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lunedì 9 gennaio 2017

Dio esiste e vive a Bruxelles (Le tout nouveau testament, Jaco Van Dormael, 2015)

Montato durante i brutti giorni degli attentati alla sede di Charlie Hebdo, Dio è un annoiato e dimesso signore di mezza età ( l’attore belga Benoit Poelvoorde) che vive a Bruxelles con moglie e figlia e che ha come effettivo divertimento quello di tirare le fila di tutte le nostre esistenze da un computer situato in una stanza super-blindata. Sua moglie non è la Madonna e sua figlia è una ragazzina ribelle che non ne vuol proprio sapere delle passioni un po’ crudeli del padre e si diverte anzi a dialogare e a confidarsi un po’ con la ‘figurina parlante’ del fratello J. C. (Jesus Christ), che l’ha preceduta nell’‘indipendenza’ da un padre così ‘ingombrante’. La sua indipendenza comincia, invece,da un oblò della lavatrice e dopo aver superato un lungo e angusto corridoio, la ragazzina cerca sei nuovi ‘apostoli’ per scrivere il suo ‘Nuovo Nuovo Testamento’, facendo in modo che gli apostoli diventino così 18, per la gioia della madre, che avrà infatti un ruolo-chiave alla fine del film.
Questo burbero Dio passa il suo tempo a rendere “leggi” (un po’ come quelle di Murphy) spiacevoli situazioni di vita quotidiana come “una fetta biscottata con marmellata che cadrà sul pavimento lo farà sempre sul lato sbagliato” o “la fila accanto alla tua andrà sempre più veloce”. Ha creato Bruxelles solo perché si annoiava, ma è lì che dovrà “scendere” se vorrà recuperare la figlia Ea colpevole di avergli mandato in tilt il pc e inviato a tutti i cittadini un sms con la data della loro morte.Ed allora ecco che non si può più aspettare per lasciare la propria moglie che non si ama più o per vestirsi da ragazza anche se si è maschietti o, addirittura, per diventare vittima di un colpo di fulmine con un gorilla conosciuto al circo (Catherine Deneuve in uno dei suoi ruoli più dissacranti di sempre). Bruxelles è grigia, alla Jacques Brel, città dove i musulmani sono la comunità più numerosa, dove esistono gruppi di fanatici che perseguitano chiunque (altri musulmani inclusi) non rispetti alla lettera la legge coranica. Un film imperfetto, ricco di toni trasognati che suggerisce: Il paradiso è qui e ora, non dopo la morte. Non vivremo a lungo. Godetevela e fate ciò che vi rende felici

lunedì 29 agosto 2016

La Famiglia Belier di Eric Lartigau. 2015

"Cosa fai? Chiudi quegli occhi e fa volare la tua anima...".
Belier che in francese significa montone è il cognome di una famiglia formata da madre, padre e due figli adolescenti,tutti sordomuti tranne la primogenita sedicenne Paula. Sono allevatori di bestiame e produttori di formaggi, grazie alla ‘parola' di Paula, l'unica in grado di dialogare con loro (tramite il linguaggio dei segni) e anche con il mondo esterno (attraverso il linguaggio convenzionale).Nella cucina soleggiata e multi-accessoriata la famiglia Bélier inizia una comune giornata di scuola e lavoro. Posate e piatti tintinnano sonoramente: confortanti segni della vita amena della campagna francese. Paula salta in bici, cuffie e va. La sua vita prende una piega diversa nel momento in cui si iscrive al corso di coro della scuola, dove scopre che cantare è la sua vera passione, spronata anche dal suo professore che vorrebbe farla iscrivere ad una delle più importanti scuole di cantodi Parigi. Paula è combattuta, da un lato non vorrebbe lasciare la sua famiglia in balìa di loro stessi ma, dall’altro, il suo desiderio di cantare è molto più forte. Così, la ragazza si troverà davanti ad un bivio, restare o lottare per il suo vero futuro?

martedì 21 ottobre 2014

Total Eclipse di Agnieszka Holland. 1995

Parigi è bagnata di pioggia. E loro si sfiorano per la prima volta. La sua poesia è diversa: la poesia può avere un senso al di là del suo significato? La provocazione è alla base. La loro relazione è provocazione, luce e ombra. Una sinuosità schizofrenica di propositi per narrare cose che altri non riescono a vedere. "Capii che ciò che mi serviva per divenire il maggior poeta di questo secolo era sperimentare ogni cosa sul mio corpo. Per me non era più sufficiente essere una persona. Decisi di essere tutti. Decisi di divenire un genio… di determinare il futuro". Il film di questa regista polacca è intenso, morboso e ossessivo. Arthur Rimbaud, un genio votato al Sole dell'Africa, simbolo di luce massima e verità…anche mortale.

martedì 30 settembre 2014

Séraphine di Martin Provost. 2010

"La pittura è scomparsa nella notte".
Se come me credete che l'arte sia un mistero, questo è il film che fa per voi. Sette César vinti non sono pochi; si tratta infatti dei premi nazionali di una cinematografia - quella francese - che non teme rivali quanto a qualità media delle pellicole prodotte. Qui l'arte è ispirazione divina, un talento naturale e necessità, una forza che tutto soggioga. Séraphine Louis è una donna umilissima con un talento prodigioso per la pittura.Lavora come serva e lavandaia, ma ha dentro una sensibilità singolare nei confronti della natura e un mondo ricchissimo che poteva essere espresso solo tramite la pittura. La miseria che racimola ogni giorno la spende per trovare i colori per la tela e non per mangiare, non ha carbone per scaldarsi. E’ una necessità che nasce da dentro ed è personale, non c’è ricerca di approvazione o ammirazione, lei dipinge solo per se stessa. A scoprire, in maniera del tutto casuale, questo talento è Wilhelm Uhde, collezionista e critico d’arte, tra i primi a comprare opere di Braque e Picasso e scopritore di Henry Rousseau. Il punto di vista del film è proprio quello del critico: noi, infatti, conosciamo Séraphine solo attraverso il suo contatto con Uhde, la prima volta nel 1912, quando il collezionista arriva a Senlis e riconosce il suo talento, Séraphine già dipinge, "... è stato il mio angelo custode a suggerirmelo", noi non sappiamo nulla di lei, il suo passato è un mistero e tale resterà. Quando poi Uhde deve scappare a causa della guerra, non sappiamo più nulla di Séraphine, è solo nel 1927, quando il critico nuovamente la incontra, che torna in scena. La sua incredibile evoluzione artistica, dalle prime piccole e stentate nature morte, alle opulente composizioni naturali è un enigma.Il collezionista contribuirà a distruggere la sua persona, mostrando la parte peggiore dell’arte: la creazione del culto della personalità dell’artista al solo scopo di guadagnare denaro. Séraphine è inconsapevole. Prima non vuole credere: “I ricchi sono sempre entusiasti”, poi cede e finisce per essere travolta e schiacciata da qualcosa più grande di lei.Morirà in un manicomio, tradita da un Uhde incapace per la crisi economica a far fronte alla sua pazzia. Straordinaria la bravura di Yolande Moreau nel rendere la goffaggine, la malagrazia, lo spirito scontroso ed eccentrico di Séraphine, si prova quasi avversione verso la sua figura, così sporca e trasandata, eppure i suoi quadri erano di una ricchezza e di una bellezza che lascia ancora oggi senza parole. Non tutti gli artisti sono pazzi, né, tutti i pazzi, artisti. Non è raro, però, che la follia vada a braccetto con la pittura, la musica, la letteratura. Ed è spesso da un´ossessione che scaturiscono colori, nascono forme, parole, note. Le ossessioni di Séraphine Louis erano addirittura due. Dio e la natura. Lei le fece coincidere. E magistralmente.

lunedì 7 luglio 2014

Tango libre di Frédéric Fonteyne. 2014

Ci sono due uomini che sono soprattutto due grandi amici. Condividono il carcere e una donna, madre del biondo Antonio, adolescente con il viso sempre arrabbiato. Infermiera e ballerina di tango. Un guardiacarceri sfigato è il terzo uomo, prende lezioni di tango e vive da solo con un longevo pesciolino rosso. Il tango è passionale e maliconico, pulsione latente (omosessualità) e desiderio. Sono le caratteristiche di questo film. Il tango verrà ballato in prigione dai detenuti, scena suggestivissima, perchè questi uomini hanno sì sbagliato ma vogliono sentirsi liberi almeno nel corpo. Questa pellicola ha il ritmo sincopato di una milonga e vuole essere un tributo al cinema: la guardia guarda e spia la vita dei suoi detenuti fin quando non se ne innamora e desidera farne parte, come uno spettatore che vuole diventare uno dei suoi eroi preferiti in cui s'impersonifica. Solo un film può farci sentire sulla pelle ciò che stiamo guardando, la guardiacarceraria ce lo ricorda!E in maniera convincente.

domenica 18 marzo 2012

La sorgente dell'amore di Radu Mihăileanu. 2012


Il nuovo lavoro di Mihăileanu, ormai per me un garanzia dopo i capolavori Train de vie e il Concerto è ambientato in Medio Oriente, in un paesino diviso tra voglia di modernità e il perdurare delle tradizioni dettate dal Corano. Ma ad un certo punto comincia a pesare la ripartizione di ruoli e mansioni tra uomini e donne oramai ancestrale, le donne sono sinonimo di progresso e quel meccanismo arcaico comincia così a scricchiolare.
Una siccità che dura ormai da anni ha fatto in modo che gli uomini rimangano senza lavoro e così passano le loro giornate tra ozio e avvilimento per il venir meno della loro mansione di procacciatori e di sostentamento per la loro famiglia. Il viaggio delle donne verso la sorgente per prendere l'acqua è in realtà insidioso e cela pericoli e dolori, tra cui incidenti a donne che incinta si trascinano spesso cadendo, ma tacendo e inghiottendo sangue e lacrime amare per rispetto della tradizione. Fin quando non arriva la liberale Leila che trova una spalla d'appoggio nella carismatica 'Vecchia Lupa', andata in sposa a 14 anni ad uomo che non amava, sfornando figli finchè lui non è poi morto.La più giovane del gruppo delle rivoltose è Esmeralda, che crede che la vita sia una telenovela, Leila con l'escamotage di farle scrivere lettere per il suo grande amore le insegnerà a scrivere. Insieme decidono di protestare e di cominciare uno sciopero, lo 'sciopero dell'amore': fin quando gli uomini non risolveranno il problema dell'approviggionamento idrico loro non si concederanno più.
La celebrazione dei momenti più topici del fim è lasciata alla musica, al più antico mezzo di comunicazione, con il quale le donne sembrano in pubblica piazza motivare il loro sciopero e mettere in imbarazzo gli uomini per spingerli ad agire in fretta. Perchè come spesso Leila dirà non è una lotta tra uomini e donne ma tra tradizione e buon senso. Una fiaba romantica nonostante il valore documentaristico che in certi aspetti vien fuori: esistono ancora di sicuro dei villaggi in cui si vive senza corrente elettrica e senza acqua. Inoltre testimonia la reticenza nei confronti degli stranieri: Leila viene, infatti, dal Sud ed è portatrice di quella sensualità tipica della cultura orientale. Le donne sono più furbe degli uomini e meno subordinate al sesso rispetto agli uomini e quale migliore privazione se non la carnalità per fare riscoprire la potenza dell'amore? Leila si è sposata per amore, infatti, dopo questa piccola rivoluzione tutti gli uomini del villaggio la odiano, tranne il marito che è sempre più rapito dalla sua principessa. E andando avanti con la visione scoprirete anche che non è il solo.
Come lo stesso regista c'informa nell'incipit del film una storia simile è veramente accaduta in Turchia nel 2001, l’acqua è in fondo solo la metafora dell’amore e si dice, infatti, che l’uomo deve “innaffiare” la donna. “ La sorgente delle donne è l'amore, la sorgente di ogni donna è il suo uomo. ”

giovedì 10 giugno 2010

Il tempo che ci rimane di Elia Suleiman. 2009


Quattro episodi che raccontano in silenzio la storia della famiglia del regista palestinese Elia Suleiman e di un popolo senza più una terra, dal 1948 (data in cui viene fondata Israele) ad oggi.
Fluire dei pensieri, tempo misto, alla Proust, alla Svevo, non c'è un ordine cronologico, nè un richiamo analogico tra un episodio e l'altro. Inquadrature secche e geometriche, ma ordinate (molto simile a Lourdes di Jessica Hausner se lo avete visto). Ed anche qui, come in Lourdes, c'è largo spazio all'ironia, anche se un po'amara: di fronte ad una casa c’è un enorme carro armato; un ragazzo esce per buttare la spazzatura; il cannone lo segue a pochi centimetri in tutti i suoi minimi spostamenti; ma il ragazzo nemmeno se ne accorge ed intrattiene anche una conversazione al cellulare. Mi è scappato un sorriso: l'emblema di un popolo che convive con l’orrore, tanto da farlo diventare la sua quotidianità. E mi ha commosso ancora di più la scena dei fuochi d’artificio: la madre del protagonista è in veranda, ma non li guarda, anzi volge lo sguardo esattamente dalla parte opposta, seduta nello stesso posto in cui il marito, defunto ormai da anni, si sedeva e toccante ancora di più il momento successivo all’ospedale, in cui la donna tiene costantemente in mano la sua foto: non c'è nulla di cui gioire, colori verso cui volgere lo sguardo. Scena bellissima!
Il resto è tutto sogno e surrealismo (che tanto mi piace): il regista salta con l’asta il muro di Gaza, per un cinema "vero"come non mai, dove sono solo le immagini a comunicare più dei pochissimi e scarni dialoghi presenti nella sceneggiatura, reale proprio perchè del tutto privo di effetti speciali, dove non c'è l'ansia del gesto e della parola, la volontà di una resa mozzafiato e sensazionale, limite della maggiora parte delle pellicole visionabili sul grande schermo.
Il conflitto israelo-palestinese è ricostruito grazie ai diari del padre Fuad, che si unì alla resistenza palestinese, e le corrispondenze della madre, substrato da cui prende vita il film, con un Elia Suleiman presente sulla scena, si autointerpreta da adulto. Un film sulla guerra, che però non la palesa, ma ne suggerisce solo l'idea, ce la sussurra piano all'orecchio, in maniera ovattata, irreale. I soldati sono una sorta di burattini dai movimenti irrigiditi e meccanici, si muovono a marcetta, e sono alquanto ottusi: i sorveglianti notturni ogni sera chiedono a Fuad e all’amico impegnati nella pesca chi sono, cosa fanno e da dove vengono, senza riuscire a intuire che si tratta sempre delle stesse persone. Questa sorta di caricatura è riservata anche agli arabi israeliani, ovvero i palestinesi rimasti in patria e privati della loro nazionalità: il vicino di casa che a giorni alterni minaccia di darsi fuoco col kerosene, la zia Olga che dice di aver visto in tv accanto a importanti personalità politiche i suoi parenti, i genitori preda dei soliti gesti e delle solite frasi: la madre lava meccanicamente i piatti e il padre dopo pranzo guarda la tv, Elia da piccolo è del tutto spento, cammina sempre a testa bassa, non parla, ha sempre la stessa espressione ebete e getta le lenticche della zia nell'immondizia, passando poi il piatto alla madre che prontamente lo lava. Straniamento, alienazione, dei palestinesi privati della loro individualità, personalità, delle loro emozioni, senza più un'anima. Tutto questo è reso magnificamente dalle ineccepibili inquadrature: i protagonisti spesso sono lasciati fuori quadro, quasi non ci fossero, come se l'aspetto umano non fosse il protagonista della storia, ma solo un contorno: quando Fuad innaffia le sue piante in giardino, sono loro le protagoniste, le uniche ad avere mantenuto qualche velleità esistenziale. Nel campo visivo solo gli oggetti, il cibo, la natura, il plaisir de vivre che non appartiene più alla famiglia di Elia.
Con un claustrofobico viaggio in taxi arriverete in Terra Santa, a Nazaret, vi imbatterete in un costruttore d'armi, padre di Elia, volto della dignità, della resistenza all'aggressione sionista, la schiena dritta che non si piegherà neanche con le bastonate, e il viaggio coninuerà attraverso il suo alterego, Elia stesso, attraverserete la sua infanzia, adolescenza e ritornerete poi in patria, con un senso di sconfitta, incredulità, e rassegnazione innanzi a un muro invalicabile. Ma non dimenticate: avete un'asta per saltare, basta solo prendere la rincorsa e spiccare il volo!

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