mercoledì 30 dicembre 2015

Magic in the Moonlight di Woody Allen. 2014

“Non ti posso perdonare, solo Dio può” – “Ma hai appena detto che Dio non esiste” – “Appunto”.
Siamo nel sud della Francia, circondati da suggestivi vigneti dal colpo d'occhio decisamente romantico, alla fine degli anni venti. Atmosfera vintage. Il grande illusionista Stanley Crawford smaschera finti medium e viene assunto per scoprire i trucchi della sorprendente sensitiva Sophie. Sappiamo tutti che Allen cura se stesso con il cinema, la sua razionalità si mitiga e gli dà tregua solo grazie alla magia del ciack. Stanley è, come lui, un razionalista duro e puro, uno scienziato, poco incline a farsi illudere, a credere in una realtà altra rispetto a quella sensibile e logicamente comprensibile: Stanley è convinto che ogni fenomeno abbia una spiegazione qui e ora, e pazienza se l’infelicità personale ne è logica conseguenza.E' nevrotico, agnostico, che vede il mondo esclusivamente da un punto di vista razionale e, pertanto, si dimostra poco incline a far entrare nella sua vita sia il mondo spirituale che quello dell’occulto. Ma l’ambiguità delle visioni di Sophie mantiene ottimamente durante lo svolgimento - grazie anche ad un’inaspettata interpretazione di Emma Stone, che sembra nata per stare davanti alla macchina da presa di Woody Allen. Non aiuta affatto l’interpretazione di Colin Firth, privo di quell’arroganza comica alla Oscar Wilde di cui il personaggio avrebbe bisogno. Certo manca il guizzo di novità, l’ispirazione e la volontà di raccontare il nuovo, ma ormai lo sappiamo, Woody Allen è una tradizione, per gli argomenti che racconta, per i personaggi e le nevrosi che mette in scena. Ma chi ha detto che la tradizione sia per forza una brutta cosa? Darius Khondji. Genio della luce.

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