“Mi accorgevo di avere la pelle d’oca. Senza una ragione, dato che non avevo freddo. Era forse passato un fantasma su di noi? No, era stata la poesia. Una scintilla si era staccata dal poeta e mi aveva dato una scossa gelida. Avevo voglia di piangere; mi sentivo molto strana.Avevo scoperto un nuovo modo di essere felice.” (Sylvia Plath)
giovedì 26 aprile 2018
Jackie di Pablo Larrain. 2016
Chi è davvero la ex signora Kennedy?Jackie non è una Kennedy, lo è solo in maniera acquisita. E morto suo marito rimane quindi "soltanto" una donna senza più nulla, se non i propri figli. Quanta ipocrisia c'è in Jackie?
Quanto vero dolore?
Quanto narcisismo? Il regista risponde con una lunga intervista.
Una donna a cui guardiamo con diffidenza, come il giornalista che la intervista a una settimana esatta dal "fattaccio".
Affranta, afferma che il marito a volte andava "nel deserto per essere tentato" ma poi "tornava sempre dalla sua amata famiglia", trasfigurando biblicamente i tradimenti del marito, pur essendo ben consapevole dell'ipocrisia intrinseca a questa visione delle cose. "E io non fumo", dice con la sigaretta alla mano. Perchè la tragedia di Jackie è proprio questa: la consapevolezza -che la straordinaria Portman rende con i tantissimi primi piani- del dover ogni giorno raccontare una favola.
Al sacerdote che officerà le esequie del marito (John de Maria nella sua ultima apparizione sullo schermo) rivela: "Tutto quello che ho fatto per il funerale non è per lui, né per il suo lascito, ma per me". Per non essere dimenticata - emblematica la scena in cui guarda dei manichini con la sua stessa pettinatura-
vorrebbe gli stessi funerali che furono di Lincoln, presidente assassinato anch'egli durante il proprio mandato.
Jackie mira a ricreare una seconda Camelot, la mitologica reggia di Re Artù, perchè ormai è sola e l'unica risposta è procedere all'edificazione del mito: raccontare al mondo una favola per coprire le ombre, facendosi in definitiva attrice della stessa grande ipocrisia che ha messo lei sotto scacco.
Fenomenale la sceneggiatura di Noah Oppenheim (premiata a Venezia) accompagnata dai toni bassi e distorti delle notevoli musiche di Mica Levi
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