a spada tratta. Memorabili la scena della conferenza stampa tenuta nel camerino con annessa satira della superficialità di molta critica e quella della corsa in mutande in Time Square. Ad assediare i protagonisti, proprio fuori dalle mura del teatro, una società che Iñárritu descrive nelle sue assurdità: ammalata di socialnetwork e tecnologia, capace ormai di osservare e vivere la vita solo attraverso lo schermo di un cellulare.

mercoledì 30 dicembre 2015

Magic in the Moonlight di Woody Allen. 2014

“Non ti posso perdonare, solo Dio può” – “Ma hai appena detto che Dio non esiste” – “Appunto”.
Siamo nel sud della Francia, circondati da suggestivi vigneti dal colpo d'occhio decisamente romantico, alla fine degli anni venti. Atmosfera vintage. Il grande illusionista Stanley Crawford smaschera finti medium e viene assunto per scoprire i trucchi della sorprendente sensitiva Sophie. Sappiamo tutti che Allen cura se stesso con il cinema, la sua razionalità si mitiga e gli dà tregua solo grazie alla magia del ciack. Stanley è, come lui, un razionalista duro e puro, uno scienziato, poco incline a farsi illudere, a credere in una realtà altra rispetto a quella sensibile e logicamente comprensibile: Stanley è convinto che ogni fenomeno abbia una spiegazione qui e ora, e pazienza se l’infelicità personale ne è logica conseguenza.E' nevrotico, agnostico, che vede il mondo esclusivamente da un punto di vista razionale e, pertanto, si dimostra poco incline a far entrare nella sua vita sia il mondo spirituale che quello dell’occulto. Ma l’ambiguità delle visioni di Sophie mantiene ottimamente durante lo svolgimento - grazie anche ad un’inaspettata interpretazione di Emma Stone, che sembra nata per stare davanti alla macchina da presa di Woody Allen. Non aiuta affatto l’interpretazione di Colin Firth, privo di quell’arroganza comica alla Oscar Wilde di cui il personaggio avrebbe bisogno. Certo manca il guizzo di novità, l’ispirazione e la volontà di raccontare il nuovo, ma ormai lo sappiamo, Woody Allen è una tradizione, per gli argomenti che racconta, per i personaggi e le nevrosi che mette in scena. Ma chi ha detto che la tradizione sia per forza una brutta cosa? Darius Khondji. Genio della luce.

lunedì 7 dicembre 2015

Ida di Pawel Pawlikowski. 2014

«E poi?».
Non ce l’ha fatta Andrzej Wajda, non ce l’ha fatta Roman Polanski… Il suo primo Premio Oscar nella categoria “Miglior film straniero” la Polonia lo deve a Pawel Pawlikowski e alla sua “Ida” Polonia comunista, 1962.Anna è una novizia presso un convento di suore, in attesa di prendere i voti, la madre superiora, allora le svela di avere una parente in vita che non ha mai conosciuto (Anna è stata abbandonata da piccola nel convento) Prima di affidarsi completamente a Cristo è bene che lei la conosca. Zia Wanda è una donna che vive agli antipodi rispetto alla ben più riservata e se vogliamo austera nipote, scoprirà che in realtà si chiama Ida ed è ebrea: ma cosa avvenne ai suoi genitori, perchè lei è stata abbandonata? La Zia Wanda, in uno dei momenti più crudelmente poetici del film, si suiciderà sotto le note di un lp di Mozart, negando anch'essa qualcosa, la propria vita che era ormai era ridotta alla solitudine più cieca. Ma la sua morte assume la forma di un richiamo spirituale in Anna/Ida, che si ritroverà nella sua casa compiendo lo svestimento del suo abito religioso e con ciò di tutta quella parte di stessa che appartiene ancora ad "Anna". Sarà soltanto Ida. Liberata dalla convenzione del convento che le è stata segnata dalla prima infanzia, deciderà di vivere l'amore carnale con il musicista Lis. Eppure qualcosa si muove ancora dentro Ida. E si muove anche nell'immagine finale (di rara intensità), girata con una sorprendente telecamera a spalle (scelta stilistica estranea a tutto il resto del film), che ritrae Ida in abito religioso camminare verso l'obiettivo della mdp, sullo sfondo di una campagna notturna mentre autovetture e motocicli viaggiano nell'orizzonte, in senso opposto al suo. E' anche l'unica scena del film in cui interviene la musica extra-diegetica con le note di un piano che bisbigliano il toccante Ich Ruf Zu Dir Herr Jesus Christ di J. S. Bach. Ida non ritorna al convento, si incammina per la prima volta verso l'Altro (Cristo). Inquadrature fisse, lunghi silenzi, cupezza.I personaggi, specie nella prima parte del film, sono sempre disposti ai lati dell’immagine, oppure lo spazio sopra le loro teste è vistosamente eccessivo e, per così dire, “fuori posto”. Ida è un film sull'identità, la famiglia, la fede, il senso di colpa, il socialismo, la musica.La fotografia è stupenda, con un bianco e nero pulito, con grigi morbidi, che dà una connotazione temporale alla storia ma che vuole rimarcare soprattutto la difficoltà del momento vissuto dai protagonisti. Gioiello vero.

mercoledì 28 ottobre 2015

L'amore bugiardo - Gone Girl di David Fincher. 2014

Premetto di non aver letto il romanzo di Gillian Flynn, la quale ha curato anche la sceneggiatura del film, ma devo dire che nel complesso è perfettamente in linea con la visione del regista a proposito dell'uomo moderno e dei rapporti anestetizzati e malati di cui siamo ormai portatori sani e assuefatti. Amy e Nick Dunne, una volta coppia felice e perfetta, sono caduti nel baratro della crisi matrimoniale, finchè il giorno del loro quinto anniversario Amy scompare.Ma l’amore, si sa, è bugiardo e la verità non è quella che sembra superficialmente. In tutto questo un ruolo centrale è giocato dai media, dall’immagine pubblica che il marito in cerca di moglie dà di sè spontaneamente e che poi cerca di controllare sempre di più per evitare che gli si ritorca eccessivamente contro. Pike è superlativa, bellissima ed eroticissima: ogni smorfia del suo viso resta impressa e ripaga l’impassibilità del suo partner sullo schermo.

giovedì 9 luglio 2015

La madre di Angelo Maresca. 2014

Tratto da un romanzo di Grazia Deledda, di una Sardegna in cui, nei piccoli centri, il rigore dei principi e la repressione sono ancora dominanti, ma ambientato a Roma, nel quartiere Eur e allocando la chiesa nel Colosseo Quadrato. Tanti i campi lunghi che permettono di seguire negli spostamenti, anzitutto della madre, che va avanti e indietro ostinata e rabbiosa nella sua lotta di dissuasione sugli amanti. Maddalena è stata prima un’orfana, poi una serva, poi una ragazza madre, infine una giovane vedova. Don Paolo è figlio di una violenza, confessa i suoi parrocchiani guardandoli negli occhi, come un marito fedifrago, lui che è avvinto da carnale passione alla bella borghese Agnese. Amore materno ossessivo, pedina il prete mentre si reca dall'amante, con gli stessi diritti di una moglie tradita. Lei, gambe tornite e corpo appesantito, da quella vetrata osserva il loro peccato. Don Paolo si lava e profuma prima dell'appuntamento e il regista non è avaro nemmeno nel mostrare tutti i suoi amplessi, i due consumano un frettoloso rapporto persino in Chiesa. Una canonica spoglia, ma piena di luce, così come la casa che il prete divide con la madre: con enormi quadri alle pareti con scene angoscianti a rappresentare il senso del peccato, statue ricoperte da teli, vetri offuscati che, anziché far trasparire, nascondono. Carmen (la madre) è spagnola e di umili origini, la donna che Paolo sceglie è bionda, alta, sofisticata, altera, quasi glaciale, ricca, vestita spesso di bianco e nero come l’ambiente intorno. Una donna viziata, di quelle incapaci di perdere. Questo è limite del film: troppe spiegazioni causa-effetto, l’origine della vita dei personaggi andrebbe intuita dalla scrittura, perché il determinismo in psicologia e nella vita è sempre riduttivo e pericoloso. Brutto anche il flashback gratuito, dove Carmen lava il figlio ormai adolescente, mentre gli chiede se è contento della sua vita in seminario e lui non può che rispondere di sì.Un incestuoso dramma edipico svenduto senza sentimento.Tanto da non capire, per tutta la durata del film, se Paolo soffre di più per la disubbidienza a Dio o per il sacrilegio di dover disubbidire alla Madre.

lunedì 6 luglio 2015

Lucy di Luc Besson. 2014

Mamma, sento tutto. Lo spazio. La terra. Le vibrazioni. La gente. Riesco a percepire la gravità. Riesco a percepire la rotazione della terra. Il calore del mio corpo. Il sangue nelle mie vene. Riesco a percepire il mio cervello. Il profondo della mia memoria. Il dolore nella mia bocca. Ora capisco queste cose. Riesco a ricordare la sensazione della tua mano sulla fronte quando avevo la febbre. Ricordo di accarezzare il gatto, era così morbido. Ricordo il gusto. Il gusto del tuo latte nella mia bocca. Il sapore, il liquido caldo.
Un pasticciaccio pop, ma con una premessa: non è vero che usiamo soltanto il 10% della potenza del nostro cervello. Si tratta di una credenza popolare molto diffusa e ampiamente fomentata da vari film, libri, pubblicità ecc. In realtà, usiamo tutto il nostro cervello e non soltanto una piccola parte (tranne nei casi in cui ovviamente delle malattie o dei danni cerebrali hanno colpito alcune aree rendendole inutilizzabili. Lucy, però, a contatto con una nuova droga riesce a sviluppare la capacità di utilizzare al massimo il suo cervello (il film sostiene che un essere umano può solo usare 10% della sua capacità mentale). Scarlett Johansson non ha nulla da invidiare alla Milla Jovovich de Il quinto elemento, e ricorda molto Nikita, a cui Besson non smette per un attimo di pensare: bastano i primi venti minuti del film, senza dubbio i migliori, per capire quanto il regista si rifaccia al suo vecchio action (ad oggi il suo film più bello), anche quello alle prese con una ragazza "sballata" che si trasforma in donna letale. Le donne incinta producono una sostanza naturale chiamata CPH4, base dello sviluppo osseo del feto. Sintetizzare in laboratorio questa sostanza vorrebbe dire generare una bomba chimica capace di aprire porte della mente ancora sconosciute e di sprigionare infinite potenzialità inespresse. In contemporanea ad una conferenza - dove l'eterno Morgan Freeman ci espone la teoria della storia dell'uomo, illustrando come il nostro cervello sia utilizzato di media al 10 % con punte massime del 20, esponendo le eventuali e fantastiche facoltà potenziali di quell'ottanta percento inesplorato -assistiamo alla storia di una 24enne che per obbligo del fidanzato diventa corriere della droga: una potentissima combinazione sintetica, sistemata nel pancino. Da qui l'accidentale rottura del “prezioso” plico provoca una serie di reazioni psico/fisiche che incrementeranno le potenzialità cerebrali di Scarlett dal suo anonimo cinque/sei per cento fino a al cento, anche se non si capisce bene l'utilizzo che poi decide di farne, come ad esempio quando dice al poliziotto:“fermami quelli la fuori”,ma fermateli da sola no?! Bellissima la scena della conversazione telefonica con la madre, il tutto mentre un chirurgo cerca di metterle i punti di sutura senza anestesia. Cpme anche l'incontro tra le due Lucy: le dita delle due prime donne che si incontrano sono il principio e il futuro del cambiamento, "dall’evoluzione alla rivoluzione" si ascolta a un certo punto del film, perchè il messaggio attraverso Lucy di Besson è che saranno la conoscenza e l’autoconsapevolezza a migliorare le persone e a salvarci. Peccato che le buone idee di scrittura debbano essere sempre subordinate all'intrattenimento.

giovedì 16 aprile 2015

The Cut di Fatih Akin.2014

Anche il secondo Ulivo d’Oro alla carriera di questo 16° Festival del Cinema Europeo di Lecce, dopo quello a Bertrand Tavernier, ha raggiunto il suo destinatario: Fatih Akin, il tedesco turco che nel corso della sua energetica carriera si è scoperto sempre più prima turco che tedesco.
A Mardin in Armenia, nel 1915 , durante una notte qualsiasi, la polizia turca rastrella tutti gli uomini armeni della città, compreso il fabbro Nazaret, il quale viene prelevato a forza dalla sua casa e dalla sua famiglia.Nazaret diventa schiavo delle armate turche, costretto ai lavori forzati ed a grandi serie di umiliazioni, insieme agli altri uomini armeni. Verrà salvato dallo sgozzamento, il suo aguzzino era, in realtà, un ladro che gli salva la vita, ma gli recide le corde vocali. A tutti gli altri armeni del suo plotone verrà, invece, tagliata la gola. Ma le sue figlie sono in vita, solo questo lo spinge a non lasciarsi vivere. L’epopea verso l’occidente è coinvolgente, scenograficamente e fotograficamente strabiliante, allontanandosi dai soliti cliché, a muoverlo è solo l'amore per le gemelle, ormai orfane.Il regista, con questo film, - come ha spiegato ieri al cinema Massimo, ospite del Festival del cinema europeo- conclude la trilogia su Amore, Morte e Diavolo. The cut è la ferita al collo del protagonista, la gola tagliata degli armeni non in grado di ribellarsi alle violenze dei turchi.
L’idea del ritorno alle proprie radici, come via per ritrovare se stessi, è da sempre presente nel cinema di Fatih Akin, ma il suo nuovo film si muove su un percorso diametralmente opposto: il protagonista è,infatti, strappato con violenza dalle sue radici e dalla sua famiglia, tagliato, sradicato e per restituire un valore alla sua vita è costretto ad allontanarsi dal suo paese e dalle sue tradizioni. Notizia recente è stata quella dell’attacco della leadership turca alla dichiarazione di Papa Francesco secondo cui il genocidio degli armeni sarebbe stato il primo genocidio del XX secolo. Interrogato sulla questione Akin ha giudicato estremamente aggressiva e insensibile la reazione turca, ricordando anche che è stato proprio un turco a sparare a Papa Giovanni Paolo II e ha sottolineato come molti paesi non accettano ancora oggi genocidi di cui sono stati responsabili, su tutti l’America nei confronti delle popolazioni native o degli schiavi neri; la Germania è stata costretta a riconoscere l’olocausto solo perché è uscita sconfitta dalla II Guerra Mondiale.

domenica 8 febbraio 2015

La trattativa di Sabina Guzzanti. 2014

"Siamo un gruppo di lavoratori dello spettacolo, ci proponiamo attraverso l'uso del nostro specifico, il comportamento degli attori, i registi, i tecnici, di ricostruire le tre versioni ufficiali, cioè quelle avallate dalla magistratura, sul suicidio, il presunto suicidio, dell'anarchico Pinelli".
Con queste parole Gian Maria Volontè presentava al pubblico il cortometraggio di Elio Petri "Tre ipotesi sulla morte di Giuseppe Pinelli" (1970). Il settimo lungometraggio della Guzzanti, che a lui si ispira, è un ulteriore passo avanti rispetto all' inchiesta giornalistica di "Draquila" in struttura e messa in scena. Infatti, un gruppo di attori teatrali, capitanati dalla stessa regista nelle veci di Volontè, ha il pregio di rendere il racconto in divenire, aperto a interpretazioni, costruzioni, senza mai svoltare in un vicolo cieco. Il binomio tra finzione e documentario è imprescindibile perché l'una arriva dove l'altro non può arrivare e viceversa: commovente la ricostruzione di ciò che l'agenda rossa di Borsellino poteva contenere, magistrali le figure caricaturali di Massimo Ciancimino e del giudice Caselli. Accompagnata dalle splendide musiche di Nicola Piovani e in particolar modo dalla folgorante fotografia di Daniele Ciprì, sempre più simonimo di perfezione, Sabina è partita dalle clamorose rivelazioni del pentito Gaspare Spatuzza, dal 2008 collaboratore di giustizia, primo a parlare di trattativa tra stato-mafia. Reinterpretare il 'reale' interesse alla teologia di Spatuzza, con tanto di iscrizione universitaria in carcere, è l'espediente narrativo da cui partire per intavolare questa riuscita docu-fiction, con ricostruzioni 'teatrali' legate a documenti ufficiali in mano ai magistrati. Perchè la mafia ad un certo punto ha abbandonato la strategia di bombe e stragi? Noi la finiamo con le bombe, ma voi cosa ci date in cambio? Dall'intervista a Di Matteo ricordiamo (se la nostra memoria vacilla) che fu il 1994 l'anno di svolta. Causa bunga bunga, gaffes e quant'altro, tra l'ex Premier e l'ex braccio destro Dell'Utri cominciano poi gli attriti e sarebbe proprio quest'ultimo a 'vergognarsi' della presenza altrui. E non viceversa. E giù a ridere. Quattro anni per poter realizzare il film, compito civico è ora la divulgazione. E ottimismo nel cercare di cambiare le cose. Un conto è dire che lo Stato e la Mafia sono la stessa cosa, un'altra informarsi sulla realtà dei fatti. L’idea generica è nemica di un’idea precisa: quali fasce di istituzioni, tuttora al comando, hanno preso queste decisioni? Da dove viene l’Italia che abbiamo sotto gli occhi? Questo film dà tutte le spiegazioni che servono. Didattico, ma necessario.

venerdì 12 settembre 2014

Gigolò per caso di John Turturro. 2014

"Se sapessi cosa c'è nella vostra mente non mi troverei qui"
David Foster Wallace descriveva così i newyorkesi: «hanno la capacità incredibile di badare ai fatti propri, di starsene per conto loro e non accorgersi che succedono cose sconvenienti, una capacità che mi colpisce ogni volta che vengo qui (a New York, ndr.) e che sembra sempre collocarsi a un certo punto del continuum tra stoicismo e catatonia». «Il mestieri più ancico deil mondto» biascica in un italiano per forza di cose americanizzato Fioravante, rievocando una conversazione con il suo amico di una vita Schwartz; siamo nel quartiere di una comunità ebraica e Fioravante economicamente al capolinea, si ricicla facendo il mestiere più vecchio del mondo. Woody Allen - che qui si diverte senza dover dirigere- è un bibliotecario ebreo, "ma di leggere i libri non gliene frega più niente a nessuno" con tanti figli (non ho capito quanti) avuti da un afro-americana, diventa il pappa del gigolò. Che "non è bello come Mick Jagger, ma chi se ne frega". Qualche accenno di scrupolo morale («queste donne sono vulnerabili»), qualche riserva sul proprio grado di virilità, ma poi l'anziano Allen lo convince.Questa ispiraziona buffa e bislacca gli è venuta da una confidenza fattagli dalla sua dermatologa (Sharon Stone) che sentiva il desiderio di un menage a trois di tipo puramente sessuale. Turturro qui rivendica il più possibile le sue origini italiane sia davanti che dietro la macchina da presa, riservandosi perfino qualche battuta nella nostra lingua e affidando ruoli chiave della troupe a professionisti italiani (la fotografia è di Marco Pontecorvo, il montaggio di Simona Paggi). E quella gnocca di Vanessa Paradis, il cui sguardo sarebbe in grado di stregare chiunque (me che scrivo, compresa).Sharon Stone è una meravigliosa cinquantenne e Sofia Vergara incarna la quintessenza dell'erotismo. Bellissima l'amicizia tra i due protagonisti, Allen ha di sicuro contribuito non ufficialmente alla sceneggiatura, i dialoghi tra i due sono esilaranti. Solitudine e crisi economica vengono dimenticate quando sono insieme. Quella di Gigolò per caso è una New York marcatamente multietnica, dai toni rossicci, con un sottofondo di jazz raffinatissimo e dove di americani quasi non se ne vedono, a parte l’insoddisfatta Sharon Stone. Lo stesso duo composto da Turturro ed Allen si prende simpaticamente gioco di certi luoghi comuni, fondati o meno che siano, dei rispettivi popoli a cui appartengono: Fioravante è latino, poetico, grande amatore per vocazione, di poche parole ed apparentemente avulso da ciò che lo circonda; Murray Schwartz è invece l’ebreo con la naturale propensione per gli affari, abile affabulatore, testardo senza essere mai molesto. Ah sorvolate su cose si fa il frappè al cioccolato. E ancora una volta sulla resa italiana del titolo. Questa quinta regia di Turturro è una delizia.

sabato 29 marzo 2014

In grazia di Dio di Edoardo Winspeare. 2014

Petra petra azza parite (Alla mia nuova amica Irma)
Unico lavoro italiano ad essere selezionato per il Festival di Berlino, 64a edizione, nella sezione Panorama. Fratello e sorella sono costretti a chiudere il loro laboratorio tessile. Impossibile essere competitivi senza rimetterci con i prezzi del mercato cinese. Un prestito il cui tasso sale sempre di più. Vendere la casa, dove ci abitano quattro donne: l'ex imprenditrice tessile, vera moglie di Winspeare (Celeste Casciaro) con la figlia adolescente e inquieta, la madre vedova, la sorella aspirante attrice laureata ma disoccupata, Madonna part-time nella recita parrocchiale. Equitalia e paure vere, tangibili che tutti ci troviamo a fronteggiare. Credibile questo regista innamorato del nostro Salento e sempre più convincente, lui che trova la nostra Terra madre così bella e salvifica, la propone come una possibile soluzione. Tornare alla terra, un parto al contrario, rientrare in quell'utero materno che solo protegge e aiuta. Una scelta luddista quella che ci propone Winspeare, rinnegare il progresso e i soldi ( non vendono la casa in campagna nemmeno per una somma altissima), arare, piantare, potare: i frutti non richiedono con gli interessi ciò che danno. Un film corale e femminile, che diventa meno interessante quando entra in scena "Stefano" (l'uomo), aspro come la terra da coltivare. Nulla di nuovo rispetto al suo cinema e la sensazione è che manchi qualcosa, qualche rifinitura che avrebbe potuto migliorare qualcosa che non funziona: forse il tendente al soap di certi intrallazzi amorosi delle donne. Sobrio. Minimalista. A Rossellini sarebbe piaciuto.

domenica 23 febbraio 2014

12 anni schiavo di Steve McQueen. 2014

Io non voglio sopravvivere. Io voglio vivere.
Seconda metà dell'800. Solomon Northup è un violinista di colore che vive di musica assieme alla moglie e ai due figli nello Stato di New York. Viene rapito e venduto come schiavo da due truffatori. 12 gli anni di schiavitù tra soprusi, violenze e privazioni. Sarà poi un carpentiere (Brad Pitt) dalle idee liberali che conosce durante i lavori nella proprietà di Epps, (Michael Fassbender )a informare le autorità. Lui quindi il personaggio della svolta, il bel cinquantenne Pitt, ma sottotono e poco convincente. Corpi. potrebbe essere questo il sottotitolo dei film di McQueen, da quelli scheletrici di Hunger, a quelli un po'da pornoattore di Shame fino ad arrivare a quelle spalle aperte degli schiavi di quest'ultimo: Patsey è praticamente un oggetto nelle mani di Edwin, schiavista perfido, laido e cruento. Alcolizzato, "credente" e maschilista. Se Solomon riesce a distinguersi rispetto agli altri schiavi, è grazie al suo alfabetismo. Che lo porterà a scrivere, dopo la liberazione, le sue memorie da cui il film è tratto.Il 2013, l’anno in cui ricorre il 160° anniversario della riacquistata libertà di Northup, è poi sembrato al regista il momento ideale per ricordare la sua storia. Terzo film di McQueen e 9 le nomination. Logoro il tema del razzismo, ma interessante la scrittura di questo film, Patsey è un personaggio vincente, brividi in ogni suo sguardo. Di classe la fotografia e la celestiale colonna sonora. Tutto elegantissimo. Nella copertina di promozione italiana solo star bianche. Il film parla della segregazione razziale. Un po'incoerente.

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