venerdì 20 gennaio 2012

Biutiful di Alejandro González Iñárritu. 2010

"Mi ha detto che dentro era come un mare di fango, che i suoi occhi erano come di gelatina e i suoi capelli bruciavano".

Un violento pugno nello stomaco. Vi accoglie così questo film. Violento, come i loschi traffici in cui è impegnato Uxbal, il protagonista. Un apparente brutto ceffo che cerca di guadagnare di che mangiare per i suoi due bambini di cui ha l'affidamento. Sfrutta la manodopera clandestina cinese e i venditori ambulanti senegalesi. Non ha grossi scopi nella vita, nè glorie e onori di cui andare fiero, ma un grande dono: una donna bipolare che però a modo suo egli ama lo fà diventare papà di due gioielli.
Molto conflittuale il rapporto con la donna, protegge se stesso e i due bambini dagli strani circuiti del suo sistema nervoso. Uxbal sa farlo, lui sa capire le difficoltà della vita e ha anche un dono: ascolta gli ultimi pensieri di chi sta per passare all'altra vita, non sapendo ancora che presto il loro mondo sarà anche il suo.
Solo due i mesi di vita che gli rimangono da vivere. Un cancro alla prostata. Deve sistemare ogni cosa. Deve rendere tutto Biutiful agli occhi dei suoi figli. Perchè la vita distoglie quell'incanto e storpia la bellezza non solo nel suo significato, ama anche nel suo significante. Da sfondo un irriconoscibile Barcellona, non quella da turismo a cui siamo abituati, ma quella dei borghi malfamati, quella dei poveri, quella dell'immondizia, quella che sfrutta i clandestini e che li considera meno di nulla.
Lui è un padre senza padre, è morto prima che lui nascesse, la pellicola sembra essere una discesa negli Inferi da parte del protagonista per ricongiungersi con la figura paterna, imparando, allo stesso tempo, ad essere un padre impeccabile. E alla fine anche voi sentirete il peso di questa ricerca, sia fisicamente che psicologicamente.
Un mondo malato quello che va in scena guardato con gli occhi di un uomo malato, che forse si ammala proprio per questo? Accativante la personalità di quest'uomo:è un padre devoto ma allo stesso tempo uno sfruttatore incosciente, sa ascoltare le anime dei morti e la morte diventa la maschera che s'insidia sul suo volto della vita, deturpandolo, insozzandolo con il suo squallore.
E in uno spazio onirico con cui il film si apre e si chiude, re-incontra suo padre, vi condivide l'aneddoto della civetta, perchè lui non si "aggrappa alla vita come fa la gente sciocca", ma si abbandona a quel viaggio con tutte le umane paure che questo comporta.
Un vagito di dolore in quell'ultimo abbraccio alla figlia e in quella promessa, l'ultima, strappata: "Guardami negli occhi: non dimenticarmi mai".

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