venerdì 14 gennaio 2011

Una sconfinata giovinezza Pupi Avati. 2010


C'è sempre l'imbarazzo della "prima volta", e il regista bolognese Pupi Avati, la supera così, con "Una sconfinata giovinezza", sua prima storia d'amore sul grande schermo, pellicola che commuove anche se non convince.
Lillo e Chicca ne sono i protagonisti, collaudata coppia in avanti con gli anni: lui giornalista sportivo di grande fama, lei docente di filologia medievale alla Sapienza. I primi fotogrammi li ritraggono innamorati come se fossero ancora adolescenti, felici, alle prese con una storia d'amore meravigliosa. Solo un dolore nella loro casa troppo grande: nessun pargolo, nessun nipotino, ma nonostante una così grave lacuna, i due riescono a sopperire alla mancanza di un figlio grazie al forte sentimento.
E quando la memoria comincia a vacillare, tra uno sfottò e un altro, "l'età avanza" chi mai potrebbe pensare ad gravissima patologia regressiva come il morbo di Alzahimer? E tutto il film scorrerà su due linee narrative: il difficile presente della malattia e il passato di Lino raccontando, con flashback, la sua regressione all’infanzia.
Chicca con la sua intelligenza e lungimiranza, comincia ad osservare Lillo, si accorge che qualcosa non va, non si arrende, studia un modo per comunicare con lui anche mentre la sua mente divente pian piano infantile, regredendo nei meandri di "una sconfinata giovinezza".
Inno di un amore che non conosce età, tempo, malattia, pronto a combattere contro la natura, contro il destino, contro il male che avanza. Troppa retorica? Si, il messaggio che il film veicola, come anche l'intero film ne abbondano, si sa sempre dove l'autore vuole andare a parare, nessun colpo di scena, sempre tutto fin troppo scontato...ma non è forse la mimesi di un amore maturo tutta questa ovvietà? In molti tratti il richiamo a Benjamin Button è fortissimo, qui è la malattia a far regredire Lillo, Benjamin regredisce, invece, per "uno strano caso". In fondo i ricordi tutto sono tranne che "originali", ci appartengono, sono nostri, li conosciamo, la nostra mente li ha incamerati come la fotocamera un'istantanea, eppure chi potrebbe mai affermare che un ricordo non lo rapisca ed emozioni ogni volta? E qui sono proprio loro, i ricordi di Lillo a parlare, la sua mente scava, fa salti temporali, le immagini si palesano nella schizofrenia della sua mente malata. Chicca avrà tra le braccia il bimbo tanto desiderato e mai arrivato, Lillo si perderà nei confini della sua adolescenza, (ma per finire dove? Troppo misteriosa la fine del film)Lino, infatti, completamente persa la percezione di sé come uomo ritorna un bambino spaurito, rifugiandosi nelle campagne bolognesi, che lo hanno visto adolescente.

Questa la storia di quest'atroce malattia che, come tutte le malattie, non ha un perché, emblematico che il cane di Lillo bambino si chiami proprio "Perchè". Merita una segnalazione la prova di Vincenzo Crocitti, il prete di famiglia, qui nella sua ultima apparizione prima della morte.

1 commento:

  1. Dopo tanto cinema qualunquista e di soli effetti speciali questo film mi ha dato emozioni, bei paesaggi, il Pupi Avati che ho(quasi) sempre amato e che ancora una volta ha diretto in modo eccezionale.
    Quel grandissimo attore che è Fabrizio Bentivoglio. In certi punti la recitazione era così perfetta che mi pareva di vedere un altro grandissimo: Gian Maria Volontè.

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