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giovedì 23 aprile 2015

Mia Madre di Nanni Moretti. 2015

“Perché fate sempre quello che dico? Il regista è uno stronzo, a cui voi permettete di fare tutto!”
La storia dell'elaborazione di un lutto vero, la morte della madre, Agata Apicella, professoressa di lettere al ginnasio, scomparsa nel 2010 durante il montaggio di "Habemus Papam". L’attore è a fianco e non dentro il personaggio, così Margherita Buy diventa qui il doppio di Nanni Moretti, lui, nei panni di se stesso è la parte saggia, moderata, calibrata, l'altra femminile è più nevrotica e confusionaria. Margherita è Nanni Moretti, è il Nanni Moretti sofferente che proietta se stesso continuamente in ogni personaggio, ma che profondamente teme se stesso. Ottima Margherita Buy, la sua migliore interpretazione, Moretti è, invece, Giovanni, il fratello pacato di Margherita, ma il film rimane emotivamente privato, è "sua" madre che muore e per quanto sia un taglio al cordone ombelicale per tutti, non si sente la sofferenza personale. Moretti non voleva farci piangere, questo è sicuro, non avrebbe mai puntato su una scleta così banale e facile: il consenso tramite il sentimentalismo, la pornografia dei programmi mediaset. Il dolore vero è laterale, hai troppo pudore per far vedere che ti ha dilaniato il cuore. Ma una bolletta che non si trova diventa quell'escamotage in cui poi dare sfogo alle lacrime, tanto che un appartamento si allaga e i quotidiani (il quotidiano, il ricordo) non assorbono nulla. Tu dirigi un film e tua madre fuori dal set sta morendo, Giovanni lascia il lavoro, lui è un bambino, non si sente affatto "troppo vecchio per trovarne un altro". Il dolore è sottrazione, "mi si nota di più se alla festa non ci vado?" Diversamente dal fratello, Margherita non smette di lavorare, ma, pur avvertendo l'inautenticità del suo film, si limita a piccole insofferenze come quella verso il trucco degli attori, critica il loro aspetto fisico, poco vero. Nel disagio che si avverte sul suo set si sente il cattivo sapore del cattivo cinema, un cinema che non riesce più a cogliere la realtà, né a dire il vero. Lei alla conferenza stampa non sa cosa dire, recita. "A cosa pensi", dice la Buy alla madre, sul letto di morte. "A domani", risponde lei.

venerdì 29 agosto 2014

La fine è il mio inizio (Das Ende ist mein Anfang) di Jo Baier. 2011

"L'immagine che mi viene in mente quasi ogni giorno è quella di un monaco zen che si siede nella sua cella, prende un bel pennello, lo intinge nel mortaio dove ha sparso la china e con grande concentrazione fa un cerchio che si chiude. Ma un cerchio non fatto con il compasso. Un cerchio fatto con l'ultimo gesto della mano su questa terra. La vita si conclude... è questo il cerchio che ora io cerco di chiudere." Tiziano Terzani
La biografia di Tiziano Terzani raccontata non da un cineasta italiano, ma tedesco, italiani che invece ci propinano storie di chiunque in televisione. Nato nel 1938 in una famiglia povera della periferia di Firenze, Tiziano Terzani è stato un giornalista, pensatore e viaggiatore degli anni Sessanta e Settanta, in luoghi - come la Cina- che erano ancora più inaccessibili e lontani di come li conosciamo oggi. Il suo sguardo attento e smaliziato ha contribuito a far conoscere al pubblico italiano, ma non solo, la realtà di conflitti come la guerra del Vietnam, o di stati chiusi come la Cina che sembravano irraggiungibili e inafferrabili. La fine della sua carriera giornalistica è poi coincisa con la scoperta di un cancro, il film si concentra sulla lenta e consapevole accettazione dell’avvicinarsi inesorabile della morte e del disfacimento del suo essere corporale. Nei panni del figlio Fosco il nostro Elio Germano, difficile avere un padre come Tiziano Terzani; Fosco registra gli ultimi dialoghi col padre in un racconto che assomiglia a una confessione pronta per diventare un libro (che poi sarà il suo ultimo bestseller). Pochissime scene e tantissimi dialoghi come c'è da immaginarsi, girato nelle campagne toscane, nei veri luoghi di Terzani. Eppure, riconoscendo il coraggio e i buoni propositi di un tributo a Terzani, il film ha qualcosa che non funziona e risulta confuso e superficiale. Forse sarebbe stato meglio un documentario con inediti veri su Terzani, perché offrirne un quadro così confuso, superficiale e scollegato?Se sulla lapide di Terzani è incisa la parola “Viaggiatore”, perché relegare il tema del viaggio a qualche accenno? Perché non riproporre una struttura a capitoli come nel libro, che rende accessibile il pensiero dell’autore, ma presentare i contenuti in flusso disordinato? Scene inutili: la scena della patata bollita che lui non riesce a mangiare, il finto litigio col figlio, l’arrivo in paese in macchina e il suo fingere di dormire. Salviamo la scoperta finale di questo suo viaggio, cioè che la cura non esiste, la morte è la naturale conseguenza della nascita e bisogna quindi accettarla come tale. "Perché il morire ci deve fare così tanta paura? Ma come, è la cosa che hanno fatto tutti prima di noi!". Per udire parte della cose dette in questo film e molte altre direttamente dalla voce di Tiziano, è consigliabile la visione del film-documentario "Anam, il senzanome" di Mario Zanot, che riporta l'ultima intervista a Tiziano ormai ritiratosi ad Orsigna. "L'inizio è la mia fine e la fine è il mio inizio. Perché sono sempre più convinto che è un'illusione tipicamente occidentale che il tempo è diritto e che si va avanti, che c'è progresso. Non c'è. Il tempo non è direzionale, non va avanti, sempre avanti. Si ripete, gira intorno a sé. Il tempo è circolare. Lo vedi anche nei fatti, nella banalità dei fatti, nelle guerre che si ripetono." Tiziano Terzani

giovedì 17 ottobre 2013

L'imbalsamatore di Matteo Garrone. 2002

Peppino Profeta è un nano di mezza età che imbalsama animali, con l'aggiunta di qualche "lavoretto sporco" per la camorra, per avere dei soldi per i suoi "vizi", uno in particolare su cui ruota l'intera vicenda del film. Valerio è un ragazzo prestante, pettorali scolpiti, sguardo accattivante. Un po' troppo giovane per i miei gusti, ma da dieci e lode comunque il ragazzo. Peppino gli offre lavoro come aiutante nella sua bottega, insegnandogli tutti i trucchi del mestiere e averlo vicino. Sa come attrarre il ragazzo: stipendio raddoppiato rispetto a quello da cameriere, vita mondana con annesse donne e festini privati. Fino addirittura ad ospitarlo, quando il fratello si lamenta dei suoi orari. Peppino segue un copione per allontanare il ragazzo da parenti e fidanzata. Tutta questa amicizia comincerà a puzzarvi e dopo un po', insieme a Valerio, e forse anche dopo, capirete le reali intenzioni di Peppino. A rompere l'equilibrio la svampita ragazza dalle labbra rifatte, per la quale Valerio prova una forte passione, tanto da convincere Peppino ad ospitarla sotto il loro tetto e scatenando la sua gelosia. Difenderà ad ogni costo il suo pupillo. Mai si capirà se in realtà la relazione tra i due si consumi, nonostante la ragazza di Valerio costantemente lo chieda. Qualcosa vi lascerà presagire che la fine sarà tragica. Esisteva veramente "un nanetto della Stazione Termini", Peppino qui romanza il tutto e con estrema bravura direi, un uomo dai tratti di showman che ben si presta alla personalità richiesta dal personaggio. Tutto è sottotono, ma affascinante e intrigante. Degno di nota l'inconsueto punto di vista del tacchino chiuso in gabbia allo zoo che assiste all'adescaggio di Peppino nei confronti di Valerio, attutito sia nella vista che nell'udito. Geniale. Primi piano improbabili, frequente alzarsi e abbassarsi della telecamera per seguire il nano Peppino e il gigante Valerio, stacchi improvvisi nella ripresa. Dialetto campano. Va verso questa strada il cinema italiano contemporaneo. Improvvisazione, realtà. Mi piace.

mercoledì 19 giugno 2013

Diaz. Non pulire questo sangue di Daniele Vicari . 2012

“...io i miei non li reggo più
Molta più violenza di quella immaginata. Un mattatoio di giovani giornalisti, anziani della CGIL, uomini d'affari. Silenzi e gli assordanti tonfi dei manganelli che picchiano, a caso, senza senso. Corpi arresi, tremanti di paura, con le braccia in alto in senso di resa che vengono barbaramente trucidati. In tal modo la polizia vigila sulla nostra sicurezza? La morte di Carlo Giuliani è solo l'incipit del film. Poi ricordi sconnessi, frastagliati, che si ripetono. Un po' come i ricordi confusi di chi a fatica ricorda un trauma o non vuole ricordarlo. Ma testimoniare quest'ennesima brutta pagina italiana è d'obbligo. Una bottiglia più volte volteggerà nell'aria infrangendosi a terra, a sottolineare come un gesto così innocuo diventi il motivo scatenante e giustifiante quella insana e animalesca rabbia perpetrata su quei poveri malcapitati. Un intemperanza giovanile che nulla c’entra con una protesta contro la globalizzazione capitalistica. Il giornalista Luca è Elio Germano, penna della Gazzetta di Bologna, un giornale di centro destra, che vuole vedere coi suoi occhi quello che sta succedendo e il poliziotto dotato di un barlume di coscienza il rasato per l'occasione Claudio Santamaria. E quello che meglio il film documenta è la parte finale, ovvero la beffa dopo il danno: i soprusi continuano anche in commissariato e in carcere e sicuramente, intimamente, anche dopo e ora nella vita di ogni singolo ragazzo. Ad un ragazzo viene chiesto di mettersi a quattro zampe e abbaiare, ad una ragazza, Alma, anarchica arrivata dalla Germania che aiuta insieme ad un avvocato i familiari preoccupati a trovare i propri cari dispersi nella folla, alcuni arrestai, di spogliarsi inutilmente solo per essere guardata, addirittura anche quando è in bagno. "Togliti tutti i vestiti e comincia a girare su te stessa". E quando vede la madre che è fuori dal carcere per supportarla vorrebbe ridere ma le cicatrici per le botte al labbro non glielo permettono. E vi sentirete anche voi così: inermi, con la bocca serrata che vorrebbe urlare ma tira per il dolore, perchè quelle manganellate a fine film le sentirete tutte anche voi. Il reato di tortura deve essere inserito all'interno del nostro codice penale, dopo il film, se ancora non ne siete convinti, non ne avrete più dubbi. Stupende le inquadrature aeree del film, cercate i particolari significativi, il film ne è pieno.

giovedì 7 febbraio 2013

Cosmonauta di Susanna Nicchiarelli. 2008

"La tecnologia sconfigge la forza di gravità, vota e fai votare comunista".
In questo periodo pre-elettorale vi propongo l'opera prima della giovane Nicchiarelli. Luciana fugge dalla chiesa e rifiuta la prima comunione perché comunista. È il 1957, e la cagnetta Laika è mandata dai sovietici sullo spazio. Unione Sovietica. Partito Comunista. La giovane ragazza perde il padre comunista e per tenere alto il suo onore ed opporsi alla madre che nel frattempo sposa un fascista che la mantiene e la eleva socialmente, comincia a frequentare la sezione diventando un'attivista. Il fratello maggiore soffre di epilessia e lei sembra contestare anche il ruolo di "questi pseudo malati" tenuti un po' ai margini della società. Ma poi si sa, il "Cuore è matto" e comincia a battere e il film diventa un pò meno brioso perchè concentrato su questa tematica giovanilistica: conflittualità sull'accordo degli orari con i genitori, la compagna carina portata in sezione solo per dare voce alle donne ma che le frega quel tipo così carino e quelli scambi di effusioni dati a quel ragazzo panciuto che però al contrario del belloccio, si accorge di lei. Luciana mi fa simpatia, non sa gestire le sue emozioni e combina dei gran pasticci, ma poi alla fine nonostante le gonne lunghe, la frangetta che le copre il viso conquista il biondino. Sono una nostalgica, sono una comunista e sebbene questo film non sia nulla di eccezionale accende la mia passione politica. Vota e fai votare comunista!!

giovedì 24 maggio 2012

In un altro paese di Marco Turco. 2005

"Il nostro è un paese senza memoria e verità, ed io per questo cerco di non dimenticare". (Sciascia)
Un giornalista americano, Alexander Stille e il titolo di un suo libro: "Cadaveri eccellenti" e la nascita di questo attento documentario cinematografico sulla nostra, italianisssima, Mafia. Al resto ci pensa Marco Turco ricostruendo gli stretti rapporti tra Cosa Nostra e lo Stato italiano della prima repubblica. Tanta, forse troppa televisione, così il regista ruba agli amanti del cinema solo 92 minuti per ripercorrere gli ultimi 40 anni di storia italiana, in cooproduzione con la BBC e France2 e disponibile anche in dvd con una versione più lunga. Tanti i nomi e il sangue in questa lunga storia, concentrandosi in maniera più importante su Falcone e Borsellino, partendo dalle dichiarazioni sconsolate dell'ex presidente del Tribunale di Palermo Antonino Caponnetto da poco giunto sul luogo in cui anche Borsellino aveva perso la vita: "E' tutto finito!". Poi un grosso salto indietro, per ripercorrere a ritroso con interviste e filmati d'epoca cosa aveva portato alla tragedia, soffermandosi soprattutto sull' isolamento politico vergognoso in cui fuorno lasciati i due giudici,passando dalla cattura di Tommaso Buscetta, il maxiprocesso dell'Ucciardone e l'omicidio Lima, perchè "La battaglia contro la Mafia si fa in Sicilia ma si vince a Roma". Stona, dopo tanto rigore e serietà, un finale che affronta semplicisticamente e superficialmente la stretta attualità con il faccione sorridente di Berlusconi, avrei preferito riferimenti più precisi (perchè ci sono!!) e nel 2005 ancora non c'era la legge bavaglio. Un documentario alla Piero Angela che tratta di questo animale che è la Politica concentrata solo sulla conservazione della sua specie. Questo il mio omaggio per un uomo che non ha fatto altro che amare il suo paese e volerlo rispettare a costo della propria vita. Infinitamente Grazie.

sabato 12 maggio 2012

Urlo di Robert Epstein e Jeffrey Friedman.2010

"La Beat Generation non era un movimento, ma semplicemente un gruppo di scrittori che voleva farsi pubblicare"
Controcultura. Va in onda il processo per oscenità subito nel 1957 da Allen Ginsberg, tra testi originali e il cartoon di Eric Drooker che anima i suoi versi. Non è certo una testimonianza questo tributo all'Urlo di Ginsberg, nè un documentario, forse nemmeno un film, piuttosto lo difinerei il flusso della coscienza dell'autore ricostruito tramite immagini. E'inclassificabile quindi questa pellicola unica nel suo genere, una fuga lirica e prosaica che scagiona Allen dal dito puntato contro dei benpesanti. Con un andamento jazz, vediamo Ginsberg declamare ambienti e persone, in particolar modo artisti, politici, gente con disturbi psichiatrici, drogati. La sua è una chiara invettiva contro lo stato americano, Moloch persofinicato da una sorta di Lucifero con gli occhi di fuoco. Il processo nei confronti dell'editore Ferlinghetti fu vinto: i riferimenti espliciti a droghe e pratiche sessuali e omosessuali diedero fastidio, risultarono scomode forse, ma non furono giudicate perseguibili. Il film è strutturato sulle interviste all'autore che narra suoi episodi di vita: dall'incontro con Jack Kerouak a quello con Peter Orlovsky, compagno di una vita. Molto spazio è dato alla ricostruzione abbastanza meticolosa del processo al quale Ginsberg non presiedette mai e alla lettura integrale di "Howl" alla Six Gallery di San Francisco. Colore e bianco e nero si mescolano. Unico punto di demerito: avrei dovuto ascoltarlo in lingua originale o forse anche nella resa italiana le parti in cui viene recitato Urlo non si sarebbero dovute doppiare. La voce italiana, infatti, vaga a tentoni alla ricerca di un ritmo e una musicabilità che non trova mai. Il tributo a questo favoloso poema ne esce quindi appannato, buona invece la ricostruzione circa la dedica: all’amico Carl Solomon, conosciuto in manicomio. La metrica ispirata a Leaves of Grass di Walt Whitman rischiò addirittura un’accusa di plagio: questa la tesi del professor David Kirk , risultata però alla fine poco convicente. Poco esaustiva la ricostruzione dell'ambientazione beat che ha ispirato l'autore, così come gli episodi personali che Allen snocciola fumando e seduto in poltrona ad un anonimo giornalista: il suo ricovero in manicomio (dopo aver sperimentato la malattia mentale per via materna) e l’osservazione della realtà sotto effetto di peyote. Ma il risultato totale è buono. Anzi beat.

domenica 15 maggio 2011

Me and you and everyone we know.Miranda July. 2005


La gente si rassegna al mal di piedi, ma la vita ha in serbo di meglio

Il microuniverso di Miranda July, con questa pellicola al suo esordio, è intriso dalla difficoltà di comunicazione e dall’isolamento nel quale sono rinchiusi i suoi singolari personaggi. Miranda è Christine, una dei protagonisti: una folle artista senza successo, lavora come autista per persone anziane, ma ha solo un cliente, e come ogni artista confonde continuamente, nell'arte come nella vita quotidiana, la realtà conla fantasia. Incontrerà Richard, commesso di scarpe in crisi coniugale.
Due solitudini che s'incontrano e dispiegano le loro assurdità con i bambini che osservano straniati ed alienati gli adulti del tutto folli. E' un teatro beckettiano, dell'assurdo, che si perde nei difetti del cinema indipendente: discorsi banali, stile trascurato. Ma toccanti le scene che rievocano la caducità umana: Richard brucia la mano che non ha saputo ricomporre la sua famiglia, il pesciolino rosso che si cerca a tutti i costi di salvare, una gara di pompini, il bacio impossibile fra il bambino nero e la donna della chat.
Lirismo, poesia e scandolo, come i biglietti pornografici rivolti alle due adolescenti, qui sesso e amore non viaggiono all'unisono, è l'amore che comunica e il sesso ne esce svilito, ma è un istinto del tutto naturale, primordiale, al quale tutto è permesso senza falsi tabu'. Questo punto di vista, che voi lo condividiate o meno, dopo un po'diventerà, senza che ve ne accorgiate, anche il vostro:l'oscenità di alcune scene se all'inizio vi farà rabbrividire, poi vi divertirà. Questo è vero talento, anche un benpensante accetterebbe la scabrosità di questo film, che definirei uterino, vaginale, pensato da una donna e quindi mai volgare. E profondamente consolatorio: La gente si rassegna al mal di piedi, ma la vita ha in serbo di meglio.

domenica 26 settembre 2010

La passione. Carlo Mazzacurati. 2010


Gianni Dubois. Regista digiuno da cinque anni, fuori dall’albero maestro del cinema italiano che conta, senza idee ma con la stella del momento (l'improbabilissima Capotondi) che però vuole fare un film con lui. Ma Dubois, per quanto si sforzi, l'idea brillante non riesce a partorirla. Fin quando la sua abitazione a Firenze danneggia un prezioso affresco del Cinquecento.Per riparare il danno sarà costretto ad organizzare la messa in scena itinerante della Passione del Venerdì Santo, in soli cinque giorni.
La passione, in realtà, è quella del regista, martoriato e tradito dalla sua creatività e dopo il calvario la tanto agognata e attesa Ispirazione arriverà?
Gli intenti del film sono lodevoli, ma dispersivi, il risultato è comunque una pellicola molto divertente, grazie soprattutto al grottesco Guzzanti, meteorologo/attore cane con look alla Renato Zero (la parte più riuscita, la prima prova de L'ultima cena, quando legge da un copione scritto a mano da alcuni scolaretti, perché tutte le fotocopiatrici in città erano "rotte")."Prima che il gatto cantiiiii" saranno le conseguenze.
Una parodia sul cinema e sul teatro italiano, di cui allo stesso tempo si analizzano le falle:"La gommapiuma ha ucciso il teatro italiano", Guzzanti si crede Shakespeariano e urla per tutto il tempo.I produttori senza cuore e senza anima, a cui del cinema interessa poco e niente e la presa in giro spetta anche agli stessi registi, che giocano per una vita a fare gli intellettuali e poi si ritrovano dimenticati e disperati. (Forse è questo il punto cardine che scatena l'arresto della cratività di Dubois). E poi la canzonatura a tutte le nuove attrici e i nuovi attori creati dalla televisione che vogliono sono la parte giusta per diventare ancora più celebri e ricchi. Tutto ormai si regge sui "favori di scambio", do ut des, la trama da cui il film prende spunto è un fatto vero, accaduto al regista che per avere il permesso di restaurare una sua casa in campagna accettò di guidare una sacra rappresentazione.
Il tutto con alle spalle una produzione importante: Rai e Fandango, canali privilegiati del cinema italiano “di qualità”. Del resto si sa,...siamo pur sempre in Italia "questo è il paese più ingrato del mondo: Garibaldi è andato in esilio, Dante pure.Roberto Baggio l'hanno fatto giocare due anni nel Brescia". Inutile pretendere di più
Kasia Smutniak, la barista polacca che interpreta Maria Maddalena, chiude questa simpatica farsa, lanciando un ultimo messaggio sottinteso, il valore profetico che una buona pellicola può portare con sè: le lacrime calde che bagnano le sue guance sotto la croce di Cristo morente come presagio del suo vero dramma. Quello personale e privato.

venerdì 5 marzo 2010

Francesca. Bobby Paunescu. 2009


Francesca è una trentenne rumena col sogno dell'Italia. Un film scomodo per noi "padroni del mondo", difficile ascoltare senza poter replicare gli appellativi che gli stranieri ci affibbiano ( a piena ragione). Il nonno della protagonista parla degli uomini come“stalloni da monta”, con il solo interesse di sottrarre le donne ai rumeni. Il padre di Francesca, invece, ci bolla come un popolo di razzisti. La giovane ne è un po'spaventata, ma continua a pensare alla nostra penisola come ad un’oasi di felicità e rinascita. Intraprende, quindi, il suo viaggio con un progetto ben preciso: aprire un asilo nido per i piccoli rumeni in Italia (oltre un milione). Per il resto un film noiosissimo, statico, che acquista valore solo tramite il messaggio che veicola: la speranza e la voglia di ricrescita di una repubblica dopo anni di dittatura. Buona, in tal senso, la resa delle scene: palazzi vecchi e scrostati e strade polverose. Grigiume. Appiattimento.Mita è il ragazzo di Francesca, deve sbrigare delle "losche faccende" e poi raggiungerla in Italia. Farà pero'una brutta fine.

Gli Italiani sono proprio gente pessima, di cui è meglio non fidarsi. E questo, fatta eccezione per qualche malcontento in sala, mette tutti d'accordo.

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