mercoledì 19 giugno 2013

Diaz. Non pulire questo sangue di Daniele Vicari . 2012

“...io i miei non li reggo più
Molta più violenza di quella immaginata. Un mattatoio di giovani giornalisti, anziani della CGIL, uomini d'affari. Silenzi e gli assordanti tonfi dei manganelli che picchiano, a caso, senza senso. Corpi arresi, tremanti di paura, con le braccia in alto in senso di resa che vengono barbaramente trucidati. In tal modo la polizia vigila sulla nostra sicurezza? La morte di Carlo Giuliani è solo l'incipit del film. Poi ricordi sconnessi, frastagliati, che si ripetono. Un po' come i ricordi confusi di chi a fatica ricorda un trauma o non vuole ricordarlo. Ma testimoniare quest'ennesima brutta pagina italiana è d'obbligo. Una bottiglia più volte volteggerà nell'aria infrangendosi a terra, a sottolineare come un gesto così innocuo diventi il motivo scatenante e giustifiante quella insana e animalesca rabbia perpetrata su quei poveri malcapitati. Un intemperanza giovanile che nulla c’entra con una protesta contro la globalizzazione capitalistica. Il giornalista Luca è Elio Germano, penna della Gazzetta di Bologna, un giornale di centro destra, che vuole vedere coi suoi occhi quello che sta succedendo e il poliziotto dotato di un barlume di coscienza il rasato per l'occasione Claudio Santamaria. E quello che meglio il film documenta è la parte finale, ovvero la beffa dopo il danno: i soprusi continuano anche in commissariato e in carcere e sicuramente, intimamente, anche dopo e ora nella vita di ogni singolo ragazzo. Ad un ragazzo viene chiesto di mettersi a quattro zampe e abbaiare, ad una ragazza, Alma, anarchica arrivata dalla Germania che aiuta insieme ad un avvocato i familiari preoccupati a trovare i propri cari dispersi nella folla, alcuni arrestai, di spogliarsi inutilmente solo per essere guardata, addirittura anche quando è in bagno. "Togliti tutti i vestiti e comincia a girare su te stessa". E quando vede la madre che è fuori dal carcere per supportarla vorrebbe ridere ma le cicatrici per le botte al labbro non glielo permettono. E vi sentirete anche voi così: inermi, con la bocca serrata che vorrebbe urlare ma tira per il dolore, perchè quelle manganellate a fine film le sentirete tutte anche voi. Il reato di tortura deve essere inserito all'interno del nostro codice penale, dopo il film, se ancora non ne siete convinti, non ne avrete più dubbi. Stupende le inquadrature aeree del film, cercate i particolari significativi, il film ne è pieno.

3 commenti:

  1. Film davvero tosto. Non perfetto, ma di fronte al quale è impossibile non provare un moto di rabbia.

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  2. Firmiamo per introdurre il reato di tortura

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  3. Uno dei film italiani più belli e importanti di sempre. Un pugno dello stomaco assai peggiore di tanti horror.

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