sabato 27 luglio 2013

Truman Capote: A Sangue Freddo di Bennett Miller. 2005

E' come se io e Perry fossimo cresciuti nella stessa casa. E un giorno lui è uscito dalla porta sul retro e io da quella davanti
1959. Londra. Le immagini di apertura mostrano spighe accarezzate dal vento. E poi quella parole vere, pronunciate con quel modo di parlare capotiano così particolare: “Io sono sincero su ciò che scrivo…dire che sei una cosa quando ne sei un’altra…”. Poi quell'omicidio. Le sue mani ritagliano l'articolo di giornale. Comincia così il film dello strabiliante libro che ha generato la non fiction novel, genere a metà strada tra la letteratura e il giornalismo. Nelle Harper Lee autrice de “Il buio oltre la siepe” lo accompagna durante le doglie di questo parto che darà vita aun nuovo modo di fare letteratura. Perry Smith, al quale si affeziona pericolosamente, tanto che l’amica Harper Lee teme che stia per innamorarsene, è uno dei due killer che ha sterminato una famiglia composta da quattro persone nel blando tentativo di rapinarli per un'informazione errata circa la somma di denaro che la famiglia possedeva in casa. Nel 1965 assisterà all’esecuzione dei due e porterà a termine l’ultima parte del suo folgorante romanzo. Capote parte inizialmente come inviato del “New Yorker” solo per scrivere una pagina di cronaca sull'efferato omicidio. Ma tramite una telefonata informa subito il direttore che le cose stavano, nella sua mente, prendendo una piega diversa. Poi quell'attaccamento a Perry, che nel romanzo però viene celato e alla fine sembra quasi che non attenda altro che venga giustiziato per poter porre fine a quel romanzo "così grande da togliergli il respiro". L'amore vero è solo nei confronti dell'arte, nasconde a Perry che il romanzo è quasi terminato, gli racconta di aver scritto ancora poco, di non aver nemmeno scelto il titolo. Capote rischia di perdere la fiducia di Perry, se si sentisse tradito, se decidesse di non parlare più? Capote vive dentro di sè l'inferno e il film lo trasmette in maniera potente. E alla fine non sarà la corda al collo ad uccidere i due killer, ma la cinicità di Capote che li muove come due pedine, li usa e poi se ne disfa. Ma Truman ama il Perry il personaggio, quello che si muove nel libro e non nella cella. Che eleganza. Tutto è così perfetto grazie a quel cronista spietato che ha dentro la tragedia dell'abbandono materno. Non è la personalità degli assassini quella che si cerca di ricostruire, diventa banale al cospetto di quella del genio Capote. Non è il dramma che v'interesserà, quello è in secondo o terzo piano, ma quanto Capote abbia capito che la crudeltà interessa e attira. E la povera famiglia sterminata diventa un romanzo vendutissimo. Bellissimi gli occhi di Perry, malinconici al punto giusto. Forse Capote non li ha mai dimenticati: morirà alcolizzato nel 1984.

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