Difficile quindi, in riferimento alla materia trattata, non azzardare un paragone con Gomorra. La storia di Giancarlo è concentrata sugli ultimi quattro mesi della sua vita. Mesi, nei quali, sguazzò senza scarpe nella melma partenopea, nella criminalità organizzata. Da qui il titolo, storpiatura del “Fort Apache” della tradizione western. I politici speculavano sulla tragedia dei terremotati per realizzare i propri interessi. Sparatorie. E schiaffi che arrivano dal nulla, a sottolineare la minaccia invisibile della camorra, l'omertà, il bar si spopola d'improvviso e capti con angoscia la solitudine del giornalista nella sua battaglia.
Siani non viene presentato come un eroe coraggioso, ma come un ragazzo normale, con i suoi difetti, l'infedeltà e una non marcata caparbietà. Ingenuo per certi aspetti.
Un'interpretazione semplice, non sfarzosa, definirei "semplice" l'intera pellicola che pur trattando di una tragedia annunciata in partenza, lascia fremiti di speranza, proprio perchè non mitizza. Tutti dall'inizio sappiamo che Siani da lì a poco perderà la vita, ma quando Giancarlo si accascia sotto i colpi di pistola ne rimani sorpreso, incredulo, allibito. Perchè questo è un film che convince. Così come convince il sogno di un ventiseienne che tra l'essere “un giornalista-giornalista e un giornalista-impiegato”, sceglie di essere un giornalista-giornalista: "Quella pioggia poteva fare pulizia, ma anche la pioggia a Torre Annunziata diventava subito fango".
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