giovedì 11 settembre 2014

Blue Jasmine di Woody Allen. 2013

Se Erasmo da Rotterdam sosteneva che il solo prezzo da pagare per raggiungere e mantenere la felicità è solo un piccolo inganno di sé, cosa succede quando quest’ultimo assume proporzioni incontrollabili? Il geniale ossessivo-compulsivo Allen, che tutti amiamo, ha in questo film una controparte femminile:"Blue Jasmine" la cui pazzia e rovina paiono essere una meritata ricompensa al suo operato: vi è una latente condanna a tutto un sistema valoriale, alla sua vacuità qui rappresentato dalla protagonista. Le digressioni che ricostruiscono la sua storia non sono introdotte da alcuna cornice, ma si alternano liberamente nella narrazione, di norma anticipate solo da un elemento semantico, una parola, un sintagma che nel presente per affinità insinua un ricordo passato. La menzione della frode alla sorella, del tradimento, del profumo francese aprono altrettante parentesi visive nello svolgimento della trama, in un disvelamento lento ma costante del passato di Jasmine, della sua reale natura che via via si rivela sempre più meschina. Amorale, frivola, finge di non vedere coò che suo marito truffaldino fa. Questo film, infatti, è come se fosse concentrato tutto sul marito di Jasmine, che agisce mentre lei guarda altrove. Guarda alle cene, ai viaggi, ai braccialetti di Tiffany. Questa donna poteva trovare un uomo che la costringesse a una relazione di intimità autentica? No, e quando lo trova, lo perde perché una vicinanza autentica lei non sa cosa sia. Una donna fragile, incapace di affrontare la vita, incapace di guardare veramente ciò che il marito le fa firmare, di rendersi conto della inautenticità del marito e delle sue relazioni, di approfondire, di analizzare e di ragionare. Ma che sa sognare. Anche sua sorella ha i suoi traumi: come Jasmine adottata, si sente geneticamente inferiore, meno bionda, meno alta, meno bella, vola basso, si accontenta di una vita un po’ sfortunata e faticosa e povera, ma è realista. Jasmine, che era quella “dai geni buoni”, più bella e più bionda, che ha volato più alto, che si è tenuta più lontana dai temi dolorosi,incontra poi la realtà: il film è la trasposizione di questa realtà. Usa la dipendenza (da alcool, da pillole), a volte diviene dissociata, si allontana dalla situazione che sta vivendo, straparla, parla da sola, si racconta agli altri non vedendoli, non ascoltandoli mai, inventa una vita diversa. Un altro suo modo di reagire è il disprezzo verso la normalità e tutto quello che sa di “normale”, “squallido” e poco elegante. Perchè è sola. Jasmine era sola quando era sposata con suo marito, era sola con le sue amiche al bar, era sola nel mondo luccicante della sua vita di prima, ed è sola quando è in casa con la sorella e i nipoti, e infine è sola seduta su quella panchina che dialoga con i fantasmi della sua vecchia vita. Se qualcuno ha deciso di tenersi lontano da Blue Jasmine perché ha pensato ad uno dei soliti e scontati film di Woody Allen degli ultimi anni, ad una nuova commedia lieve, innocua e poco ispirata, sappia che ha preso una cantonata. Affascinante e delicato. Come le note di Blue moon, una canzone per sempre: Jasmine la ricorderà in eterno, fece da colonna sonora all’incontro col marito Hal quello che “cambia nome a quella società”, “liquida quell’altra”, ma si dai, diciamocelo, anche se la protagonista ci farà simpatia, in fondo è una cinica, un'arrivista. Questo era il suo più grande, e forse unico, obiettivo nella vita: trovare un bel marito di successo che la mantenesse e viziasse nel lusso più sfrenato, la inserisse nella migliore società newyorkese e soddisfacesse ogni suo desiderio. Anche quando il marito la sta per lasciare avrà una reazione spropositata -“tu sei mio”- non tanto per il dolore del tradimento, ma per la perdita dello status sociale. Distrugge tutti i legami con chi le sta vicino e usa la scusa della beneficenza come giustificazione alla vacuità morale che l’ha invasa. E quando rimane vedova Jasmine prolunga la propria illusione così: viaggiando in un posto di prima classe e con addosso abiti costosissimi che non può permettersi ma senza i quali il suo equilibrio crollerebbe immediatamente. Tutto ciò che la attornia, dal rozzo futuro cognato Chili agli improbabili, insignificanti spasimanti, dal grigio nuovo impiego come segretaria di un dentista di periferia allo sciatto appartamento di Ginger rischia di farla crollare, almeno fino all’incontro con Dwight, un sofisticato diplomatico con cui risalire la china e ridare forma alle illusioni sembra in qualche modo di nuovo possibile.È un Woody Allen stanco e rassegnato, insomma, quello che si nasconde dietro il volto scavato dalla disperazione di Jasmine – Cate Blanchett, un Allen che, stavolta, sembra aver ritrovato la sua grande capacità di raccontare quelle psicologie nevrotiche, ciniche e spesso moralmente vuote che da sempre hanno affollato e, si spera, affolleranno ancora a lungo la sua filmografia.

2 commenti:

  1. La Blanchett è strepitosa ma in definitiva il film non mi aveva convinta più di tanto. Colpa mia, con Allen non vado troppo d'accordo :)

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  2. Ciao babol, grazie. Blanchet memorabile, concordo

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