domenica 1 novembre 2009

La battaglia dei tre regni. Non scalda il cuore

Una voce fuoricampo c'informa che siamo nel 208, sono i giorni del declino della dinastia Han, quando cioè la parte settentrionale della Cina passò sotto il controllo di Cao Cao, segretario imperiale dell’ultimo imperatore Han, un giovane inesperto soggiogato dalle amibizioni del furbo Cao Cao. Quest'ultimo lo convince, infatti, a dichiarare guerra ai regni meridionali: Shu e Wu.
Fatta questa premessa, resta ben poco da dire (e anche da vedere), il film è solo costruito su un'impressionante marcia di soldati che combattono. I due regni del sud storicamente rivali si rendono presto conto che l'unica speranza per poter constrare Cao Cao è un’alleanza. Ha inizio così il lunghissimissimo assedio, infarcito a tratti (solo perchè tu possa ogni tanto vedere qualcosa di diverso da sciabole, spade e scudi) da scene di vita quotidiana con qualche frase ad effetto, in stile saggezza cinese. (Sulle frasi poi ti ci arrovvelli per tutto il film cercando di capirne il senso. Attenzione: non c'è)

Noiosi anche gli effetti speciali: banali software che moltiplicano le masse. Roba già abbondantemente vista. A me ha ricordato molto (ma molto) Troy, che fosse un'allusione voluta?
D'impatto emotivo solo alcune scene (ma veramente poche), come la goccia d’acqua usata per mostrare il cambio della direzione del vento. Per il resto si sfiora il ridicolo: salti al limite dell’umano tipo bulgari da circo. Manca l'introspezione, la psicologia dei personaggi, a volte non c'è proprio logica nelle scene. Ho trovato appena sufficiente anche il doppiaggio, sembrava un documentario, non un film. Anche i dialoghi: (spero che nella versione originale fossero più profondi e che sia solo un problema di traduzione mal riuscita) troppo didascalici, semplicistici. John Woo ha forse la pecca di essere americano e la ricostruzione descrittiva e narrativa ne risente, un plauso solo alle scenografie, alle strategie di guerra usate, ai costumi tradizionali (bellissimi, soprattutto quelli femminili) e al setting.
Ma il messaggio di questo film non arriva. Soprattutto al cuore.

4 commenti:

  1. Come spesso accade con le cose, il giudizio dipende dall'approccio e dalla disposizione d'animo, quando non da uno scopo, da un'intenzione o da una militanza. Poiché nel mio caso l'unico condizionamento rilevante era quello dell'ingenua curiosità di un poveraccio che ama il cinema, ne ho tratto quanto segue:
    John Woo porta dentro un prodotto hollywoodiano frammenti della cultura cinese e quindi la screzia con pennellate di sapiente indulgenza al gusto del botteghino occidentale.
    In questo senso il film può deludere chi aveva apprezzato ed era rimasto sorpreso dai precedenti wuxia d'autore.
    Se è vero che gli effetti speciali e la tecnica di ripresa degli scenari del conflitto non offrono particolari originalità (solo ricordo come apprezzabile l'anti-zoom dal primo piano di Cao Cao al totale della flotta sul fiume) non si può negare che ambientazioni, costumi e musiche costituiscano un brodo primordiale nel quale è gradevole immergersi per un paio d'ore.
    Si può obiettare che il regista, così facendo, rischia di ridurre a semplici didascalie gli elementi originali che costituivano il nucleo poetico e narrativo dei precedenti lavori di Zhang Yimou, “Hero” e “La foresta dei pugnali volanti”,.
    [segue]

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  2. ...Il culto della Calligrafia per il quale la cura artistica della composizione del significante potenzia il significato, viene qui solamente accennato e dato come per sottinteso.
    Il rituale della cerimonia del Te viene semplificato e mostrato soprattutto per la sua capacità seduttiva come se l'occhio dello spettatore fosse assimilato a quello di uno sprovveduto turista.
    Tuttavia questi elementi ritornano fotografati con gusto e discrezione e lo spettatore avveduto riesce ad apprezzarne la funzione narrativa.
    In una rete di dialoghi invero piuttosto ingenui e involuti, l'etica e la strategia filosofica dell' “Arte della guerra” di Sun Tzu, emerge e pare rappresenti il principale elemento di coerenza, un costante ritorno nell'evolversi degli eventi.
    Allora si potrebbe scoprire che la perfetta attuazione di coreografiche formazioni da battaglia, non è solo esigenza filmica, ma anche rappresentazione visiva di ciò che Sun Tzu chiamava il Tao, ossia della auspicabile perfetta adesione tra comandante ed esercito (governante e popolo) e primo tra i fattori determinanti nella determinazione della vittoria o della sconfitta.
    Analogamente l'importanza che nella storia rivestono i cambiamenti stagionali, i cicli lunari e i venti non sono altro che la trasposizione, della necessità filosofica prima ancora che strategica, di saper leggere e interpretare jin e jang ed assecondarne la dialettica.

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  3. ... Naturalmente questo è un livello di lettura ulteriore e non indispensabile, ma coglierlo rende più gradevole la decifrazione delle immagini e ne restituisce una complessità altrimenti invisibile.
    Ha ben detto qualcuno che il regista ha inteso fondare visivamente una sorta di mitologia cinese, depurandola da elementi troppo autoctoni, magico-onirici e per questo di più difficile esportazione e per farlo, come una specie di Erodoto cinematografico, ha cercato di restituire storicità alle vicende circoscrivendo e mitigando, la favola, le leggende, di cui la narrazione popolare le aveva avvolte. Ciò che John Woo ha ottenuto però, mi sembra risulti un po' troppo simile alla mimesi involontaria della mitologia omerica e così gli eroi degli eserciti in campo (si pensi in modo particolare al primo scontro di terra) sembrano riprodurre fedelmente le gesta degli eroi in lotta sotto le mura di Troia, non biecamente caricaturali come in Troy, ma proprio come emergono dalle più o meno dense nebbie dei ricordi scolastici di ciascuno. Figure anche qui che esprimono un codice aristocratico a cui corrisponde l'eccellenza del carattere e del valore, oltre che della forza, ma che di originale, di orientale, di cinese mi è parso avesse solo le differenti corazze e in fondo. Un più indulgente destino, se è vero come è vero che il “nostos” dello Stratega/Ulisse è alla fine un quieto ritorno a casa (ma chi lo sa, forse anche il “nostro” Ulisse, la pensava così nell'immediatezza della vittoria).

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  4. ...Allora per moderare ulteriori elucubrazioni concluderei citando alcuni elementi per i quali il film andrebbe visto:
    1) Il ruolo delle femminilità, sia quella guerriera, coraggiosa e astuta della principessa, sorella del sovrano, ma soprattutto quella pacificatrice e però ancor coraggiosa e fatale per tutti, raffigurata dalla consorte del vicerè.
    2) Il ruolo della musica come protocollo di comunicazione tra menti affini (musica e calligrafia come forme d'arte che non soggiaciono affatto al fragore delle armi).
    3) Le figure dei guerrieri filosofi che sanno guardare con disincanto alla battaglia come all'ultima ratio o meglio all'ultimo passo di un cammino di riflessione e conoscenza della realtà. La conoscenza e non la battaglia sono il loro fine, e anzi proprio in virtù di tale riflessione giungono a scoprire che scontro al quale non si sottraggono non sarà altro che una paradossale dimostrazione dell'inutilità della guerra e della vanità di ciò che chiamiamo, appunto, vittoria.

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