Verismo verghiano. I dialoghi sono completamente recitati nell'antico dialetto locale, incomprensibile, i sottotitoli scorrono sotto le immagini in simultanea. Splendida la fotografia degli spazi aperti. Stupendi gli occhi espressivi di Martina, intensi. Occhi che urlano (anche se Martina è muta) gli orrori della guerra. Tutto è filtrato attraverso la sua semplicità di bambina, paura e angosce di un'Italia in guerra, ritmi lenti, cadenzati, come i passi dei pargoli, staticità e una crudezza dura a digerire, sopportare. Ma vera.
E l'uomo alla fine verrà, anzi diverrà. L’Uomo del titolo, infatti, non è altro che fratellino tanto atteso da Martina (simbolo di un'innocenza rubata). La piccola si prende cura di lui con occhi sognanti, impauriti, da donna. Grazie a lei sarà uomo. Grazie a lei lo diverrà. Lo riporta con sé al casale ormai vuoto, lei, unica sopravvissuta insieme al neonato. Poi rompe il silenzio di morte che regna sovrano. Con voce flebile, cullando il fratellino, ri-comincerà a cantare.
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