giovedì 31 dicembre 2015

Birdman (o l'imprevedibile virtù dell'ignoranza) di Alejandro González Iñárritu. 2014

"Perché non ho nessun rispetto per me stessa?" "Sei un'attrice, tesoro"
Un'ascetica meditazione in mutande con un uomo di spalle e sospeso in aria. La scena iniziale riassume tutto il film: un bilico continuo tra assurdo e sberleffo. Il film, che racconta la storia della morte del protagonista, apriva la 71esima Mostra del Cinema di Venezia. Ormai sessantenne,infatti, l'attore vuole un riscatto per scrollarsi di dosso il pesante ricordo dell'eroe piumato.Decide, così, di allestire a Broadway il rifacimento di "Di cosa parliamo quando parliamo d'amore" di Raymond Carver. Non esiste un'unica trama: esistono almeno tre storie che si intrecciano tra di loro in un sapiente puzzle che rimanda al gusto del racconto corale presente in altre precedenti opere, come in "Babel". Qui però tutto è amalgamato con la vicenda di Thompson, che diventa un viaggio nella mente dell'attore, nelle sue ossessioni, nei deliri di onnipotenza. Inàrritu gira con un unico piano sequenza, corretto dal digitale che gli permette di cambiare spazio e tempo con estrema fluidità. La colonna sonora è di sola batteria, dove anche lo stesso batterista viene "impallato" dal movimento di macchina. Preparatevi a un labirinto di cunicoli e corridoi, quinte e soppalchi teatrali in cui i protagonisti si inseguono, si prendono e si lasciano continuamente.Riggan ormai incapace di distinguere anche lui scena e vita, sceglie di non simulare il colpo di pistola finale da suicida con cui la piéce si conclude e finisce, vivo per miracolo, all’ospedale. Il pubblico però è in delirio: i giornali parlano solo di lui, i social media esplodono e la stessa arcigna critica del ‘New York Times’ ha cambiato bandiera e lo elogia a spada tratta. Memorabili la scena della conferenza stampa tenuta nel camerino con annessa satira della superficialità di molta critica e quella della corsa in mutande in Time Square. Ad assediare i protagonisti, proprio fuori dalle mura del teatro, una società che Iñárritu descrive nelle sue assurdità: ammalata di socialnetwork e tecnologia, capace ormai di osservare e vivere la vita solo attraverso lo schermo di un cellulare.

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