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mercoledì 14 giugno 2017

Perduto amor di Franco Battiato

"mi piacciono le scelte radicali, la morte consapevole che si autoimpose Socrate, e la scomparsa misteriosa ed unica di Majorana, la vita cinica ed interessante di Landolfi, opposto ma vicino a un monaco birmano, e la misantropia celeste in Benedetti Michelangeli "
sprazzi di poesia, citazioni colte, momenti di (voluta?) ingenuità. appagante, la sensazione di aver ascoltato/visto qualcosa di personale, valido e genuinamente “artistico”.Con la scusa di raccontare l'infanzia siciliana di Ettore, a metà tra gli anni Cinquanta e Sessanta, i rapporti con la madre (la sorprendente Donatella Finocchiaro), donna di grande fascino poco amata da un marito distratto e fedifrago e a seguire la sua adolescenza fino a giungere nella Milano del boom economico, per distaccarsi dall'adorata Sicilia e iniziare un percorso di conoscenza di se stesso e della sua vocazione di scrittore, in buona sostanza, Battiato ci parla delle cose che interessano l'artista-persona: il mare, la musica, la filosofia, gli studi esoterici, la religione

mercoledì 1 febbraio 2017

Parla con lei di Pedro Almodóvar. 2002

In Romania il guardiano di un obitorio fece l'amore con una giovane morta: la ragazza ritornò in vita dopo l'amplesso. Era affetta da un raro caso di catalessi, che la rendeva morta solo in apparenza. Almodovar prende spunto da questa storia per raccontare l'amore disperato dell'infermiere Benigno per la ballerina Alicia, rimasta in coma dopo un incidente stradale. Un rapporto impossibile, proprio come quello del giornalista Marco con la torera Lydia, che si è suicidata nell'arena per amore di un altro.Il titolo si riferisce proprio alla ricerca di una comunicazione tra l’infermiere Benigno nei confronti di Alicia. La storia d'amicizia tra questi due uomini è la parte più bella del film, innamorati non corrisposti e soli. Almodovar rovescia lo spartito dei suoi film: non sono più le donne a immolare se stesse per preservare la felicità dell'amato. Stavolta, i protagonisti sono gli uomini, mai così sensibili, umani, commossi. "Tutto su Mia Madre" terminava con un sipario che si apriva su una scena buia, qui il film inizia mentre si apre il sipario. Tanta emozione. Buon inizio di febbraio.

sabato 19 dicembre 2015

Far from Heaven di Todd Haynes. 2002

Uno spudorato omaggio ai melodrammoni degli Anni '50. Una casa con giardino curato, il lattaio, uno scuolabus che percorre il viale, la signora Withaker che accoglie il marito sulla porta di casa, gli abiti perfetti, la cameriera di colore: tutti i topoi sono rispettati nella descrizione della vita borghese di questa famiglia media americana.Sino a quando Cathy non scopre l’omosessualità del marito. Una condizione che non può essere accettata. Solo curata. Amplificando i litigi e il malcontento.In tutta questa sofferenza Cathleen trova un amico, Raymond, il loro giardiniere. Che le parla di Mirò e del rapporto tra il divino e l’arte, che la porta a passeggiare nel calore dell’autunno, che la fa sentire “unica” e “viva”. Tra loro non accade nulla, se non una vicinanza d’anime che toglie il respiro. Ma sufficiente a scatenare il pettegolezzo, l’emarginazione, la violenza fisica e psicologica. Un sentimento che non può essere vissuto, allora come oggi. Anche se quel ramo fiorito, che sancisce una ritrovata primavera, qualche speranza a noi inguaribili romantici la lascia.

martedì 28 aprile 2015

Le donne vere hanno le curve di Patricia Cardoso. 2002

"Non c'è miglior ornamento addosso, della carne attorno all'osso"
Ragazze di origini messicane che abitano a Los Angeles. Questo il sottotitolo. Lei brillante a scuola, estroversa, simpatica, con geniori ancorati al secolo scorso che cercano in tutti i modi di ostacolare la sua maturazione. Ma Ana di quella tradizione ha solo sentito parlare, non è più la sua. Anche questo film s'inserisce in quel filone di denuncia delle difficoltà che gli immigrati di seconda generazione devono affrontare. E non solo: Ana è una ragazza in carne, con la madre che vorrebbe vederla, invece, magra, sposata e senza tante ambizioni. Ma Ana esce di nascosto con un ragazzo di Beverly Hills, abbandona il lavoro nella sartoria sottocosto della sorella (non prima di aver risvegliato la coscienza sociale delle lavoratrici) e, grazie ai suoi brillanti risultati scolastici nel più esclusivo liceo della città, ottiene l'ammissione alla migliore università del paese. Nella primissima parte del film, lo spettatore non si rende quasi conto di essere nella elegante e caotica Los Angeles perché ovunque ci sono segni e costumi propri della comunità messicana e solo quando la ragazza approda con l'autobus al liceo che l'insegna di Beverly Hills ripresa in primo piano fa realizzare che l'ambientazione del film è negli Stati Uniti. Così come la Toula de "Il mio grosso grasso matrimonio greco" anche Ana ha un ragazzo yankee che la accetta anche se il suo aspetto non è quello tanto esaltato dai canoni della società attuale e come la Jess di "Sognando Beckham" anche Ana ha un sogno nel cassetto osteggiato dalla sua famiglia: andare all'università e continuare gli amati studi. E ondeggiando le sue cruve mozzafiato su una strada di New York il film si chiude. Stucchevole, ma leggero e divertente.

sabato 1 febbraio 2014

La tigre e la neve di Roberto Benigni. 2002

"Come sono belle le donne quando decidono di fare l'amore tra poco"
Ogni notte sognare di sposare la stessa donna: Vittoria. Ma intanto Vittoria snobba Attilio (Benigni) perchè lavora per scrivere la biografia di Fuad (Jean Reno), il più grande poeta iracheno. Non avevo mai visto questo film perchè la critica aveva parlato chiaro: dopo Pinocchio, Benigni pareva non essersi del tutto ripreso, soprattutto gli Usa, ricordo, avevano bocciato totalmente la pellicola. Ora capisco perchè. Non toccate l'Iraq agli americani. Ma qui la guerra fa solo da sfondo, è l'Amore il vero protagonista. Chi, se non un uomo innamorato può fare i miracoli? "E dai, trovamela questa glicerina, perché se non me la trovi quella muore... quella muore proprio... e se muore lei, per me tutta questa messa in scena del mondo che gira... possono anche smontare, portare via, schiodare tutto, arrotolare tutto il cielo e caricarlo su un camion col rimorchio, possiamo spegnere questa luce bellissima del Sole che mi piace tanto... ma tanto... lo sai perché mi piace tanto? Perché mi piace lei illuminata dalla luce del sole, tanto... portar via tutto questo tappeto, queste colonne, questo palazzo... la sabbia, il vento, le rane, i cocomeri maturi, la grandine, le sette del pomeriggio, maggio, giugno, luglio, il basilico, le api, il mare...". Benigni farebbe scoraggiare anche chi fa le serenate di professione, la poesia, le parole spiegate con la parabola dell'uccellino, ma ancor meglio con la surreale magia del pipistrello entrato in casa e fatto uscire con le rime: "Pipistrello come sei bello"! E allora di certo l'alchimia de La vita è bella non si ricrea, ma questo film non merita le critiche ricevute, Benigni non è un attore, noi non lo vogliamo attore, lo vogliamo così com'è.

venerdì 24 gennaio 2014

L'amore infedele di Adrian Lyne. 2002

"È lei che mi ha scopato nella toilette?"
Ero nuda tra le sue mani sotto la gonna alzata nuda come non mai. Il mio giovane corpo era tutto una festa dalla punta dei miei piedi ai capelli sulla testa Ero come una sorgente che guidava la bacchetta del rabdomante Noi facevamo il male il male era fatto bene. Jacques Prévert. Remake di un film francese degli anni sessanta, che non ho visto, ma che spero meno melenso e a tratti noioso di questo. Un bel ventottenne di origini francesi, che vive tra i libri fa perdere la testa alla "donna infedele" della pellicola e per tutta la prima parte del film le scene di sesso si sprecheranno. Quando Richard Gere (il marito) scoprirà il tradimento il film comincerà a virare verso il giallo/thriller ma dai toni grotteschi e banali, perdendo di verve e interesse. L'incontro tra i giovani amanti avviene una mattina tempestosa, d'effetto il vento che scopre le bellissime gambe di Diane Lane, e come resistere alle citazioni di un intellettuale?: Bevete il vino, questa è la vita eterna, questo è ciò che vi darà la giovinezza, questa è la stagione del vino, delle rose e degli amici ubriachi. Siate felici di questo momento, questo momento è la nostra vita. Sarà passione. Ma solo passione. Il film non offre altro. Buona visione.

sabato 28 dicembre 2013

The Magdalene Sisters di Peter Mullan. 2002

"Sarei disposta a commettere qualunque peccato pur di uscire da questo posto"
Vincitore del Leone d'oro alla 59° Mostra d’Arte Cinematografica di Venezia. Musica irlandese ad un matrimonio. Si apre così il film. Tre ragazze (insieme ad altre e con donne non più giovani):Bernardette un'orfana che, secondo la sua direttrice, ha il destino dell'ammaliatrice e per questo deve essere "raddrizzata", Rose con un bambino senza un marito, peccato mortale, Margaret violentata da un cugino. Un'arancia a testa per Natale e per il resto solo lavori forzati e soprusi da lager. La storia che vi colpirà come un pugno nello stomaco sarà quella di Crispina, una povera ritardata, ragazza madre, rinchiusa poi in manicomio quando rivela pubblicamente i servigi sessuali resi al prete pastore del convento. Ripropongo un altro film sul medesimo argomento a distanza di un giorno perchè la civiltà occidentale ritengo non sia migliore, nè mentalmente più avanzata dell'Orientale e perchè l'ultimo di questi conventi lager è stato chiuso SOLO nel 1996. Una pupilla insanguinata. Guarderete così l'intero film e penserete a quelle 30.000 donne. Il Cardinal Ersilio Tonini gridò scandalizzato che il Festival era stato disonorato. L'Osservatore Romano tuonò su un film che è una caricatura mal riuscita e di cattivo gusto. Il film fu infatti interamente girato in Scozia, patria del regista, proprio per paura dell'opposizione irlandese. Sublime la fotografia essenziale e povera. Eucaristia e fellatio. Bernardette che si scioglie i capelli. L'espressionismo di alcune scene rende questo film davvero un capolavoro. E non solo perchè sono femminista. Buon 2014 di libertà.

giovedì 17 ottobre 2013

L'imbalsamatore di Matteo Garrone. 2002

Peppino Profeta è un nano di mezza età che imbalsama animali, con l'aggiunta di qualche "lavoretto sporco" per la camorra, per avere dei soldi per i suoi "vizi", uno in particolare su cui ruota l'intera vicenda del film. Valerio è un ragazzo prestante, pettorali scolpiti, sguardo accattivante. Un po' troppo giovane per i miei gusti, ma da dieci e lode comunque il ragazzo. Peppino gli offre lavoro come aiutante nella sua bottega, insegnandogli tutti i trucchi del mestiere e averlo vicino. Sa come attrarre il ragazzo: stipendio raddoppiato rispetto a quello da cameriere, vita mondana con annesse donne e festini privati. Fino addirittura ad ospitarlo, quando il fratello si lamenta dei suoi orari. Peppino segue un copione per allontanare il ragazzo da parenti e fidanzata. Tutta questa amicizia comincerà a puzzarvi e dopo un po', insieme a Valerio, e forse anche dopo, capirete le reali intenzioni di Peppino. A rompere l'equilibrio la svampita ragazza dalle labbra rifatte, per la quale Valerio prova una forte passione, tanto da convincere Peppino ad ospitarla sotto il loro tetto e scatenando la sua gelosia. Difenderà ad ogni costo il suo pupillo. Mai si capirà se in realtà la relazione tra i due si consumi, nonostante la ragazza di Valerio costantemente lo chieda. Qualcosa vi lascerà presagire che la fine sarà tragica. Esisteva veramente "un nanetto della Stazione Termini", Peppino qui romanza il tutto e con estrema bravura direi, un uomo dai tratti di showman che ben si presta alla personalità richiesta dal personaggio. Tutto è sottotono, ma affascinante e intrigante. Degno di nota l'inconsueto punto di vista del tacchino chiuso in gabbia allo zoo che assiste all'adescaggio di Peppino nei confronti di Valerio, attutito sia nella vista che nell'udito. Geniale. Primi piano improbabili, frequente alzarsi e abbassarsi della telecamera per seguire il nano Peppino e il gigante Valerio, stacchi improvvisi nella ripresa. Dialetto campano. Va verso questa strada il cinema italiano contemporaneo. Improvvisazione, realtà. Mi piace.

mercoledì 25 settembre 2013

One Hour Photo di Mark Romanek, 2002

Le foto di famiglia ritraggono volti sorridenti: nascite, matrimoni, vacanze, feste di compleanno dei bambini. Si scattano fotografie nei momenti felici della propria vita, chiunque sfoglia un album fotografico ne concluderebbe che abbiamo vissuto un’ esistenza felice e serena senza tragedie, nessuno scatta una fotografia di qualcosa che vuole dimenticare.
Lavorare con professionalità in un punto di sviluppo rapido della fotografie di un grande ipermercato. Offrire professionalità in un luogo dove la gente va di fretta, compra, si rilassa, non bada alla qualità. Sy Parrish (Robin Williams, impeccabile ogni sua performance, è un mostro di bravura) è un uomo solo e come tale ha sviluppato una serie di ossessioni che riempiono la sua giornata: mangia solo alla tavola calda, un lungo corridoio dal quale accedere ad uno spoglio appartamento, senza colori e luce. Inquietante: supermercato con scaffali con la merce tutta in ordine, atmosfere autunnali, foglie che cadono, neon accecanti. Una regia non ottima, un film non brillante che prende ritmo quando ad un certo punto Sy viene licenziato e, nello stesso momento, da alcune stampe vien fuori che il signor Yorkin (padre della famiglia che il fotografo ha a cuore) è in realtà un marito infedele... Suggestionante il sogno in cui il fotografo immagina del sangue uscirgli dagli occhi: qual è, infatti, il difetto più comune delle foto amatoriali? Gli occhi rossi,un flash troppo invadente. Per un personaggio che vive in un mondo di foto, il simbolo dell'orrore non potevano che essere questo. Azzeccatissima la scelta. Come anche la scelta splatter di farlo schizzare. Robin Williams è un uomo sempre vestito di bianco, ha i capelli di un biondo quasi arancione, si muove in atmosfere senza spessore, senza colore. Delineate abilmente le ossessioni di Sy, il suo mondo, la sua estraneità ai contesti sociali. Mediocre però il resto. Non ho ben compreso cosa fa esplodere la sua follia, l'allontanamento dalla macchina da lavoro? Un uomo alineato quindi? Peccato che il regista non sia andato a fondo. Buona la conclusione e il dialogo finale con l'ispettore di polizia illuminante. Anche questo si svolgerà in un ambiente totalmente bianco.Prodotto medio dell’industria hollywoodiana, costato pochissimo e con un Williams che funge da specchietto per le allodole. Peccato, avevo sperato in qualcosa di più.

giovedì 14 luglio 2011

Carlo Giuliani, Ragazzo di Francesca Comencini. 2002

(immagine di Carlo Giuliani bambino tratta dall'album della famiglia Giuliani)

Uno e un solo punto di vista con cui si snoda la ricostruzione della Comencini sull'ultimo giorno di vita di Carlo Giuliani: quello di sua madre.“Vivamus, mea mater, atque amemus”. Con questo classico verso catulliano Carlo Giuliani si rivolge, infatti, in apertura proprio alla madre in una delle poesie scritte nell’adolescenza.
Un documento straordinario per la forza e la lucidità con cui minuto per minuto la donna fa rivivere quei momenti, di una donna straziata che ha avuto come ultimo sollievo quello di ripercorrere quegli ultimi istanti tante volte col pensiero, per essere virtualmente vicina a quel figlio morto da solo. Per strada.
Una ricostruzione assai coerente dei fatti, convincente, esatta. Che fa tremendamente rabbia, ma che fa sperare. Che un'Italia civile, coraggiosa, davvero diversa e orgogliosa di esserlo esista, nonostante tutto.
"Carlo uscì con il costume da bagno sotto i pantaloni, non aveva ancora deciso se andare con un amico al mare oppure alla manifestazione...Mi hanno colpito subito queste parole iniziali di Heidi Gaggio Giuliani. Ho pensato a che sciocche fatalitè fanno fare le scelte sbagliate. Ma poi andando avanti con il filmato ho capito che a sbagliarmi ero io. Che io, come tanti, ero stata vittima delle "scelte comuni, popolari, vigliacche". Scappare di fronte al pericolo.
Quel 20 luglio del 2001, Carlo fa una scelta oculata, come quando sei al bivio della tua vita: decide di sacrificare una giornata di sole e di mare per scendere in una piazza già annebbiata dai gas lacrimogeni, le cariche della polizia sui manifestanti pacifisti erano già cominciate e Carlo che passa da lì vi assiste. Nelle immagini si vedono dei “misteriosi” Black Block cacciati dagli stessi manifestanti (“Andate via, venduti, noi non siamo violenti” gridano loro) ma che,invece, lasciati indisturbati, mettono a ferro e fuoco molte zone della città ligure. Voi cosa avreste fatto trovandovi lì? Avreste girato le spalle e sareste andati al mare?
"Colpito in faccia, rimase subito paralizzato nel lato sinistro del corpo e cadde a terra... La camionetta dei carabinieri in retromarcia gli passò sul corpo due volte, sul bacino e sulle gambe, poi sparì dalla scena senza prestare soccorso... Prima che morisse, lo presero a calci in faccia". Parole terribili, pronunciate con calma, pacatezza, pazienza, intelligenza, da parte di una donna che ha scandagliato ogni minimo frangente potesse parlargli ancora di Carlo. Le immagini parlano chiaro: quando Carlo si china a prendere l'estintore, la pistola è già puntata: legittima difesa quindi? Verso un gesto che ancora non si è compiuto?
Cosa vuoi fare con quella pistola? Ma mettila via!”. La madre cerca di ricostruire l'ultimo pensiero che balena nella testa di un Carlo per qualche secondo ancora vivente. Chissà quante volte ha riguardato quegli ultimi frammenti di vita di Carlo. “E’ stato condannato a morte e prima dell’esecuzione è stato anche torturato” e poi ricorda il valore storico della Resistenza.
La toccante intervista, che vi consiglio di recuperare, è intramezzata da testi e poesie del ragazzo (anche in inglese, o in latino nella traduzione di Erri De Luca), da ricordi di famiglia e naturalmente dalle immagini scelte tra quelle girate a Genova e quelle più intime in bianco e nere riprese dall'album di famiglia.
Ho voluto ricordare Carlo così. Andando a cercare materiale degno che lo riguardasse, per rendergli tributo, memoria. Non ho grosse parole da spendere, solo tristezza, amarezza, preferisco quindi far mie le parole della madre in un passaggio dell'intervista: "E'diversa la violenza di chi attacca, da quella di chi si difende" Carlo si è difeso. Fino a rimetterci la vita stessa. Ciao Carlo.

domenica 18 aprile 2010

Solino. Fatih Akin. 2002

Un lungo flash back di Gigi che ricorda la storia della sua famiglia in tre tappe: (1964,1974,1984).
Da Solino (scorcio di magnifico Salento) in cerca di fortuna nel grigiore del bacino della Ruhr, il capofamiglia inizialmente pensa che la miniera tedesca sia il posto migliore per ricostruire un futuro, ma in Germania manca il sole e la verdura fresca dell'Italia. La moglie, Rosa, incarnazione della femmina italiana che segue ovunque il marito, decide di aprire un ristorante italiano, uno dei primi in Germania: Solino. Lei, l'instacabile superwoman, che dovrà lavorare sodo per tutti. I figli Gigi e Giancarlo non hanno, infatti, la stoffa dello chef: sensibile e artista il primo. Invidioso del fratello e quindi cattivo il secondo. Le vicende della famiglia sono parallelle a quelle della società e così la vediamo attraversare i decenni e negli anni Settanta ci ritroviamo i due fratelli freakettoni, tutti dediti a sesso e droga, momento più colorato e musicale del film. Tra piatti e spaghetti, Gigi ama il cinema, gli stivali degli attori nazisti. Li segue sul set. "Ardore e Passione" (Feuer und Leidenschaft per conservare il bilinguismo verista impeccabile della pellicola). Incamerato il giusto consiglio, comincerà a dilettarsi in alcuni cortometraggi. O almeno fino al punto di svolta, di rottura: il padre tradirà la madre, Rosa si ammalerà di una forma di leucemia incurabile, che la riporterà a Solino, sotto le cure di Gigi che non se la sente di abbandonarla. Un viaggio che per Gigi sarebbe dovuto durare poche settimane ma che invece sarà per tutta la vita, il treno, infatti, che doveva portare Giancarlo a dargli il cambio giunge. Ma senza di lui. Gigi è bloccato a Solino e non può ritirare il premio per il suo lungometraggio considerato il migliore. Giancarlo prenderà il suo posto. Sulla scena. Ma anche nella vita privata: Jo (la ragazza di cui si era innamorato Gigi), facilmente raggirabile, non lo aspetta. Ada, invece, la ragazza che Gigi aveva lasciato a Solino da bambino, ora donna, non lo ha mai scordato.
Il film si chiude con la proiezione dei cortometraggi di Gigi su una parete del paesino: Ma è fisso? Giancarlo è in lacrime: lui si è realizzato sì professionalmente, sfruttando il nome di Gigi e accettando di fare il documentarista, però non ha ritrovato mai se stesso ed è solo. Con rimorsi e rimpianti. Al Nord. Terra straniera. Da sempre difficile e contrastante il loro rapporto: durante il furto della cinepresa, ideato da Giancarlo, questi, infatti, scappa senza guardarsi indietro mentre Gigi viene catturato dalla polizia. O quando da piccoli, sempre Giancarlo aveva rubato un fermaglio di scena, per far ricadere la colpa sul piccolo Gigi. Anche in Soul Kitchen di fondo, la storia di due fratelli molto diversi tra loro: anche qui i due fratelli fanno un furto insieme, ma quando arriva la polizia nessuno dei due cerca di salvarsi la pelle per conto proprio e, finiscono per essere catturati entrambi! Una sorta di redenzione dell'amore fraterno, troppo bistrattato in Solino? O qualche nota autobiografica? Fatih aveva un fratello maggiore dispettoso?
Neorealismo italiano riuscitissimo per un Fatih Akin che ha il raro pregio e l'unicità di saper intrecciare forti passioni, ironia e cruda verità. Ambientazioni salentine. Accento pugliese misto. Tedesco purosangue e tedesco meridionale. Un Celentano anni Settanta e una tarantella per un tipico matrimomio pugliese (che richiama La Sposa Turca). Immigrazione. Tradizioni. Cibo. Sesso. Matrimoni. Sempre ottime scelte musicali. Questo il fil rouge dei suoi film. Un'accozzaglia straordinaria e unica. Eccezionale Akin.

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