“Mi accorgevo di avere la pelle d’oca. Senza una ragione, dato che non avevo freddo. Era forse passato un fantasma su di noi? No, era stata la poesia. Una scintilla si era staccata dal poeta e mi aveva dato una scossa gelida. Avevo voglia di piangere; mi sentivo molto strana.Avevo scoperto un nuovo modo di essere felice.” (Sylvia Plath)
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mercoledì 11 settembre 2013
Come pietra paziente di Atiq Rahimi. 2012
"Gli uomini che non sanno fare l'amore, fanno la guerra!"
Atiq Rahimi è uno scrittore e regista afghano in asilo politico in Francia dal 1984. Solo la sofferenza di chi non può baciare la sua terra genera dei capolavori come questo. 100 minuti che t'inchiodano, eppure l'intero narrato si svolge tra quattro mura decadenti; una donna afghana parla con il marito in coma, colpito da una pallottola al collo, quindi inerme, immobile, la soluzione giusta affinchè lei possa raccontargli tutti i suoi segreti più intimi senza che venga uccisa. Un lunghissimo monologo. uterino, femminile, passionale, erotico. Bellissimo. "Oggi ci saranno i bombardamenti, rimanete in casa". In zona afghana, nei pressi di Kabul, si parla della guerra come di un evento atmosferico, come se piovesse.
Tutto è di elevatissimo livello, soprattutto la fotografia: nature morte di rara bellezza (come il fagotto di melograni che il soldato innamorato regala alla donna). E che donna. Ineccepibile la protagonista Golshifteh Farahani, occhi e sguardi che non dimentichi, confessioni le sue a cui ogni donna si sentirebbe vicina. Condivisibile ogni sua parola o gesto. Anche quello estremo della fine. Che le libera uno dei sorrisi più belli mai visti in tutta la storia del cinema.
La donna non ha volutamente un nome, la sua storia è quella di tante donne afghane, sposate con un mujaeddhin e trattate come serve ed estranee, ma dietro le quali si nasconde un'anima pulsante, carnale. Riscoprirsi donna e cominciare quella salita che conduce verso la propria felicità .Al culmine del suo percorso di conoscenza la protagonista si scopre addirittura profeta, identificandosi con Khadija, la moglie di Maometto.
Nessuna nomination al film. Questo lascia molto perplessi.
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mercoledì 19 giugno 2013
Diaz. Non pulire questo sangue di Daniele Vicari . 2012
“...io i miei non li reggo più”
Molta più violenza di quella immaginata. Un mattatoio di giovani giornalisti, anziani della CGIL, uomini d'affari. Silenzi e gli assordanti tonfi dei manganelli che picchiano, a caso, senza senso. Corpi arresi, tremanti di paura, con le braccia in alto in senso di resa che vengono barbaramente trucidati. In tal modo la polizia vigila sulla nostra sicurezza?
La morte di Carlo Giuliani è solo l'incipit del film. Poi ricordi sconnessi, frastagliati, che si ripetono. Un po' come i ricordi confusi di chi a fatica ricorda un trauma o non vuole ricordarlo. Ma testimoniare quest'ennesima brutta pagina italiana è d'obbligo. Una bottiglia più volte volteggerà nell'aria infrangendosi a terra, a sottolineare come un gesto così innocuo diventi il motivo scatenante e giustifiante quella insana e animalesca rabbia perpetrata su quei poveri malcapitati. Un intemperanza giovanile che nulla c’entra con una protesta contro la globalizzazione capitalistica.
Il giornalista Luca è Elio Germano, penna della Gazzetta di Bologna, un giornale di centro destra, che vuole vedere coi suoi occhi quello che sta succedendo e il poliziotto dotato di un barlume di coscienza il rasato per l'occasione Claudio Santamaria.
E quello che meglio il film documenta è la parte finale, ovvero la beffa dopo il danno: i soprusi continuano anche in commissariato e in carcere e sicuramente, intimamente, anche dopo e ora nella vita di ogni singolo ragazzo. Ad un ragazzo viene chiesto di mettersi a quattro zampe e abbaiare, ad una ragazza, Alma, anarchica arrivata dalla Germania che aiuta insieme ad un avvocato i familiari preoccupati a trovare i propri cari dispersi nella folla, alcuni arrestai, di spogliarsi inutilmente solo per essere guardata, addirittura anche quando è in bagno. "Togliti tutti i vestiti e comincia a girare su te stessa". E quando vede la madre che è fuori dal carcere per supportarla vorrebbe ridere ma le cicatrici per le botte al labbro non glielo permettono.
E vi sentirete anche voi così: inermi, con la bocca serrata che vorrebbe urlare ma tira per il dolore, perchè quelle manganellate a fine film le sentirete tutte anche voi. Il reato di tortura deve essere inserito all'interno del nostro codice penale, dopo il film, se ancora non ne siete convinti, non ne avrete più dubbi.
Stupende le inquadrature aeree del film, cercate i particolari significativi, il film ne è pieno.
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venerdì 24 maggio 2013
La chiave di Sara di Gilles Paquet-Brenner. 2012
“A volte le storie che non riusciamo a raccontare sono proprio le nostre”
Matrimonio non proprio riuscito tra una newyorkese e un francese. Ma dura, sono vent'anni. In questo personale dolore viene innestato quello collettivo dei fatti del Velodromo D’inverno, il luogo in cui la polizia francese, per ordine dei tedeschi, rinchiuse per giorni e in condizioni disumane, migliaia di ebrei parigini rastrellati fra il 16 ed il 17 luglio 1942, in attesa di reindirizzarli verso i campi di concentramento e sterminio nazisti.
Quello che vien fuori dalle carte della giornaista (la protagonista) è la storia di Sara, una bambina ebrea di 10 anni che nascose il fratellino Michel nell’armadio quando la polizia fece irruzione in casa Starzynski ed arrestò la sua famiglia. Nonostante i sessant'anni di differenza, le storie di Julia e Sara s'intersecano perchè Julia sta ristrutturando proprio l'appartamento appartenuto alla famiglia di Sara prima della deportazione.
Da insegnante di storia posso asserire con certezza che questa è sicuramente una delle pagine meno sconosciute e menzionate, si parla di governo collaborazionista, ma non di questo sterminio.
Molto toccante nel film il momento in cui sara bussa alla porta dell'attuale suocero di Julia e trova il fratello nell'armadio morto afissiato. E quindi quella gravidanza tarda di Julia e non voluta dal marito diventa un modo per riscattare la vita dei bambini morti, o andando più sul personale, la vita di Sara poi morta suicida dopo essersi sposata e aver messo al mondo un bambino.
Un film scolastico, adatto ai più giovani.

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venerdì 17 maggio 2013
Il pranzo di Babette di Gabriel Axel. 1987
“Come posso privarmi delle mie figlie, sono per me come la mano destra e sinistra”
Una cuoca francese si rifugia in Danimarca presso due sorelle nubili ormai un po' in là con gli anni. Una parabola sulla vita, sulla fede. Divertente, fuori moda, fuori sincrono. Una voce narrante femminile ci spiega la storia di un anziano pastore protestante (padre delle due donne) fedele seguace di Martin Lutero. Una costa fuori dal tempo e abbandonata quella in cui vivono, una setta religiosa tutta composta da persone anziane. Con un salto al passato apprendiamo dei corteggiamenti andati male verso le due sorelle, ubbidienti al padre e quindi decise a rimanergli fedele e a non allontanarsi per alcun motivo da lui. Due angeli bellissimi ma inconquistabili, cantano per glorificare Dio. Una di loro prende lezioni di canto, ma quando il maestro le fa delle avances ella manda il padre a disdire le altre lezioni pianificate. Due suore quindi, consacrate alla verginità e alla vita religiosa, ma mancanti del carisma del padre. Così' quando il pastore muore, le sorelle faticano a mantenere unito il gruppo, che sente lo spirito religiosa ormai venir meno e solo astratto e si accusano tra di loro.
In questo frangente arriva Babette che scappa da Parigi durante la rivoluzione della Comune e cerca rifugio. In un primo momento le dure sorelle hanno dei dubbi: è una cattolica, una papista (reca con sè una lettera di presentazione del maestro di canto, quindi papista)quindi una pagana.
Guardano con sospetto alla donna soprattutto quando in occasione del centenario della morte del loro padre si offre di prepare una cena francese. Che sorta di dissolutezza peccaminosa porterà la donna? Le sorelle hanno paura della gioia, della goduria. Ma in realtà sebbene loro lo ignorino quella cena rappresenta per Babette un sacrificio: per allestirla spende, infatti, tutto quello che vince alla lotteria. Ma un commensale particolarmente colto si accorge della prelibatezza di quel piatto e ricorda uno chef donna parigino come l'unico in grado di simili eccellenze a tavola. Come i discepoli sulla strada di Emmaus hanno riconosciuto Gesù da come ha dato loro il pane, così Babette viene allo scoperto in chi ha occhi (e palato in questo caso) per intendere.
Un piccolo capolavoro di eleganza e raffinatezza, mi pento di aver conosciuto questo regista solo ora. Ma dov'eri?

sabato 8 settembre 2012
Jane Eyre di Cary Fukunaga, 2011.
"Sono una macchina senza sentimenti? Credete che solo perchè sono povera, oscura semplice e piccola io non abbia nè anima nè cuore? Ho un'anima come voi e un cuore grande come il vostro e se Dio mi avesse donato bellezza e denaro, vi avrei reso difficile lasciarmi così com'è difficile per me lasciare voi. Non vi parlo attraverso le mie carni mortali, è il mio spirito che si rivolge al vostro spirito, come se avessimo visto la morte e fossimo ai piedi di Dio uguali come siamo..."
Tra tutti i riadattamenti di questo capolavoro lettereraio della scrittrice inglese Charlotte Bronte: dalla proiezione inglese con Orson Welles del lontano 1943, fino a quella del 66 di Zeffirelli, la mia preferita è questa targata 2011.
Come ben sa già chi ha letto questo strepitoso romanzo occorre fare un tuffo nel perbenismo di pulsioni represse così care alle sorelle Bronte, che hanno, se pur credo non avendole mai vissute, anzi forse proprio per questo, fatto sognare fior di generazioni grazie alle loro passionali storie d'amore senza tempo. La carica passionale del romanzo era sempre stata a mio avviso trattata poco bene nelle precedenti pellicole, ora questo per me sconosciuto regista americano (di padre giapponese e madre svedese, ecco spiegato il bizzarro cognome) Cary Fukunaga ne ha accentuato piacevolmente l'atmosfera gotica di quell'Ottocento, grazie anche alla bravisisma Mia Wasikowska, l'Alice di Burton, e all'affascinante bisbetico Rochester Michael Fassbender.
Il film ha degli interessanti salti temporali: la storia, infatti, comincia con Jane che nella notte con una nuova identità, fugge via disperata dalla tenuta di Thornfield Hall. Fino a raggiungere una casa di anime pie che la ospitano e le offrono le migliori cure. Un pastore St. John è il padrone della casa, che da subito rimane affasciato dallo sguardo della bella Jane. St.John vive con le sue due amorevoli sorelle, è in procinto di partire come missionario e chiede quindi Jane in moglie. Ma a Jane quella nuova vita che le si prospetta davanti, pur dignitosa e al fianco di un uomo onesto, appare impossibile. Così, nonostante gli forzi per reprimerle, le ingisutizie subite e quell'amore passionale a sprazzi vengono fuori e vengono così ricostruiti nel film motivando il perchè la ragazza non accetta la pur dignitosa proposta del pastore.
Jane, come "tutte le governanti" ha una storia dolorissima alle spalle: è orfana di entrambi i genitori e viene affidata alle cure della perfida signora Reed, sorella di suo padre, ma il suo carattere forte, anche troppo per una ‘femmina' del tempo presto le alieneranno le simpatie della donna, la tipica borghese del tempo, triste e sconsolata di essere solo dedita ai figli che vede in Jane il germe del peccato. Così affida l'odiata nipote presso l'istituto di carità di Loewood, dove le bambine vengono cresciute nell'ossessivo rigore delle regole, castigate, picchiate e umiliate. Solo la dolce e pura coetanea Helen Burns le è amica, finchè non muore e Jane dopo questa perdita dolorosa temprerà ancora di più il carattere, e divenuta maggiorenne, lascerà il collegio per prendere impiego come istitutrice a Thornfield Hall. Entra qui in scena il signor Rochester, uomo irriverente e oscuro che nasconde un tetro passato. Ma che da subito si accorge della bellezza e rarità di Jane, tanto da rimanerne sin da subito folgorato, di contro la giovane non potrà fare a meno di sentirsi sempre più attratta da quell'uomo, anche se non riuscirà da subito ad accettarne il suo passato tanto tetro e doloroso.
Altalenanti gli stati d'animo dell'eroina Jane e Fukunaga meglio di chiunque altro sa coglierli a pieno, vivida ed emozionante la fuga e poi la ricerca impazzata di quest'amore proibito. Ben riuscito.
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