venerdì 27 aprile 2018

Silent Souls di Aleksei Fedorchenko. 2010

"Se la tua anima soffre, scrivi delle cose che vedi intorno a te."
Freddo visivo e corpi silenti in viaggio per la purificazione. Un uomo, di spalle pedala in mezzo al bosco diretto verso casa con una gabbia con due uccellini ("zigoli" è la traduzione di "Ovsyanki", titolo originale del film) fissata sul portapacchi della bici. Poi parte con il suo amico e gli uccelli per sepellire la moglie dell'amico e un lungo piano sequenza ci mostra Miron teneramente occupato nel lavare il corpo della moglie con la vodka, mentre Aist prepara delle treccine colorate con cui ornare i peli pubici della donna, un'usanza Merja che le damigelle svolgono allo stesso modo con la sposa il giorno del matrimonio. Sono entrambi ad avere amato Tanya e a raccontarsi le reciproche solitudini, nell'abitacolo di quell'auto, con Tanya dietro avvolta teneramente in una coperta. Fuori paesaggi desolati, dentro il cinguettio degli uccelli chiusi in gabbia. Non c'è nessuna rivalità fra i due uomini, soltanto rispetto reciproco e condivisione del dolore. Compiuto il rito della sepoltura: le ceneri di Tanya vengono cosparse nel fiume, da tradizione- e a Molochai ("una città triste e dolce, per noi, come Parigi per gli europei") trascorrono la notte con due prostitute, "perché il corpo vivo di una donna è come un fiume che trascina via il dolore" e privarsene è solo una conseguenza dell'istituzione del peccato. Due le scene memorabili: il flashback della sposa "senza volto", con la veste alzata, che permette alle damigelle di ornarla, lo slittino che trasporta la macchina da scrivere, la splendida sequenza di immagini che descrivono la città di Molochai. Esempio di Poesia che salva.

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